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Persi nell’incantesimo di Battiato: il boom di ‘La voce del padrone’

L'album del 1981 ha trasformato un musicista d'avanguardia in una popstar, un «brutto nasone» in un «maestro». Tutti lo cantavano, pochi lo capivano. Ecco come il libro ‘Segnali di vita’ racconta quel periodo bello e delirante di Battiatomania

Foto: Adriano Alecchi/Mondadori via Getty Images

Gli anni tra il 1981 e il 1982 sono il periodo più incredibile della carriera di Franco Battiato. Quello nel quale, da un giorno all’altro, passa dallo status di artista di culto a idolo nazional-popolare. Prima era quello strano che andava a Domenica in chiuso nel suo bozzolo intellettuale al quale solo una ristretta cerchia di adepti aveva accesso, adesso è un eroe. La sua immagine è ovunque, così come le sue canzoni. Non c’è luogo d’Italia dove prima o poi non capiti una radiolina accesa, un juke box, una tv nella quale non risuonino le canzoni di questo tipo nasuto alle prese con squaw pelle di luna e gesuiti euclidei.

È un momento tra i più surreali della cultura italiana, cultura che grazie a Franco circola a piene mani e viene assorbita da un pubblico che in larga parte non capisce assolutamente che cosa vogliano significare quei testi ma in qualche modo ne rimane affascinato, catturato in una rete che non ha vie d’uscita. Se entri nell’universo-Battiato sei fregato.

Da sottolineare che il suo atteggiamento non è affatto cambiato rispetto al serissimo protagonista della Domenica in 1980. Anzi, se possibile si è fatto ancora più enigmatico: sguardo fisso, frasi smozzicate che a volte sembrano serie, altre sono palesi prese per i fondelli nei confronti di chi intervista. Come nel caso di Mario Luzzatto Fegiz che durante la trasmissione televisiva Mister Fantasy, interroga il Nostro a proposito del significato di Centro di gravità permanente. Un laconico Battiato nascosto dietro i proverbiali occhiali da sole spiega: «Una mia amica cercava un centro dove farsi la permanente, da lì dedussi questa canzone». Il tutto senza mai un sorriso o un ammiccamento nei confronti del presentatore, comunicando anzi una serpeggiante sensazione di disagio, di altezzosità. Franco non si prende nemmeno la briga di sprecare due frasi per una spiegazione compiuta. Prende in giro tutto e tutti, compreso se stesso.

Uno così rischia seriamente di sortire un effetto di totale antipatia nei confronti del pubblico, di essere rifiutato, potrebbe addirittura riuscire a far passare per idiota chi lo ascolta, ce lo ha scritto in fronte, come se dicesse «È inutile che cerchiate di capire, siete troppo indietro per arrivare al mio livello, quindi non mi resta che prendervi per i fondelli.». Chiaramente Battiato non ha mai detto nulla del genere e ma questo è ciò che comunica il suo atteggiamento. Bene, la gran parte del pubblico italiano invece che rifiutare in blocco una cosa di questo genere ne rimane abbagliato, subisce un fascino che non teme paragoni. Battiato diventa icona suprema del 1982, e più si comporta da antipatico più funziona. È come se la gente volesse a tutti i costi scoprire cosa si cela dietro quella maschera e così facendo ne venisse ingabbiata, avvinta a quella ragnatela fatta di citazioni coltissime, musica super orecchiabile, aria supponente e distante. Il pubblico ama e compra, cade ai suoi piedi.

Franco, dal canto suo, nel frattempo si rende conto che il suo atteggiamento funziona e così lo accentua. Del resto è dagli anni ’70 che va ripetendo che lui non è fatto per gli inchini ruffiani, per gli ammiccamenti, per compiacere. Anzi, lui il pubblico lo ha sempre maltrattato, chi andava a vedere gli spettacoli di Pollution dopo un po’ si ritrovava a subire un frastuono al limite della sopportazione, chi aveva comprato Sulle corde di Aries o “Clic” e sperava di ascoltare in concerto alcuni dei brani contenuti in questi album riceveva in cambio due ore di improvvisazioni totali, spesso senza alcun costrutto logico. Battiato è da sempre abituato a cercare di scrollare il pubblico, di stimolarlo, incuriosirlo. A volte con stratagemmi antipatici, violenti, disturbanti, ma lo scopo è sempre quello. Del resto da anni segue le dottrine di G.I Gurdjieff che insegna il ricordo di sé, l’essere presenti a se stessi in ogni momento, il non vivere in maniera robotica. Battiato con il suo strambo cabaret richiama l’attenzione su un particolare frangente, aiuta le persone a interrogarsi, a cercare di capire. C’è una costante tensione che pervade la sua musica e il personaggio. Il suo messaggio non è atto a offrire solo istanti di relax ma a tenere sempre attenti, vigili.

