La lunga storia che porta Robert Allen Zimmerman, alias Bob Dylan, dalla natia Duluth, Minnesota, fino alla corte svedese a (non) ritirare l’ambito Premio Nobel per meriti letterari, inizia nel lontano 1962. In quell’anno, grazie all’interesse del potente produttore John Hammond, Dylan entra in sala d’incisione e registra le 13 tracce (durata totale 34 minuti) che rappresentano il prologo al suo lungo percorso artistico.
John Hammond è considerato da molti esperti del settore non solo il più famoso producer americano ma anche il più importante scopritore di talenti. A Hammond si deve infatti il successo di Count Basie, Michael Bloomfield, Billie Holiday, Leonard Cohen, Aretha Franklin, Stevie Ray Vaughan, Bruce Springsteen, solo per citarne alcuni. Quando esce il primo album di Bob Dylan – un album acustico molto povero, registrato frettolosamente in tre pomeriggi e costato solo 402 dollari – molti sono convinti che il grande Hammond, per la prima volta, abbia puntato sul cavallo sbagliato.
Commercialmente parlando, l’esordio discografico di Dylan è un disastro: venderà in America solo 2.500 copie (tre anni dopo raggiungerà il 13° posto nelle charts inglesi) e la critica musicale americana lo bolla come la Hammond Folly (la sciocchezza di Hammond). Nonostante le scarse vendite e nonostante i pareri negativi all’interno della casa discografica, John Hammond comprende le potenzialità di questo giovane ragazzo e capisce la portata artistica che questo folksinger avrà sui giovani degli anni ’60. The Freewheelin’ Bob Dylan, il suo secondo album che uscirà solo sei mesi dopo il criticato esordio, raggiungerà i primi posti in classifica e diverrà un’opera discografica fondamentale, la nitida fotografia di un periodo storico ricco di fermenti. Un’opera imperdibile per i dylaniati di tutto il mondo.