“Mare mare mare voglio annegare / portami lontano a naufragare…”. Avete mai sentito parlare della SAD? Seasonal Affective Disorder: si stima che affligga il 5% della popolazione americana e colpisca prevalentemente i Paesi nordici. Trattasi di depressione stagionale che di questi tempi, tra cataclismi, meteoropatia e la rottura di Rosalía con Rauw, sarebbe più che legittima. Quando ne ho letto stavo ascoltando Summer on a Solitary Beach e, per colpa dei pensieri associativi di cui proprio Battiato cantava, mi è venuto in mente Bu Bu Sad, il secondo album de La Rappresentante di Lista. Mai associazione fu più riflessiva: chi ha paura della tristezza estiva? Una stagione così colorata e “contenta” che percepirla come “invadente”, “appiccicosa”, non facendo parte di quel 5% e non essendo nordici, può suonare un po’ freak. Cioè, se tu italiano in Italia e sei infelice nella stagione più felice dell’anno, sei solo un o una grande rompi coglioni.
Eppure sento che siamo una bella compagine, tutti noi risentiti per quel “voglia di ballare un reggae in spiaggia” e, anche se Lana Del Rey non ci piace così tanto, in quella sua stucchevole Summertime Sadness in fondo potremmo quasi rispecchiarci. Però no, non scherziamo con i disturbi dell’umore (né con Lana Del Rey), ché ormai siamo tutti psichiatri. Basta ammettere che se esiste una folta produzione musicale che dell’estate mette in luce i difetti più che i pregi, ci sono ottimi motivi. E noi siamo qui oggi per dimostrare che l’estate è un grande bluff e la musica ne è la prova schiacciante.
Partiamo dal presupposto che il mondo si divide in nostalgici e non. I NON in estate vanno in una qualche tipo di vacanza, hanno le loro ferie guai a chi le tocca, fine. I nostalgici, tanto quanto i punk (solo con più tatto e competenze in fatto di emozioni), vedono l’estate come il vero capodanno, preferiscono l’inverno che puoi rimediare ai problemi con dei piumoni, chiudono le relazioni a ridosso dei mesi caldi e, se da grandi non sono diventati dei serial killer, sono quelli più propensi all’ascolto dell’intera colonna sonora di Sapore di mare pur di non sentire anche solo una volta Mon Amour.
Ed è per educare bene la propria nostalgia che nasce tutta quella pletora di brani il cui boss è da sempre Bruno Martino. A partire dall’iconica Estate, che nasce come Odio l’estate e che, dopo l’interpretazione ironica di Lelio Luttazzi (che la trasformò in Odio le statue), finì per diventare uno degli standard jazz più famosi al mondo. Il tema è il dolore di aver condiviso momenti amorosi con una persona che già alla fine dell’estate non c’è più (non nel senso che è morta, purtroppo, ma nel senso che ha intrapreso altre strade), lasciando quella voragine propria solo delle relazioni brevi ma intense, che divampano in fretta e ciò che resta sono ricordi vividissimi, esigui reperti fotografici e tantissima cenere tipica degli incendi dolosi.
Secondo a Martino c’è solo Califano: i due hanno condiviso E la chiamano estate, altro pezzo passato alla storia che con Un’estate fa raccontava più o meno la stessa dinamica di amorazzi estivi. Quest’ultimo però era la versione italiana di Une belle histoire di Michel Fugain, che nel 1990 è stata reinterpretata da Mina e nel 2001 dai Delta V, la versione che preferisco. “Bella l’estate, mille bracciate di malinconia / bella l’estate, bruciarsi il cuore per metterti via”: anche Levante, che dell’esistenzialismo pop ha fatto il suo manifesto, proprio quando sembrava che la malinconia estiva fosse passata di moda per lasciare il posto al male di vivere per tutte le stagioni, esce con questa delicata ballad – Canzone d’estate – su quanto la stagione possa essere peggiorata dal cercare di dimenticare l’altro/a. La versione italiana di Cruel Summer di Tylor Swift? Forse, comunque sempre di amare male si canta.
Di cantare bene pezzi che rientrano nel girone infernale dei balli di gruppo, invece, è stato molto in grado Bianconi, con quella versione indimenticata di Playa di Baby K. Una cover che mi ha fatto pensare alla sempiterna lotta tra forma e sostanza: una canzone che sarebbe stata dimenticata in meno di un’estate è diventata un brano memorabile grazie ad una grande interpretazione. Chi si offre per riarrangiare Karaoke?