Nonostante tutti i presupposti Franco diventa quindi una superstar, di quelle che non riescono più a fare un passo fuori di casa se non col rischio di essere sbranati dai fan. Che vengono inseguiti, fatti bersaglio, sul palco, del lancio di biancheria intima. Abituato a un pubblico numericamente esiguo, serio, attento e in larga parte maschile, Battiato è il primo a rimanere sconvolto e perplesso da tanta ammirazione, come ricorda il tastierista Filippo Destrieri: «Un giorno Franco mi disse ridendo: “Ma secondo te una ragazza viene con me perché sono Franco o perché sono Battiato?”». La domanda è lecita ma la risposta rimane sospesa nell’aria, non ci sono da porsi molte questioni: Battiato piace, il suo fascino va al di là dell’aspetto fisico, il carisma è ciò che emana, un carisma tanto intenso da annichilire donne e uomini. Lo stesso Destrieri dice: «Quando Franco entra in una stanza avverti immediatamente la sua presenza, è come se emanasse un flusso magico». Il carisma di cui Battiato era dotato già prima dell’exploit de La voce del padrone, adesso è cresciuto a dismisura, fino a scatenare l’isteria. Addirittura cominciano a occuparsi di lui riviste per adolescenti come Boy Music, che arriva a intitolare un articolo “Brutto ma bravo” e a intervistare alcune ragazzine che dicono del loro idolo del momento: «Noi lo troviamo sexy, quando si muove sul palco, non so, ci fa provare un’emozione forte…».

Colui che ha fomentato tutto questo a un certo punto si rende conto che forse l’entusiasmo è cresciuto in maniera incontrollata, che qualcosa gli è sfuggito di mano. Battiato è diventato così irresistibile che a pagarne le spese è Franco stesso. Intervistato da Ciao 2001 dichiara: «Diciamo che la musica che faccio io non dovrebbe scatenare queste cose: mi auguro solamente di sbagliarmi e che tutto nasca dalle sensazioni che sul palco riusciamo a trasmettere». Battiato dissimula, ma si rende perfettamente conto che ogni esagerazione presente è figlia di ciò che lui stesso ha contribuito a creare, con sincerità ma anche un pizzico di calcolo. Nel momento dell’uscita de La voce del padrone le strade erano due: essere rifiutato o essere amato incondizionatamente, non c’erano vie di mezzo, tanto era forte quel mix di cultura, mistero e supponenza che caratterizzava le canzoni e il personaggio. Il pubblico sceglie di amare e Franco fa colpo su ogni categoria umana. Su Rockstar si lancia in un paragone tra la popolarità, sempre un po’ d’élite, dei cantautori e la sua: «I cantautori alle mamme non ci sono mai arrivati, nemmeno ai bambini. Fanno una cosa tra coetanei, anche un po’ goliardica. Io arrivo a tutti perché sono un cantante-cantante».

La Battiato-mania deflagra in maniera così potente da portare a scene di assoluto delirio, i fan sono scatenati, capaci di arrivare a spogliare il loro idolo pur di possederne un pezzettino. Su Ciao 2001 Franco è costretto a riconoscersi sconvolto da certi eccessi: «In un locale emiliano mi hanno letteralmente spogliato, mi ha shoccato al punto che non volevo più suonare. Sono entrato in paranoia ed avevo deciso di non esibirmi mai più: non riuscivo a vedere una manifestazione d’affetto in quello che mi avevano fatto, ma una vera e propria masticazione dell’idolo. Poi mi sono ridimensionato e ci ho anche riso sopra…. ma la cosa continua ad essere drammatica».

Franco è vittima del suo stesso personaggio e la situazione non accenna a placarsi. Filippo Destrieri: «A un certo punto dovevamo organizzarci con Battiato, lui rimaneva in macchina e io andavo al supermercato a comprare la schiuma da barba, le lamette… Franco non poteva entrare, sarebbe stato assalito dalla gente in adorazione».

