L’anno scorso i Wednesday hanno pubblicato una raccolta di cover intitolata Mowing the Leaves Instead of Piling ‘em Up. Non era solo la migliore uscita di una band della North Carolina con un titolo incentrato sulla cura del prato dai tempi dei Superchunk Mower. Era anche un distillato delle radici del singolare indie rock sudista dei Wednesday. Nella tracklist c’erano shoegaze anni ’90 (Medicine) e shoegaze recente (Hotline TNT), musicisti tragici e leggendari (Vic Chesnutt, Chris Bell), un eroe della chitarra punk (Greg Sage), alt rock scontroso (Smashing Pumpkins), alternative country ad alto tasso alcolico (Women Without Whiskey dei Drive-By Truckers), vero country alcolico (She’s Acting Single di Gary Stewart) e honky-tonk straziante (Roger Miller). Eppure tutto si teneva. Con influenze del genere, è inevitabile fare musica emotivamente forte e difatti i Wednesday la fanno in Rat Saw God.
“Dio, rendimi buona, ma non del tutto”, canta Karly Hartzman all’inizio dell’album definendone il tono magnificamente tribolato. Con due chitarristi e un musicista che suona la lap steel, i Wednesday sono rootsy e al tempo stesso casinosi. Il loro ultimo album, Twin Plagues del 2021, era deliziosamente grottesco e l’anno scorso il chitarrista MJ Lenderman ha pubblicato il fantastico Boat Songs. Ora Rat Saw God mette i Wednesday sullo stesso piano dei grandi sconvolti che tanto ammirano. Se siete fan delle Boygenius o dei Big Thief, apprezzerete il songwriting di Hartzman. E se non vi dispiace farvi venire l’emicrania, vi piaceranno certi vortici elettrici sul modello dei My Bloody Valentine.
Il culmine sono gli otto minuti d’angoscia di Bull Believer, che è basata sulla dinamica vuoti-pieni tipica dei Nirvana e dei Pixies, con Hartzman che passa da un’immagine cruda (il finale macabro di una corrida) a un momento autobiografico: “Svenuta su un divano a una festa di capodanno / seduta sulle scale con un’emorragia nasale che non finisce più / tu giocavi a Mortal Kombat“. La canzone si chiude in un’orgia di violenza, con Hartzman che su una base rumorosa urla ripetutamente “finiscilo!”, la frase che si sente in Mortal Kombat prima che a un giocatore vengano strappate le budella.
Non tutto l’album è altrettanto intenso, ma è anche vero che non ci sono canzoni facili. Persino gli spazi considerati sicuri diventano pericolosi, come quando Hartzman prende la scossa durante le prove della band in I Got Shocked. In Formula One un camion viene distrutto finendo contro un cavalcavia, mentre degli uccelli si schiantano sul parabrezza. Chosen to Deserve fa venire in mente i Drive-By Truckers più esplosivi (che vengono citati in un’altra canzone), mentre Hartzman canta di bevute al liceo e di ragazzi che si fanno di Benadryl finché uno di loro non finisce in ospedale. “Se mi state cercando, sono nel retro di un suv che lo faccio in un vicolo cieco, sotto un albero di corniolo”. Ah, la gioventù.
Ce n’è abbastanza per mettere assieme una raccolta di racconti di Flannery O’Connor in chiave “sballo sudista”. I Wednesday riescono sia a risucchiarvi nel loro mondo col suono delle chitarre, sia a spaventarvi con le loro storie di formazione e di abisso rurale-urbano. Ma le canzoni sono talmente dirette che quasi non ci si accorge del numero di morti che vengono citati (come quello che crepa per ragioni sconosciute nel parcheggio del Planet Fitness in Bath County).
Hartzman si cala in modo credibile nel personaggio della bifolca e in Quarry canta che “i genitori dei fratelli Kletz litigano in cortile in mutande, Bobby e Jimmy stanno nella piscina dei bambini coi pidocchi nei capelli”. È una messa in scena grottesca, affascinante e geolocalizzata. E però qua dentro c’è anche qualcosa di universale. Al centro dell’album c’è un tipo d’esperienza in cui ci si può riconoscere: rivendicare il passato, per quando t’abbia fottuto, perché è ciò che ti ha reso quel che sei. “I ricordi rigirano il coltello nella piaga”, canta Hartzman in Turkey Vultures. È un bello schifo, ma almeno adesso hai una grande band.
Da Rolling Stone US.