Per essere scritto da un cantautore, il nuovo album di Brunori è pieno di voci. C’è la sua, mai così ‘cantata’ e tirata al limite dell’estensione; c’è quella dei tanti, tantissimi nuovi strumenti usati negli arrangiamenti, dal glockenspiel ai fiati, fino agli archi e ai suoni caraibici; e c’è quella del coro, mai così presente nelle canzoni del cantautore calabrese. Questa è la prima cosa che viene in mente dopo un primo assaggio di Cip!, il nuovo album che abbiamo ascoltato in uno zapping musicale telecomandato dallo stesso Brunori in una stanza della nuova Casa degli Artisti di Milano, la stessa che ha ospitato le registrazioni a cura di Taketo Gohara.
L’album nasce da un approccio diverso alla scrittura, che Brunori chiama sindrome da visione d’insieme, quasi il tema portante del disco dopo la raccolta “contro la paura” A casa tutto bene. «È una sindrome che soffrono gli astronauti che hanno passato molto tempo nello spazio, e quando tornano sulla Terra non la vedono più come prima, perché osservare quel puntino blu dallo spazio cambia tutto quello che pensavano sulla vicenda umana. È una sindrome un po’ etica, secondo me», dice. Forse è per questo che l’album si apre con Il mondo si divide, un brano che, oltre a presentare i temi e le atmosfere musicali di Cip!, contiene un invito a ridere del proprio cervello. «A questo giro sentivo la necessità di comunicare più un sentire che non un pensare», spiega Brunori. «Mi interessava che le canzoni, nel loro insieme, comunicassero una visione corale, un noi. Non ho scritto quel pezzo per dire che il mondo non si deve dividere, ma che il tipo di divisione che vedo è una divisione poco utile».
Le conseguenze, se così possiamo chiamarle, di questo approccio da astronauta sono sostanzialmente due: la prima è che nelle nuove canzoni di Brunori la melodia viene prima del testo; la seconda è che si parla poco di questioni di stretta attualità, sia personale che collettiva. «Non dico di aver ribaltato il rapporto tra sfondo e figura principale, ma ho scritto le canzoni con l’idea che quello che ho sempre considerato sfondo, alla fine, in questo disco è diventato molto più importante», dice. Il concetto è ancora più esplicito in Anche senza di noi, il secondo brano ‘dichiarativo’ dell’album. È un midtempo con un arrangiamento ricchissimo, in cui spicca una bella sezione di fiati, dedicato alla bellezza del sentirsi insignificanti di fronte all’universo. “Possiamo godere, provare piacere, possiamo fumare anche tutte le sere / e dirci che in fondo alla fine va male, alla fine va bene”, dice il testo. «L’intenzione è quella, raccontarmi come uno su sette miliardi, una creatura a tempo. Pensare che il mondo giri anche senza di noi non è un’idea che mi schiaccia, ma una pacificazione. Nel disco vecchio cercavo di stare dentro le cose, qui invece ho cercato una distanza, ma non un distacco. È un tentativo, ovviamente».
La vittoria della melodia sulla parola ha dato vita all’album più musicalmente ricco ed eterogeneo della carriera di Brunori. In Cip! ci sono la chitarra ritmica un po’ alla Vasco di Capita così; le atmosfere tropical-disneyane di Fuori dal mondo, brano caraibico con testo in forma d’elenco; i sintetizzatori del primo singolo Al di là dell’amore e il pianoforte orchestrato della ballata Per due che come noi. «Invece di concentrarmi sulle parole come fine, ho cercato di utilizzarle come strumento. Per questo ho scelto l’uccellino della copertina e un titolo onomatopeico, volevo comunicare anche per come canto», dice. «Forse dal punto di vista testuale i brani sono più lineari. Se devo dire la verità, alcune cose mi funzionavano anche con i ‘na-na-na’. Io normalmente scrivo in finto inglese, e quando ho dovuto mettere le parole vere, mi sono detto: devo trovare un modo per dare un’emozione che ho già, un sentire che sto già comunicando con la voce. Non sono ancora arrivato al nanaismo, che potrebbe essere la mia corrente artistica di riferimento (ride). Magari vado avanti così e la critica finirà per esaltarmi: “Brunori decide che non ci sono più parole”».
Il quinto album in studio di Brunori esce a meno di un mese dal 70° Festival di Sanremo. Ascoltandolo, con le sue grandi melodie, le orchestrazioni e i testi brillanti e mai banali, viene da pensare che lo vincerebbe a mani basse. Il cantautore calabrese è il primo, di tutta la generazione “indie”, ad aver fatto il grande passo verso il mainstream senza rinnegare se stesso. Il premio è il tour nei palazzetti, un’altra novità che probabilmente ha orientato la scrittura delle ultime canzoni. «Sicuramente un po’ mi ha influenzato. Se sai che le canzoni verranno suonate in un certo luogo, le vesti per quel contesto», dice. «E va bene così. A un certo punto, dopo tanti anni, è bello pensarci».