Un pezzo da museo. Il nastro dal quale è stato miracolosamente tirato fuori Altro che nuovo nuovo, l’ultimo album live dei CCCP, è esposto sotto plexiglas in una teca della mostra monstre dedicata ai loro primi 40 anni nei chiostri di San Pietro a Reggio Emilia. Perché in quel nastro, e in questo nuovo disco, c’è la registrazione del loro primissimo concerto nella palestra di un circolo Arci dell’Emilia paranoica nel giugno 1983.
Le 18 canzoni in scaletta, per un’ora di musica, sono quindi un documento storico frutto di un’operazione archeologica che ha svelato una grezza opera d’arte: i CCCP qui ancora in embrione – Giovanni Lindo Ferretti e Massimo Zamboni, senza l’artista del popolo Fatur e la benemerita soubrette Annarella, ma accompagnati dal bassista Umberto Negri e dal batterista Agostino Giudici (fratello di Annarella) – erano già una realtà unica e straniante.
Fa effetto, in qualche modo disorienta, sentire Ferretti che canta, proclama, urla, parole che hanno definito il secolo scorso – West Berlin, Ost Berlin, patti di Varsavia e piani quinquennali – e che appartengono a un’epoca, per quanto relativamente vicina, forse incomprensibile all’orecchio e al cuore di un adolescente o ventenne del 2024, che chissà se ascolterà mai questo disco. Ma, nel caso ciò accadesse, potrebbe cambiargli la vita.
Nonostante sia stato registrato in una serata primaverile, immergersi con le cuffie in Altro che nuovo nuovo fa venire freddo, l’umidità penetra le ossa. Lo-fi ma digeribile, il live ci riporta a dei CCCP scordati, scoordinati, stonati. Eppure ci sono già forma e sostanza: ritmi marziali, tribalismo urbano, sgangherate accelerazioni, divagazioni da balera. Si avverte la performance teatrale che sarebbe arrivata da lì a poco, si percepisce l’ansia.
Altro che nuovo nuovo è una sorta di greatest hits live registrato prima ancora della pubblicazione dei singoli e degli album ufficiali della band, un oggetto per completisti e collezionisti che già conoscono l’epopea CCCP e dunque aggiunge in realtà poco – a parte i tre brani inediti su cui arriveremo strada facendo – alla storia e alla discografia del gruppo. Insomma, alla fine della fiera, è un’operazione n/ostalgia.
Una sfilza di brani in più in streaming, un pezzo di plastica in più sulle mensole, una costina di cartone in più sullo scaffale: formato digitale, CD, doppio vinile nero, doppio vinile crystal in edizione limitata numerata con la riproduzione del flyer del concerto che dà, anzi dava, accesso al meet and greet con la band, ovviamente sold out: Altro che nuovo nuovo è l’ennesimo trionfo del feticismo delle merci.
In fondo, una delle prime prove tangibili di questa reunion è stata la collaborazione con un marchio di streetwear per una capsule collection – spille, borse, t-shirt, felpe, giacche – non proprio alla portata di tutti. Poi sono arrivati il prezioso documentario sulla campagna di Russia, la mostra, il gran galà punkettone, le imminenti ed esauritissime date a Berlino, il tour prossimo futuro, le ristampe deluxe e questo live inedito.
È difficile fare un discorso bello tondo e ragionevole quando si tratta di CCCP perché hanno sempre dichiarato di essere fedeli a una linea che non c’è. Altro che nuovo nuovo è una via crucis, le grida alla fine di Noia sono strazianti: si parte con Live in Pankow (chi si ricorda il Live in Punkow uscito nel ’96?) e si chiude con un inedito, Oi Oi Oi, in cui Ferretti sentenzia: “È un po’ tardi per credere in qualcosa che sia più grande di un 45 giri”.
Si sentono applausi, grida di approvazione, «bravi», mentre scorrono versioni acerbe di molti loro futuri inni: Punk Islam, Mi ami?, CCCP, Sono come tu mi vuoi, Emilia paranoica. C’è una cover dei DAF, Kebab Träume, e non è un caso che anche questo gruppo tedesco subisse fascinazioni totalitarie (nel testo Ferretti cita Togliattigrad). Tra gli inediti spunta anche Onde, il pezzo che sonorizza una delle installazioni della mostra a Reggio Emilia.
Citando una parola chiave del testo di Onde, è come se Altro che nuovo nuovo fosse la schiuma della grande esposizione dei chioschi di San Pietro. Una mostra affascinante, maestosa, strabordante, e non poteva essere altrimenti per una band che è stata in grado di creare un proprio immaginario totalizzante e farsi mito come nessun altro collega nato nello stesso, leggendario periodo, gli anni furiosi del punk italiano.
Con i successivi CSI, Giovanni Lindo Ferretti cantava anche “non fare di me un idolo, mi brucerò”. Lui, Zamboni, Fatur e Annarella si sono ritrovati, abbracciati, riamati e quelle che vediamo alzarsi, con noi in mezzo per i prossimi live, non sono certo cupe vampe, ma un falò filo-paesano, è una festa tra vecchi amici. Sapete Sexy Soviet, il pezzo semi-inedito di questo album dal vivo cosa è poi diventato? B.B.B., brucia baby, burn.