Questo ottobre 2018 è un mese speciale per tutti i fan dei Led Zeppelin. La “migliore rock band di tutti i tempi” – come ha detto Jack Black in occasione della cerimonia al Kennedy Center – arriva in libreria con due volumi molto speciali. Iniziamo con Led Zeppelin by Led Zeppelin (Rizzoli), il primo e il solo libro illustrato ufficiale della band: nato per celebrare i 50 anni dalla loro formazione, ripercorre tutta la carriera del gruppo con foto inedite, artwork e materiali provenienti dall’archivio degli Zeppelin. Potete vedere un piccolo antipasto nella galleria qui sotto.
Il secondo volume in uscita è Jimmy Page & Robert Plant (Hoepli), di Luca Garrò – alla terza biografia rock dopo quelle dedicate a David Bowie e Freddie Mercury – tutto dedicato al rapporto tra Jimmy Page e Robert Plant, paragonati alle grandi coppie della storia della musica come Lennon e McCartney, Jagger e Richards e ovviamente Waters e David Gilmour. Il libro vanta una prefazione firmata da Jason Bonham, che potete leggere in anteprima qui sul sito di Rolling Stone .
Posso dire, senza paura di essere smentito, di conoscere Jimmy e Robert da una vita e vi garantisco che sono più simili di quanto si possa immaginare. Semplicemente reagirono in modo profondamente differente alla fine di tutto quello che avevano costruito, al fatto che, all’improvviso, i Led Zeppelin erano divenuti il loro passato. E, sostanzialmente, continuano a farlo
anche oggi. Robert e mio padre erano molto legati e non possiamo dimenticare che la sua scomparsa fece seguito a una serie di tragedie immani che gli erano capitate negli anni appena precedenti. Onestamente, penso che già negli ultimi due anni della band qualcosa non fosse più come prima: erano sfiniti, come se avessero bisogno di uno stop che non riuscivano a prendersi. Tutto degenerò e chi li circondava non riuscì o, molto probabilmente, non volle accorgersene. Il giro di soldi che muovevano non aveva precedenti nella storia della musica popolare ed è necessario contestualizzare il tutto: il punk ci aveva provato e la stampa non perdeva occasione per dar contro alla band, ma alla fine degli anni Settanta non è che ci fossero molte attrazioni del loro livello.
Dopo la scomparsa di mio padre, inevitabilmente, il mio nome fu il primo ad essere accostato al gruppo, ma Plant ha sempre avuto paura delle reunion, con me o senza di me. Sicuramente la sua parte più protettiva cercava di tenermi fuori da una cosa che riteneva più grande di tutti noi e, probabilmente, aveva anche ragione. L’esperienza disastrosa del Live Aid, poi, non aiutò certo a fargli cambiare opinione. Jimmy, invece, è sempre stato quello più legato a tutta la faccenda, anche perché l’ha considerata sempre qualcosa di profondamente suo. È una persona di una sensibilità esagerata, cosa che spesso gli ha creato problemi non indifferenti. Robert trovò subito un’altra strada, mentre lui rimase ancorato a tutta la faccenda dei Led Zeppelin per una vita. Lui mi avrebbe voluto subito con loro per questo motivo, non perché se ne fregasse delle implicazioni psicologiche, ma perché si sentiva mutilato e sperava che io gli restituissi in qualche modo ciò che gli mancava. Suonai su Outrider e anche nelle sporadiche esibizioni col gruppo prima di quella della O2 Arena, ma negli anni Novanta le paure di Plant tornarono a farsi sentire.
Un giorno Steven Tyler mi disse che MTV aveva rovinato la capacità di immaginare le cose, iniziando a farcele vedere. Credo che Robert avesse più o meno le stesse remore. Temeva che, se fossero tornati a fare quello che facevano un tempo, la gente avrebbe smesso di ricordare quanto erano stati grandi un tempo, accontentandosi di vedere solo una copia sbiadita. Non è quindi un caso che abbia accettato di riunirsi alla band solo in occasioni che non avrebbero potuto avere un seguito. Tutti noi avevamo e abbiamo carriere che funzionano perfettamente senza dover riesumare quella ragione sociale, anche se ammetto che l’idea di un tour mi ha sempre entusiasmato. Ad ogni modo, al di là della serata di Londra, chiunque abbia visto suonare Page e Plant alla fine degli anni Novanta dice di aver assistito alla cosa più simile ai Led Zeppelin che sia mai stata messa in piedi.
Ricordo la prima volta in cui mi domandarono di unirmi a loro come un momento molto particolare. Dentro di me convivevano troppe emozioni per poterle sopportare: da una parte ero davvero orgoglioso del fatto che me l’avessero chiesto, ma allo stesso tempo temevo di non essere all’altezza. Subito dopo subentrò la malinconia: il fatto che ci fossi io, significava che mio padre non c’era più. Non mi lasciai influenzare da tutti i dubbi, né tanto meno da chi mi diceva che avevo troppo da perdere e decisi di farlo. Sapevo che i paragoni sarebbero stati inevitabili, ma ero perfettamente consapevole di quello che avrei potuto fare e sono sicuro che, ai tempi, avessero più paura gli altri tre membri del gruppo, perché temevano in qualche modo di sfruttarmi o che la stampa vedesse il mio suonare con loro come qualcosa di patetico.
La cosa che mi dispiace di più di tutta la questione post 02 Arena è pensare a Jimmy, che passa il suo tempo nel ricordo di quello che è stato e che non sarà più. Da un certo punto di vista, è il talento più sprecato degli ultimi 30 anni. Dovrebbe riuscire a vincere i suoi demoni o, quantomeno, a trovare un accordo con loro, anche se credo che questo non avverrà mai. Un po’ come una nuova reunion dei Led Zeppelin. So per certo che per il 50° anniversario dalla fondazione in molti ci proveranno e, se dipendesse da me, lo farei subito. Questa volta però dubito che Robert accetterebbe.
Per quanto mi riguarda, dei Led Zeppelin penso ancora che siano la più grande band di ogni tempo, da qualsiasi angolazione la si voglia guardare. Come disse Jack Black qualche anno fa: più dei Beatles, più degli Stones. Ho pochi ricordi di mio padre, che custodisco come la cosa più preziosa al mondo. La mia più grande paura è quella di non ricordarmi più quei momenti, la sua voce o quando mi faceva ridere. Io ero solo un bambino, per me era semplicemente mio papà. Non potevo capire tutto il delirio che si muoveva intorno a lui, tutta quella gente che lo idolatrava. Non avevo gli strumenti per farlo. Per me era la persona con cui giocavo, che mi portava al parco e che mi faceva gli scherzi. Solo dopo anni sono riuscito a mettere insieme tante cose, quando sono diventato padre a mia volta. Spesso, mia figlia viene fermata dai compagni che le dicono quanto sia cool suo padre e lei risponde: “Ti sbagli, non lo è affatto. Anzi, a volte è anche un gran rompipalle”. Almeno in questo caso, la storia può ripetersi. Ed è bello così.