I Bon Iver hanno visto la luce: la recensione di ‘Sable, Fable’ | Rolling Stone Italia
La fine o un nuovo inizio?

I Bon Iver hanno visto la luce

Fine dell’isolazionismo. In ‘Sable, Fable’ Justin Vernon rompe il ciclo nefasto di tristezza e dolore per «abbandonarsi all’amore». È l’epilogo del gruppo?

I Bon Iver hanno visto la luce

Bon Iver

Foto: Graham Tolbert

Sono quasi vent’anni che Justin Vernon aka Bon Iver è un pilastro dell’indie. Dal debutto For Emma, Forever Ago, disco cult isolazionista scritto in una baita nei boschi del Wisconsin, Vernon ha cambiato più volte stile. È successo ad esempio in 22, A Million del 2017, che era sì un disco folktronico e musicalmente lontano da quel che ci si aspettava da Vernon, ma comunque il ritratto di un uomo in crisi. Nei testi di Vernon ci sono sempre state una nota d’inquietudine e la tendenza all’introspezione che l’ha confinato a volte nel ruolo del cantautore malinconico e dal cuore infranto.

In autunno, dopo cinque anni senza dischi a nome Bon Iver, Vernon ha pubblicato un trittico di canzoni. L’EP Sable, parola che indica il buio pesto, è sembrato una sorta di bilancio finale. “Niente è andato come credevo”, canta nel suo caratteristico falsetto in S P E Y S I D E, parole che suonano più come una liberazione attesa a lungo che come il riconoscimento di una sconfitta. Nella sobria dossologia di Awards Season, Vernon volge lo sguardo verso un sentiero più luminoso: “E sai cos’è meraviglioso? Che niente resta uguale”.

Se in Sable c’è un Vernon in fase di espiazione, nei nove brani aggiunti all’EP per arrivare a comporre il nuovo album Sable, Fable (che il musicista scrive come SABLE, fABLE) lo vedono finalmente cedere alla leggerezza. Short Story è forse il pezzo che più ricorda il Bon Iver degli ultimi album. Dura poco meno di due minuti, è costruito stratificando una cacofonia di synth, fiati e vocoder, come se Vernon stesse ringraziando gli strumenti dietro cui si è nascosto, per poi liberarli un’ultima volta. “Il tempo guarisce e poi si ripete”, canta, accettando la natura rigenerativa delle cose. “Non sei ancora andato troppo in profondità”.

Short Story si fonde armoniosamente in Everything Is Peaceful Love, il singolo chiave di Fable. Le armonie vocali si librano su un tempo quasi metronomico, come se Vernon fosse determinato a mantenere un ritmo costante mentre pensa a una nuova relazione. Solo poche volte si abbandona alla consapevolezza della possibilità di soffrire per amore. “Come faccio a sapere se un giorno cambierai strada?”, “Durerà per molto, molto tempo?”.

C’è un senso di trascendenza in Fable, con la maggior parte delle canzoni in tonalità maggiore sostenute da percussioni incalzanti e un sacco di pedal steel e melodie pop trionfali. Incline alle collaborazioni, piazza Dijon e i Flock of Dimes nell’allegra Day One, Danielle Haim in I’ll Be There e per un duetto meditabondo in If Only I Could Wait, mentre le voci di Kacy Hill e Jacob Collier si alternano per tutto il disco prodotto da Jim-E Stack.

Una delle prime volte in cui Vernon ha parlato dell’album è stata a febbraio. Durante il podcast in diretta On Being di Krista Tippett ha descritto Fable come una «combustione controllata», che esprime il «dramma e l’odissea di abbandonarsi all’amore e all’amare». Ma il disco racconta molto più di una semplice storia d’amore: rappresenta un uomo che lascia andare totalmente alla speranza, coi palmi delle mani rivolti verso l’alto, pronto e desideroso di rifiatare.

In Things Behind Things Behind Things, la prima canzone di Sable, Vernon dice che “vorrei che quella sensazione sparisse”. In There’s a Rhythmn, ultimo pezzo di Fable prima di una cosa strumentale, pone una domanda fondamentale: “Posso sentirmi in un altro modo?”. Dopo questo viaggio, la sua voce è più bassa e più decisa. “Posso davvero lamentarmi di essere ancora qui?”. Con Sable, Fable, che l’etichetta Jagjaguwar ha definito «l’epilogo» dei Bon Iver, Vernon è pronto a rompere il ciclo della tristezza e del dolore, per camminare verso la luce.

Da Rolling Stone US.

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