Paul Simon va dove lo porta l’ispirazione. L’ha fatto quando si è separato da Art Garfunkel al picco di popolarità del duo, quando ha aperto il debutto solista con un pezzo reggae registrato a Kingston in tempi non sospetti, un anno prima che gli Wailers dessero alle stampe Catch a Fire, quando ha portato nel mondo il suono del Sudafrica con Graceland. Tutte cose che non ci aspettava da lui, così come nessuno pensava che il musicista, che oggi ha 81 anni, pubblicasse un lavoro come Seven Psalms, una suite di 33 minuti che gli è apparsa in sogno. Aveva lasciato intendere che il suo ultimo album sarebbe stato Stranger to Stranger di sette anni fa. E invece aveva ancora qualcosa da dire.
Da un certo punto di vista, era inevitabile che Simon facesse un disco come questo. Stiamo pur sempre parlando uno che ha scritto canzoni moderne allacciandosi alle tradizioni del gospel (Loves Me Like a Rock) e degli inni religiosi (Bridge Over Troubled Water). E poi le domande a carattere spirituale sono sempre state parte del suo repertorio, da Mother and Child Reunion fino all’album del 2011 So Beautiful or So What dove poneva alcune Questions for the Angels: “Mi sveglierò da questi sogni violenti coi capelli bianchi come la luna al mattino?”.
Nel nuovo album le domande diventano comandi, come quando in Your Forgiveness invita a immergere la mano “nell’acqua del Cielo, nell’immaginazione divina”. Al centro del disco ci sono i concetti di caducità e di vita dopo la morte. E del resto, se c’è uno che nelle canzoni sa fare i conti con la vita, quello è Paul Simon. Lo fa anche in Seven Psalms. Frammenti di testi gli sono apparsi in sogno, letteralmente. Il risultato finale è sia la testimonianza della sua bravura di songwriter, per come li ha elaborati, sia il frutto dell’idea di evocare questo stato onirico.
La musica è severa, a volte solenne, come del resto s’addice a dei salmi. Ma è anche sorprendentemente varia. Simon è un gran chitarrista e qui il suo modo di suonare ha una bellezza intricata e particolare, ad esempio nel salmo blues My Professional Opinion. Percussioni stratificate, armonie vocali (i britannici Voces8) e archi aggiungono consistenza ad arrangiamenti simili a un sudario. E alla fine dell’album, s’ascolta la voce di Edie Brickell, moglie del cantautore.
Ma è il talento di Paul Simon nell’evocare una spiritualità che è anche terrena a rendere il disco coinvolgente, stiamo pur sempre parlando di uno dei maggiori cantautori americani di sempre. “Ho sentito parlare due mucche / Una ha insultato l’altra / La mia opinione professionale / è che tutte le mucche del paese dovrebbero essere responsabili”, canta Simon, dimostrando di non aver perso il senso dell’umorismo, nonostante il carattere dell’album.
Da un frammento ricorrente titolato The Lord apprendiamo che “il Signore è il mio ingegnere del suono, il Signore è il mio produttore, il Signore è la musica che sento / giù nella valle dell’inafferrabile”. E il finale in cui Simon e Brickell cantano armonizzando “bimbi, preparatevi, è ora di tornare a casa” è esattamente quel che t’aspetti da un grande autore e con un bagaglio di saggezza accumulato nell’arco di decenni.
Da Rolling Stone US.