Le avvisaglie di tutto ciò, a ben vedere, c’erano già tutte alcuni mesi prima. Nell’estate 1981 il tour di Patriots continua imperterrito e va a confluire, nell’autunno, in quello de La voce del padrone. Ad aprire la serie di concerti estivi c’è un cantante esordiente, il suo nome è Renato Abate ma si presenta con lo pseudonimo di Garbo. Ascoltato in anteprima il suo album d’esordio A Berlino… va bene (che uscirà il 21 settembre 1981, insieme a La voce del padrone) Franco si convince che sia giusto lasciare un poco di ribalta a questo giovane newwaver che durante la trafila dei concerti avrà a disposizione una decina di minuti per presentare alcune canzoni dal disco di prossima uscita, cantate dal vivo su basi fornite da un registratore Revox piazzato sul palco. Durante quel giro lungo l’Italia Franco comincia a presentare alcuni brani de La voce del padrone, scatenando da subito la reazione entusiasta da parte del pubblico. Si sente immediatamente che quelle canzoni hanno qualcosa in più rispetto al materiale precedente, assolutamente di valore ma ancora mancante di quel quid comunicativo che fa la differenza. Garbo: «Io viaggiavo con Battiato, Giusto Pio e il road manager. Il resto della band invece viaggiava per conto suo. Battiato cominciava ad assaporare la sensazione di un successo sempre crescente, sentiva che sarebbe successo qualcosa, era nell’aria. A inizio tour erano soprattutto i fricchettoni, i suoi vecchi fan, a riempire le sale. Mano a mano, tornando dal sud verso il nord, il pubblico si faceva più ampio e vario. C’era un’atmosfera vincente in quel tour».

L’aria carica di positiva attesa per qualcosa che da lì a poco sarebbe esploso la si può ravvisare ascoltando una delle tante registrazioni illegali che circolano in rete, in particolare quella del 9 agosto 1981 al Teatro Tenda di Torino. Qui Franco, dopo avere presentato una sequela di suoi pezzi forti del momento come Il re del mondo, Up Patriots to Arms e L’era del cinghiale bianco, se ne esce con l’anticipazione di Bandiera bianca, ancora del tutto sconosciuta al pubblico. Ascoltare per credere, alle prime note della canzone l’entusiasmo è già alle stelle, tutti battono le mani scatenandosi dietro a un brano che non hanno mai ascoltato prima e che già infiamma, già fa intuire tutti i dettami della Battiato-mania a venire.

A godere della straordinaria popolarità del loro artista sono chiaramente anche i dirigenti della EMI, la sua casa discografica, che mesi prima ha minacciato di rescindere il contratto se il Nostro non avesse portato a casa dei numeri un po’ più consistenti. L’era del cinghiale bianco si è infatti assestato sulle quindicimila copie vendute, Patriots invece ha fatto meglio arrivando a quarantamila. Ottimi numeri, sopratutto se visti con l’occhio di oggi e se messi in relazione con gli scarsissimi risultati della trilogia Ricordi del ’77-78. Ma per la discografia dell’epoca quarantamila copie di un album sono realmente poca cosa. Da qui il pressing su Franco affinché tiri fuori dal suo magico cilindro il disco che gli faccia compiere un definitivo salto di qualità commerciale, pena l’annullamento del contratto. Nell’aria c’è la brutta sensazione che da lì a poco il sogno pop di Battiato possa terminare, ai piani alti della casa discografica cominciano a mostrare segni di insofferenza, fioccano le battute ironiche e crudeli verso “il nasone” e la sua idea di musica, così distante da ciò che vende sul serio.

A fine 1982 Garbo e Franco si incontrano nel parcheggio dell’enorme palazzo della EMI, a Caronno Pertusella, in provincia di Varese. Dopo i convenevoli, Battiato invita il giovane Garbo (che nel frattempo ha ottenuto un buon successo con A Berlino… va bene e ha pubblicato il secondo album, Scortati) a seguirlo nel lunghissimo corridoio che conduce all’ufficio di Alexis Rotelli, direttore generale della casa discografica. A un certo punto Battiato dice a Garbo: «Adesso ti faccio vedere cosa succede, io per loro ero il brutto nasone, il cretino… guarda adesso.». Garbo: «In questo corridoio infinito vediamo aprirsi una porticina in fondo, quella dell’ufficio del direttore generale. A un certo punto esce Rotelli che corre verso di noi, si inginocchia e dice “Maestro Battiato, quale onore!”. Una scena fantozziana, con Battiato che se la ride e mi dice di sottecchi “Hai visto il brutto nasone”?».

Tratto da Segnali di vita: la biografia de ‘La voce del padrone’ di Battiato di Fabio Zuffanti, con introduzione di Morgan e prefazione di Aldo Nove (Baldini + Castoldi, 256 pagine, 16 euro)

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