Per la sofferenza un po’ passiva, dunque, quando il desiderio non è di scacciarla ma di attraversarla, ripassandola un po’ in padella con giusto un filo d’olio, oltre ai brani di cui sopra solo pochi giorni fa ho scoperto la dolcissima Fourth of July di Sufjan Stevens. Un dialogo tra lui e la mamma morente, “my firefly” la chiama, la mia lucciola. Un pezzo che può essere utile per ricordarci la differenza tra amore e innamoramento, due cose molto diverse che ancora molti di noi, eterni bambini, fatichiamo a distinguere.
Vero è anche che non tutti i brani contro l’estate sono focus sulla perdita di un amore, come Agosto dei Perturbazione, uno dei pezzi più tristi della storia, che ti amareggia a 360°: “Se non è vero che hai paura, non è vero che ti senti solo, allora perché tremi?”. Per bilanciare, dopo, consiglio una Sfiorivano le viole d’annata, by Rino Gaetano. Poi, non giriamoci attorno, ci sono anche Celeste nostalgia e Che vita meravigliosa, che segnano la fine delle estati italiane di tutti i tempi senza mai proferire la parola estate. Un Cocciante evergreen tanto quanto un più recente Diodato – il Cocciante di oggi? Parole forti, ma qualcuno deve pur dirle –, entrambi possono portarci nel baratro di cui abbiamo bisogno quando ne abbiamo bisogno: e la mente vola a una bellissima Marina Suma, che pare oggi venda gioielli alle Eolie e che non sappiamo come mai si innamorava di Jerry Calà. Ma che cosa non gli facevi alle donne, Jerry?
Per quando invece la sofferenza da passiva diventa più “aggressiva”, ho rispolverato una severa ma giusta Estate dimmerda di Salmo, sempre a suo modo catartica, e Feels Like Summer di Childish Gambino, un pezzo malinconico sul ritmo dell’estate, scritto da una specie di primo della classe che ha vinto Grammy e Golden Globe sia come Gambino, che è uno pseudonimo, che come Donald Glover, il suo vero nome, noto per la serie Atlanta.
Un must è anche Summer in the City, di cui scelgo la super sexy version di Quincy Jones: non è triste, non è allegra, è blues e fa sempre bene all’umore scuro. Ma la mia preferita, lo ammetto, è Summer di Celeste. Con lei è stata chimica a prima vista, che a me, sia nel mio momento passive o in quello aggressive, rimette un po’ in asse, provare per credere: “I need some guidance, I won’t do this on my own / And it’s all I need, lost on this feeling / Love ended with the summer / Funny how we turn a beamer to a bummer, anyway”.
“Al mare io non voglio più andare, non mi importa più niente del governo e di te, capito?”- Questi erano gli Skiantos con Col mare di fronte, per tutte quelle volte che vogliamo buttarla in vacca, mentre Follonica e L’estate enigmistica fanno il loro sporco lavoro se sentiamo il bisogno dell’esistenzialismo baustelliano per annegare i dispiaceri, una strada più pesante, più introspettiva, ma sempre valida.
Adesso però tenetevi forte: vi ricordate i Jazzy Jeff and The Fresh Prince? Giustamente no, perché dovreste. E se vi dicessi che era la band di un giovanissimo Will Smith quando ancora non picchiava i colleghi in diretta tv? Sono stati attivi tra il 1987 e il 1993, e nel ’91 sono usciti con Summertime in un sound alla Willy il principe di Bel Air. Se avete amato anche voi la serie, consiglio un veloce ascolto, anche distratto.
Per sfogare forte poi c’è sempre Hot Girl Summer di Megan Thee Stallion insieme a Nicki Minaj, una specie di dissing tra lei che dice che è la più fregna e che non gliene frega niente di lui (anzi che schifo, dovrei prendere il suo c***o?) e lui che dice che è il più maschio e fanculo la fregna (anzi, me la porto a letto così la sottometto quella z*****a); insomma, anni di lotte femministe e poi “questa è l’estate della ragazza bollente”. Ma il nostro obiettivo in questa sede è solo combattere la tristezza, non il patriarcato, giusto?
