“Nella storia della musica popolare si sono verificati una manciata di eventi chiave – il debutto su disco di Elvis, l’arrivo dei Beatles in America, la svolta elettrica di Dylan – riconosciuti come momenti seminali, al contempo marker culturali e catalizzatori nella turbolenta evoluzione del rock. E il festival di Woodstock è l’esempio più lampante. È considerato il momento decisivo per la controcultura legata al rock di fine anni Sessanta, quando mezzo milione di fan calarono verso una piccola fattoria a nord dello Stato di New York per quella che veniva pubblicizzata come una ‘tre giorni di pace e musica’.”
Lo scrive Mike Evans nella sua introduzione al volume Woodstock. I tre giorni che hanno cambiato il mondo (Hoepli). Pubblicato in occasione del 50° anniversario del leggendario evento, Woodstock racconta – in rigoroso ordine cronologico – il contesto culturale, i preparativi del festival, l’afflusso oceanico e inaspettato di giovani, la successione degli artisti sul palco – quasi superfluo ricordare chi erano: Creedence Clearwater Revival, Joe Cocker, Joan Baez, The Who, Santana, Crosby Stills Nash & Young, Janis Joplin, Jimi Hendrix e molti altri. E ancora, ed è forse la parte più interessante del volume, tutto quello avveniva giù dal palco, in quella città improvvisata immersa nel fango: il cibo finito subito, le droghe, i soccorsi a chi stava male, i ripari improvvisati, l’organizzazione spontanea e lo spirito di comunità.
Visto a mezzo secolo di distanza, Woodstock è stato al tempo stesso il punto più alto e l’inizio della fine del movimento hippy. Come ricorda Martin Scorsese, all’epoca presente come giovane montatore per il film che poi avrebbe reso immortale il festival, nella sua prefazione al volume: “Non so quanta affluenza si aspettassero per quel weekend, ma di certo non mezzo milione di persone. Ed erano in emergenza praticamente sotto ogni punto di vista: cibo, servizi igienici, assistenza medica. Alcune torrette minacciavano di crollare e il terreno si stava trasformando in un mare di fango. (…) Non è un mistero il motivo per cui così tanta gente era arrivata a Woodstock: c’era la possibilità di ascoltare tanti grandi musicisti insieme e in pochi giorni. Ma è da sempre un mistero il fatto che Woodstock sia stato un evento pacifico. Voglio dire: sarebbe potuta andare storta qualunque cosa, in qualunque momento. A volte mi guardavo dietro le spalle e pensavo: ‘E se qualcosa va male? E se una droga non è buona, o lo è troppo, e questa gente decide di caricare il palco?’. Oggi tutti tendono a vedere lo spirito di Woodstock sotto un profilo romantico, ma io penso che incubasse i germi di qualcosa di potenzialmente molto pericoloso”.
Mike Evans, Paul Kinsbury
Woodstock. I tre giorni che hanno cambiato il mondo
con una prefazione di Martin Scorsese
(Hoepli – 288 pp., €29,90)