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Il bootleg ufficiale di Neil Young al Rainbow è un casino formidabile

Una delle serate più strane nella storia live del rocker è finita su disco. Il concerto tratto dal tour di ‘Tonight's the Night’ è sciatto, trasandato, grezzo. Come Neil Young in quei giorni del 1973

Illustrazione di Rolling Stone US. Foto: Gijsbert Hanekroot/Redferns/Getty Images (1, 2); Howard Barlow/Redferns/Getty Images (3)

Neil Young sapeva che Tonight’s the Night era un disco bello impegnativo. Lo diceva nel 1975 a Cameron Crowe: «Se vuoi sentire un disco alle 11 del mattino, non mettere su Tonight’s the Night, metti i Doobie Brothers».

Lo si capiva ancor prima d’ascoltarlo. Bastava guardare la copertina inquietante dove Neil Young è in piedi sul palco al buio, con indosso una giacca, un dito alzato verso il microfono, la bocca che accenna un sorrisetto sinistro. Si direbbe che i capelli lunghi fino alle spalle non siano stati lavati da giorni e fanno pendant alla barba incolta che s’intravede a pochi centimetri dall’armonica a bocca. Per non parlare del fatto che Young indossa degli occhiali da sole da aviatore. Al chiuso. Di sera.

La foto è stata scattata il 5 novembre 1973, quando Young e la sua band, i Santa Monica Flyers (Nils Lofgren alla chitarra, Ben Keith alla pedal steel e la sezione ritmica dei Crazy Horse composta dal batterista Ralph Molina e dal bassista Billy Talbot) si sono esibiti al Rainbow Theatre di Londra. Quello stesso concerto è contenuto nella più recente pubblicazione tratta dagli archivi di Young, l’incredibile Somewhere Under the Rainbow.

Rainbow non riserva particolari sorprese. Young ha pubblicato parecchi dischi d’archivio nel corso degli anni, da Songs for Judy del 2018 (tratto da una serie di show acustici del 1976) a Way Down in the Rust Bucket del 2021 (dal vivo con i Crazy Horse, nel 1990) a Noise and Flowers del 2022 (con i Promise of the Real nel 2019). Rainbow è comunque degno di nota perché il team di Young non era riuscito a registrare nessuno degli spettacoli del tour di Tonight’s the Night (che comprendeva tappe negli Stati Uniti, in Europa e in Canada), costringendo nell’ultimo mezzo secolo i fan più accaniti a ricorrere al mercato dei bootleg. Nel 2018 abbiamo avuto modo di ascoltare i concerti turbolenti tenuti al Roxy di Los Angeles che hanno preceduto il tour. Oggi possiamo finalmente sentire quel che è accaduto subito dopo.

Neil Young coi Santa Monica Flyers al Rainbow di Londra, 5 novembre 1973. Foto: Gijsbert Hanekroot/Redferns/Getty Images

Il disco immortala una serata stranissima in cui al pubblico che aspetta impaziente gli amati gioiellini di Harvest, canzoni del tipo eccoci-seduti-su-una-balla-di-fieno-in-un-ranch, vengono serviti pezzi inediti abbinati a strani commenti su due persone di cui non ha mai sentito parlare. Sono state infatti le morti per overdose del chitarrista dei Crazy Horse, Danny Whitten, e del roadie Bruce Berry a ispirare Tonight’s the Night, che conteneva i sequel di The Needle and the Damage Done (ovvero la title track e Tired Eyes) ed esprimeva disillusione verso gli ideali degli anni ’60 (Roll Another Number).

Tonight’s the Night è lo zio che che arriva ubriaco a una veglia funebre e però racchiude il meglio del country-rock catartico e lugubre, straziante e meraviglioso. «È stata un momento di guarigione e consolazione, dato che stavamo cercando di fare i conti col fatto che tutti i nostri amici e i nostri eroi stavano iniziando a morire», ha spiegato Lofgren a Rolling Stone.

Su un palco decorato in modo kitsch per evocare la Florida, a partire da una palma finta, Young ha tracannato tequila e salutato i presenti in modo sconclusionato, dando loro il benvenuto a Miami Beach, dove «tutto è più cheap di quanto sembri». In sostanza, era alla frutta.

Lo era pure il pubblico. «Per quasi due ore abbiamo assistito all’esposizione del Neil Young-pensiero su tutto ciò che gli passava per la testa», commentava un fan su Melody Maker in un articolo titolato “Go home Neil Young!”. «Posso solo dire che le voci che circolano devono essere vere: il vero Neil Young è morto». A quanto pare, buona parte dei fan ha preferito il gruppo d’apertura, una certa band californiana emergente: «Grazie al cielo c’erano gli Eagles, che hanno salvato la serata dal fallimento». Un critico musicale di un quotidiano del Regno Unito stroncò il concerto con fare tipicamente british, definendo l’esibizione di Young un «petardo bagnato». Ce lo immaginiamo Young che in preda ai postumi della sbornia scoppia a ridere e si bea di fronte a questi commenti.

In effetti è difficile non avere la stessa reazione ascoltando Rainbow, registrato da Pete Long, autore del libro sui tour di Young Ghosts on the Road. Sono di Long anche le note di copertina, mentre negli inserti della copertina del vinile ci sono foto di Whitten e Berry. Sembra di essere proprio lì, tra la folla sudata, mentre Young arranca eseguendo i pezzi preferiti dai fan come Mellow My Mind e Albuquerque. Gli sproloqui sono troppo esilaranti per non volerli riascoltare più volte. Prima di Tired Eyes, si sente un fan arrabbiato che chiede a gran voce «rock’n’roll!». «Mi piacerebbe andare a sentirne un po’», risponde Young, «magari più tardi».

Young cede verso la fine e propone canzoni molto amate come il classico di CSNY Helpless e una Cowgirl in the Sand di quasi 13 minuti. Uno dei momenti topici è quando fa Tonight’s the Night per la seconda volta e tira fuori Flying on the Ground Is Wrong dei Buffalo Springfield. L’odissea psichedelica risalente a sette anni prima è perfetta per quel momento, soprattutto per l’attacco: “Il mio mondo non sta crollando? Sono a pezzi, a terra”. L’interpretazione dolce e bellissima di Human Highway sembra quasi dargli un attimo di sollievo dal caos.

Tonight’s the Night sarà sempre avvolto nell’oscurità, lo stesso Young lo definisce la sua pecora nera. Ma Somewhere Under the Rainbow è piena di magia anche se è sciatto, trasandato, grezzo. Non è China Grove e va bene così.

Da Rolling Stone US.

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