Più o meno per gli stessi motivi, sconsiglio California Girls dei Beach Boys, per i soliti triti temi neo-femministi sui quali non vi ammorbo anche perché qualche anno fa Katy Perry rispose per le rime a Brian Wilson & Boys con California Gurls, confermando la tesi che sì, le ragazze della California sono indimenticabili. E dopo questi due pezzi così allegroni, sottopongo alla vostra attenzione una vera presa male, ma di altissimo livello: Cold Summer di Wesley Joseph. Per ascoltare questo piccolo gioiello, scuola Little Simz per chi come me ama la musica black, abbasserei le luci, mi farei un margarita e mi metterei comoda/o: non tira su il morale in nessun modo, ma è buonissima musica, e questo è già un ottimo motivo per stare su.
Sonorità, tutte, che riportano a quel caldo torrido, ma languido, quel senso di smarrimento, quel momento di bilanci. Perché l’estate, per quelli come noi che si deprimono con stile (cit. Considera di Colapesce Dimartino), fa un po’ questo: ti fa sentire in debito. Con i tuoi che sono sempre più grandi e non hanno più voglia. Con la vita (ma dove vado che a luglio c’ho l’acconto, ad agosto il saldo, a settembre il saldo dell’acconto?). In debito con te, che ancora una volta non capisci perché tutti non stanno nella pelle e tu stai così così. Perché l’estate è un covo di insidie, costretto/a o a divertirti o a entrare in contatto con te, mettendo in comunicazione il tuo Io e il tuo Super Io – ciao Freud, sto per fare psicologia da quattro soldi – che, finalmente in pausa dalla routine, uno di fronte all’altro come Clint Eastwood e Lee Van Cleef, si chiedono: “Ma queste macerie sono di nuovo opera tua?”. Sì, caro subconscio, visto che la realtà non coincide mai con il piacere immediato, sei tu che hai generato le pressioni che io ho gestito come ho potuto. È già tanto che l’aereo l’ho riportato a terra, potevo anche farlo schiantare!
D’altronde l’amico Proust ha detto che è la nostra immaginazione la causa dell’amore di cui tutti cantano e nessuno ne capisce: touché. Ed è per colpa di Proust, infatti, che quasi un anno fa ho comprato una macchina fotografica analogica, di quelle usa e getta. Non sono più così facilmente trovabili – come l’ascolto e l’empatia –, così ho investito ben 20 euro e mi sono data un compito: scatta una foto ogni volta che stai bene. Metti un like vero a quel momento, dagli valore. I social hanno rovinato tutto e io ho una paura fottuta di dimenticarmi quando sono felice, tanto quanto di immaginarmi emozioni che invece sono state condivise. Così scatto rarissime foto di felicità, le prove che era tutto vero. Non ho mai sviluppato quel rullino. Coincidenze? Io non credo.
L’ultima canzone triste di questa nostra non-classifica è, giustamente, una non-hit. Canzone per bus e persone in retromarcia, di N.A.I.P. La trovate solo sul suo IG, perché è un piccolo esperimento fantasioso non editato. In questo “non pezzo” c’è Gaber, c’è Nicolas Jaar, c’è un atto di generosità nell’ammettere la propria inconcludenza: “Non c’è nulla che mi governa, vado dove vedo la pista, navigo a vista”. Un brano sudato e sincopato, dalla spia di un bus in retromarcia: bella idea, che mi ha fatto riflettere su tutti questi amori sprecati (o innamoramenti, o solo rapporti umani) che forse potevano essere salvati. Con la retromarcia ci si può mettere sotto qualcuno, ma guardarsi indietro per salvare qualcosa può essere sano. Pensiamoci, tutti noi che “mai tornare indietro nemmeno per prendere la rincorsa”. Solo un errore blu nel testo: non sono i cani ad essere pazzi, ma i gatti. Pazzi e narcisi, possono abbandonarti per un pugno di croccantini, i cani invece sono fedeli e coraggiosi. Se non li hai abbandonati sull’autostrada della vacanza, che tu sia punk, nostalgico o solamente triste per una rottura, sono quelli da cui tornare, il tuo porto franco, il tuo affetto assicurato. Altrimenti, non ti resta che la musica, appunto, che non ti tradirà (quasi) mai.
Questa, signore e signori, non era una classifica. In alcune parti del mondo la chiamerebbero sound healing, suonoterapia. Io la chiamo “la musica aiuta, ma non fa miracoli”. Per quelli potete sempre provare con la mindfulness o l’agopuntura.