Ci sono figure nella musica che incarnano un periodo storico e un suono: nel caso che stiamo per prendere in esame, l’essenza del rock. Stiamo parlando di Ace Frehley, il guitar hero dei Kiss che oggi compie 70 anni. Lo celebriamo rispolverando il suo primo, atipico album solista Ace Frehley, anno 1978, un manifesto assoluto del Frehley-pensiero nonché del rock autarchico tutto.
Innanzitutto il contesto: nel 1978 i Kiss sono una forza incredibile, paladini assoluti dell’hard rock/glam con i loro trucchi stravaganti e le loro trovate pirotecniche. Sono nelle case di tutto il mondo come fossero un pacco di biscotti. Si producono gadget, addirittura costumi di carnevale per i più piccoli (io stesso acquistai quello di Frehley), fatturando l’impossibile. Sono al top e la casa discografica decide di tentare qualcosa di mai provato, un azzardo per spingerli al massimo: pubblicare contemporaneamente quattro dischi solisti, uno per ciascun Kiss.
A parte il discorso prettamente commerciale, mai tentato fino allora, è evidente che si cerca un modo per dare sfogo alle istanze individuali dei membri, soffocate nel contesto della band, in modo da evitare un probabile scioglimento per esasperazione e cercare di mitigare gli ego ipertrofici. D’altronde gli stessi Beatles fecero una cosa simile col White Album, anche se lì c’era una partecipazione maggiore della band negli episodi dei singoli elementi e la bilancia pendeva sempre dalla parte di Lennon-McCartney. Qui invece gli album solisti non sono eseguiti dalla band al completo, ma da un solo Kiss circondato da session man.
La cosa ovviamente incuriosisce i fan, che si aspettano qualcosa di peculiare da ogni personaggio: Gene Simmons è il demone, Paul Stanley l’uomo delle stelle, Peter Criss l’uomo gatto, Ace l’uomo dello spazio. Ecco, Ace risulta quello che, da sempre, più di tutti ha dato credibilità ai Kiss a livello musicale (è anche l’ideatore del famoso e controverso logo). I suoi solo di chitarra facevano fremere i cuori e rizzare i peli sulle braccia: era puro blues incastonato in un gioiello hard rock, grande feeling assistito da una tecnica personalissima e mozzafiato. Non erano semplicissimi, ma comunque alla portata di tutti. Roba che non s’impara a scuola, e infatti gran parte dei chitarristi post ’70 decisero che la vera scuola era guardarlo in azione, dopo averne ascoltato le brucianti performance sul fondamentale Alive! (in particolare il mega assolo erotico di She).
Ace oltretutto era un grande autore di brani, uno per tutti Cold Gin, diventato un megaclassico della band. Anche vocalmente aveva la capacità di essere al contempo crudo e pop: insomma, aveva il dono della comunicazione. Non che agli altri mancasse, ma in Ace c’era quel fattore che ne faceva un vero e proprio elemento insostituibile: non si poteva pensare ai Kiss senza di lui. Per un certo periodo dopo la sua uscita dalla band risulterà presente nelle foto di copertina, nei credits e nei video.
Non si poteva pensare all’anima ludica dei Kiss senza vederlo strafatto che nelle interviste ride come un pazzo, mentre i freddi e calcolatori Gene Simmons e Paul Stanley lo guardano inorriditi. Sì, aveva problemi di droghe e alcol, e allora? Nel rock è quasi una prassi. Non aveva problemi invece a capire quale direzione musicale prendere e quale avrebbe voluto prendessero i Kiss. E qui sta il bello: di tutti i dischi solisti, il suo è quello più affine allo spirito della band, evolversi senza perdersi per strada. Il suo LP non delude i fan come quelli di Gene Simmons (votato incredibilmente a un eclettismo pop eccessivo), Paul Stanley (che alla fine sembra non voler staccarsi dal suond Kiss di un centimetro) e Peter Criss (che addirittura sfiorerà il r&b).
Morale della favola: questo piccolo capolavoro sarà il disco più venduto dei quattro, con il vantaggio di piazzare in classifica il singolo New York Groove. Ma la mossa di marketing dell’operazione non regge e i Kiss sentono il primo scricchiolio delle fondamenta: si sa, tutto ciò che sale prima o poi scende. Non è chiaro se facendo uscire i quattro dischi in contemporanea si desse per scontato il fatto che tutti i fan dei Kiss li avrebbero comprati in blocco, a scatola chiusa, ma non avviene. Il pubblico si accorge solo del valore delle composizioni di Ace, premiandolo. E improvvisamente Frehley si ritrova investito del peso di essere un autore di punta, col conseguente peggioramento dei rapporti con i soci della band.
Vuoi per le reciproche invidie, vuoi per un desiderio di maggiore controllo a causa del fallimento degli album “solo”, vuoi per i suoi pessimi habits, Ace viene messo sovente in minoranza nelle votazioni interne, uno dei motivi che lo porteranno a lasciare i Kiss subito dopo la pubblicazione del controverso The Elder, disco incredibile uscito nel momento sbagliato. Non essendo mai stato d’accordo sulla sua pubblicazione, Ace se ne va poco prima dell’uscita di Creatures of the Night, nel momento di maggior crisi della band. Ma prima di tutto questo, c’è Dynasty, la pietra dello scandalo che li proietterà nel gotha delle leggende del pop. Perché ok, si tratta di disco-hard rock, interessante quanto si vuole, ma Ace non ci è mai stato a piegarsi alle mode e a prendere per il naso la gente.
In fondo, a parte il trucco, è sempre stato uno di noi, come nella routine promozionale del suo primo disco solista: vestito con chiodo, jeans e maglietta nera, niente costume di scena. Basta questo per essere veramente “uomini dello spazio”.