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Eminem ci prova, ma fallisce: la recensione di ‘The Death of Slim Shady’

È uno dei migliori rapper di sempre, eppure nel nuovo album sembra un cabarettista che ha finito le battute e ripete quelle di 25 anni fa

Foto press

Qualunque siano le ragioni che hanno spinto Eminem a pubblicare The Death of Slim Shady (Coup de Grâce), di certo non c’entrano i soldi, né tantomeno il bisogno di diventare ancora più famoso. Non è perché aveva qualcosa di forte da dire o opinioni, sentimenti e idee da condividere. Non lo ha fatto nemmeno per ricordarci che è un artista fuori dal comune, visto che l’ha già ribadito al Super Bowl di un paio d’anni fa. Direi che le cose sono molto più semplici: essendo un’anima sensibile, Eminem ha bisogno di conferme. Ha bisogno che ogni tanto qualcuno gli dia una pacca sulla spalla e gli dica: «Non male, dai, ci hai provato». Il pezzo con cui è tornato, Houdini, contiene una battuta sui premi di consolazione e quest’album è esattamente questo. Eminem è diventato un collezionista di premi di consolazione e ora può esporre The Death of Slim Shady nella vetrinetta assieme agli altri. Non male, dai, ci ha provato.

The Death of Slim Shady è il disco di una star impanicata che si sforza fin troppo di rassicurare tutti quanti e soprattutto se stesso di essere quello di un tempo. Nei testi torna a ribadire quant’era forte da giovane e ripete trucchi che nel 2024 sono vecchi. “Era solo un ragazzo di Detroit che sapeva come spaccare in sala di registrazione”, ricorda nella nostalgica Habits. Una cosa è certa: quel ragazzo non aveva intenzione di riciclare le stesse battute per tutta la vita. Ma Eminem oramai non riesce a immaginare altro. Come diavolo è successo?

Ha una devota fanbase della generazione X che brama i suoi virtuosismi e quindi vende ancora tantissimi dischi, questo è un dato di fatto. I suoi album hanno sempre avuto una ragione di esistere precisa, ad esempio in Kamikaze se la prendeva con il mumble rap. Non è il caso di The Death of Slim Shady dove continua a vantarsi di aver una scrittura tagliente e controversa, ma nessuno degli yes men presenti in studio ha avuto sufficiente coraggio (o rispetto) per spingerlo a dare di più, il che se ci pensate è piuttosto triste. Ogni volta che rappa parole come “woke”, “cancellato” o “transgender” viene in mente l’immagine del proprietario di Playboy Hugh Hefner nella serie Girls Next Door, quando nessuna delle ragazze ha il coraggio di dirgli che il cappello da marinaio lo fa sembrare un idiota.

C’è un concept portante: Marshall Mathers ha ucciso Slim Shady. Non è la prima volta che ci prova e non sarà certo l’ultima. Dr. Dre produce i due brani più vivaci, Lucifer e Road Rage. JID eccelle nell’altrimenti flaccida Fuel, mentre le strofe di Ez Mil, Babytron e Jelly Roll brillano. Sono tutti qui a rendere omaggio a Eminem, cercando al tempo stesso (senza peraltro riuscirci) di non metterlo in ombra.

Per quanto riguarda le rime, The Death of Slim Shady è un mix di tutti gli speciali di stand-up comedy di Netflix che avete guardato con vostro zio nel Natale del 2017, quand’era troppo ubriaco per riaccompagnarvi a casa. Eminem non ha granché da offrire. Se la prende con Caitlin Jenner (googlate il nome, è una storia che fece discutere secoli fa), con Michael Jackson (che è morto da un pezzo) e con la polizia dell’internet della gen Z (che sarebbe un tema, secondo lui). Il miglior diss contro una celebrità è una battuta su David Carradine che The Weeknd ha fatto otto anni fa. Non cita Drake, fa battute spuntate su Kanye e sul flauto di André 3000, si lascia sfuggire l’occasione di rappare su Diddy. Il gioco di parole migliore è in Bad One: “You said you’re looking for miniature golf / Thought you said men to jerk off” (“Hai detto che stai cercando un minigolf / Pensavo avessi detto uomini da masturbare”).

The Death of Slim Shady arriva in tempo per il 25° anniversario del debutto su major The Slim Shady LP. All’epoca di quel disco di culto le possibilità creative del rapper sembravano infinite. Era una voce nuova, fresca, che prima di diventare una superstar rappava di lavori di merda e di bullismo al liceo, non di problemi legati alla fama.

L’anno dopo ha centrato un successo ancora più grande con The Marshall Mathers LP. Trovato un suo modo di fare rap, Eminem ha deciso in età sorprendentemente giovane di smettere di cercare nuove idee. Ha compiuto 50 anni, non è vecchio, ma forse per orgoglio s’aggrappa a opinioni che si è formato ai tempi dell’adolescenza e cerca di farne un punto di forza. Dà ancora la colpa dei suoi problemi alle donne, ha paura dei trans, si infuria all’idea di persone strane che fanno cose strane, continua a lamentarsi della madre. E intanto implora di essere cancellato da un segmento di pubblico che non se lo fila di striscio e che manco ha idea che si sta rivolgento a lui.

È brutto pensare che nessuno che ha lavorato all’album gli ha detto di inventare qualche nuova battuta o ascoltare un po’ di musica nuova. Va detto però che Eminem non sembra particolarmente aperto a sentire pareri altrui. “Mi succhio l’uccello meglio di te” è una battuta che non funziona come crede lui.

Ascoltare The Death of Slim Shady fa venire in mente uno dei brani forti del rapper, Purple Pills con i D12 del lontano 2001. Conteneva una delle sue classiche sfuriate a tutta velocità. “Mr. Guai con un asso nella manica / Per rotolare da te come Christopher Reeve” (“Mr. Mischief with a trick up his sleeve / To roll up on you like Christopher Reeve”). All’epoca si poteva ridere della battuta o arrabbiarsi o magari starci male. Ma nessuno, nemmeno il suo peggior nemico, poteva immaginare che due decenni dopo Eminem avrebbe fatto ancora battute su Christopher Reeve e anzi ne avrebbe ripetuta una per un’intera canzone, quando gli sarebbero bastati tre secondi per farla. Brand New Dance è già abbastanza triste di per sé, ma lo diventa ancora di più quando Eminem si nasconde dietro il fatto che si tratterebbe di una vecchia outtake che era stata censurata (certo, come no) perché era troppo audace (certo, come no), forse lui stesso imbarazzato dal fatto che questo è il meglio che può dare oggi.

Non è questo il futuro che immaginavamo per Eminem nel 2001. Manco Christopher Reeve gli avrebbe augurato un simile destino. Dopo tanti anni c’è da chiedersi se qualcuno avrà mai il coraggio di dirgli che potrebbe avere ancora un sacco di cose da dire se solo lo desiderasse abbastanza da darsi una mossa.

Da Rolling Stone US.

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