POV: hai fumato, vedi il diavolo e gli dici che è un limone. Ora sei una rana, ti metti a testa in giù e bevi birra direttamente dal fusto. Attorno a te ridono tutti finché non cacci fuori la lingua e catturi una mosca. In una canzone stai scappando da qualcuno che vuole accopparti, in quella dopo sei tu il ricercato. Facciamo che hai un dente che ti fa impazzire di dolore e pensi di strappartelo con una pinza. Anzi, sei strafatto, sbalordito o chissà cos’altro e ripeti in modo ossessivo quattro parole: un-milione-di-dollari. Solo questo: un-milione-di-dollari.
Il mondo è impazzito, tanto vale abbandonarsi al caos, forse anche celebrarlo, sicuramente cantarlo. Gli americani 100 Gecs, vale a dire i quasi trentenni Dylan Brady e Laura Les, lo fanno nel secondo album 10,000 Gecs. È musica che apparentemente non vuole o non riesce più a dare un senso al mondo, ma suggerisce di ballarci su in modo sgraziato e fare headbanging e devastarsi in una festicciola in una casa imballata di ciarpame, alla periferia di tutto. Sono fuochi d’artificio accesi in salotto, come nel video di Hollywood Baby. È il suono giocoso dell’anarchia nel 2023.
La musica dei 100 Gecs somiglia alla nostra vita digitale, un saltabeccare frenetico da un’immagine all’altra, da un suono all’altro, da una cazzata all’altra. È un disco che poteva nascere solo nell’epoca dell’all you can eat musicale, con la storia del pop a portata di clic, pronta per essere frammentata e consumata seguendo la sola logica del gusto personale. E difatti l’album è un grande affastellamento di cose: il pop-punk e lo ska, i campionamenti dell’hip hop e i riff del nu metal, i suonini della chip music e gli staccati dei Primus. È la PC Music portata al Warped Tour.
A differenza di altri album prodotti con lo stesso spirito allegramente anarchico, 10,000 Gecs ha i pezzi. Ed è più tradizionalmente rock del precedente 1000 Gecs grazie al quale il duo è diventato uno dei simboli dell’hyperpop. Da «famolo strano» i due sono passati al «famolo bene». Nel primo c’erano 10 canzoni, 23 minuti, voglia di rimettere dopo averlo ascoltato la prima volta, voglia di rimetterlo dalla seconda in poi. Questo (10 canzoni, 27 minuti) è un disco rock fatto e finito. Altroché hyperpop, è quello che all’inizio degli anni ’90 veniva chiamato alternative rock, con costruzioni musicali interessanti e spesso imprevedibili, un gioco continuo di invenzioni, un batterista tosto come Josh Freese. Prende dal pop schizzato e digitalizzato la tendenza allo spiazzamento continuo, alla posa ironica e alla distorsione delle voci (Les ha preso lezioni di canto e oggi si nasconde meno dietro all’Auto-Tune), dal rap la sfacciataggine e certe cadenze, dall’emo la sensazione che il canto sia sull’orlo del collasso emotivo, quando invece è tutto frutto di un incasinato slancio vitale, di un’iperattività contagiosa.
“Non saprai mai nulla di me-me-me” canta Dylan nella giocosa Mememe. Apparentemente, i 100 Gecs se ne fregano del valore supremo del rock tradizionale, vale a dire la sincerità. Forse non per caso il disco è aperto dall’accordo caratteristico della Lucasfilm, la THX Deep Note, come a dirci: occhio, vi state avventurando in un mondo di fantasia, non prendere questa roba troppo sul serio, è fiction. Ogni cosa nella loro musica e nei loro testi è alterata e trasfigurata, grazie al cielo lontana dalla banalità comunicativa del pop di oggi, tutto confessioni tanto dirette quanto pelose. Questa però non è una band da meme, non è uno scherzo ben elaborato. Dietro c’è una musicalità che è raro trovare di questi tempi e c’è il mondo dei due, la loro vita che s’intravede nei testi che a una prima lettura sembrano semplicemente deliranti.
Da quant’è che non si sentiva un disco rock tanto strambo e divertente, esaltante e allo stesso tempo pop, viscerale e spassoso? Così eccitante e ben fatto, insomma? Laura Les e Dylan Brady hanno da tutt’altra formazione anche culturale, eppure 10,000 Gecs è una bella notizia per una musica che da una parte è intossicata dalla nostalgia e dall’altra ha perso la vivacità d’un tempo. Che il rock riparta da questa declinazione dell’assurdismo, ché di retromaniaci e morti viventi non se ne può più.