Nel settimo album dei Weather Station, la canadese Tamara Lindeman è arrivata a tanto così dal creare l’equivalente per gli anni ’20 di Court and Spark, il discone di Joni Mitchell a cui tanti artisti indie moderni sognano di avvicinarsi. S’intitola Humanhood, mescola meravigliosamente pop, folk, rock, jazz e ambient, racconta in modo poetico momenti di crisi personale, transizione e catarsi.
Molti testi di Ignorance, acclamatissimo disco dei Weather Station del 2021, erano dedicati all’imminente disastro causato dal cambiamento climatico. Questa volta affronta problemi personali. “Mi sono abituata a sentirmi come se fossi pazza o semplicemente pigra / Perché non riesco a rialzarmi e a pensare lucidamente?”, canta Lindeman in Neon Signs, una riflessione sul tentativo di dare un senso a un mondo in cui l’esperienza, il desiderio, l’idea di comunità e la passione sono cose aliene oppure mercificate. “Tutti giurano di aver bisogno di te / E solo di te per fare quell’acquisto”.
Il resto del disco parla della ricerca di una via di fuga da questa situazione. In Window la musica si libra mentre Lindeman canta di uscire letteralmente dalla finestra per avere una visione più lucida delle cose. Body Moves, con quel suo groove avvolgente, l’organo da chiesa e la melodia in dolce crescendo, parla del modo in cui cerchiamo di ingannare noi stessi per sentirci migliori di quanto in effetti siamo. La title track parte con un sound che può ricordare la musica dei gamelan per poi trasformarsi in un’invocazione che parla di trovare la catarsi nuotando in una spiaggia affollata, una specie di versione personale ed estatica dell’immaginario battesimale tipico della tradizione blues.
Irreversible Damage inizia con degli esercizi di respirazione e diventa un monologo sulla necessità di venire a patti col tracollo personale e ambientale su una melodia a metà strada tra gli Stereolab e Rickie Lee Jones. La lenta e silenziosa Lonely comincia come una riflessione su quant’è triste la solitudine per poi soffermarsi su un’immagine rassicurante: suonare nel proprio bar preferito con degli amici fidati.
Questo senso di comunità emerge nelle trame dense della musica, che è arrangiata in modo complesso ma è sempre all’insegna di un’interazione organica, in particolare nel modo in cui il pianoforte di Lindeman e l’accompagnamento dei fiati di Karen Ng incontrano l’energia dell’ottima sezione ritmica della band.
Nei sei minuti di Sewing, che chiude l’album, Linderman cuce assieme gli scampoli di un’idea su come continuare ad allontanarsi “da orgoglio e vergogna, bellezza e colpa”. Ci sono solo il suo pianoforte a volume basso, qualche colpo di batteria, un strano e lieve tocco orchestrale. “Tutto ciò che posso fare è cucire tutto insieme in questa cosa che sto facendo con te”, canta Linderman. Non conta tanto quel che ne uscirà fuori. Conta il fatto che Humanhood è uno di quei dischi che dà la sensazone che questa felicità sia meritata.
Da Rolling Stone US.