La recensione di 'Casa Gospel' di thasup e Mara Sattei | Rolling Stone Italia
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In ‘Casa Gospel’ di Thasup e Mara Sattei c’è tanto Dio, ma poca illuminazione

Per la prima opera assieme i fratelli Mattei ripescano dalla loro storia familiare, puntando a un album piuttosto alto e ambizioso. Tra Kanye West, cori da chiesa protestante e la Disney, si rischia però l'effetto oratorio

In ‘Casa Gospel’ di Thasup e Mara Sattei c’è tanto Dio, ma poca illuminazione

Mara Sattei e Thasup

Foto: press

Non si può dire che non sia ambizioso: Casa Gospel, l’esordio discografico congiunto dei fratelli Mattei – Mara Sattei e thasup -, è un disco di otto tracce che pescano a piene mani dalla tradizione delle chiese protestanti, affrontando temi spirituali – non necessariamente religiosi – e riallacciandosi idealmente alla comune infanzia trascorsa a guardare la madre cantare in un coro gospel, prima fonte di trasmissione della passione per la musica che negli anni ha investito entrambi.

Si tratta di un lavoro difficile, non tanto da comprendere quanto da digerire: intanto perché le aspettative erano molto alte, tra il face reveal di thasup e la campagna di annuncio con il pre-order cieco e quella di guerrilla marketing che ha riempito Milano di chiavi con un indirizzo il cui citofono trasmetteva degli spoiler del disco; poi perché l’incontro tra urban e tematiche religiose ha dei precedenti importanti, ma in Italia quasi nessuno aveva mai osato. I motivi possono essere diversi, forse il più rilevante è che la maggior parte di noi associa alla chiesa moderna una delle peggiori proposte musicali della storia dell’umanità, e quindi prima ancora della scarsa popolarità di Dio nelle generazioni più giovani, pesa la scarsa qualità delle influenze musicali derivanti dall’educazione cattolica. Ma l’educazione dei Mattei non è cattolica, bensì protestante: una differenza sostanziale, se non altro perché il gospel protestante è un genere musicale strutturato e ricco di spunti. Sta di fatto che il primo grande tentativo in questa direzione arriva da loro.

thasup, Mara Sattei - EGLI È IL RE

Il primo ascolto del disco è difficile: Egli è il re e Posto mio, le due tracce di apertura, tradiscono ogni aspettativa di introspezione cupa e conscious che i precedenti americani (leggasi: Kanye West) suggerirebbero, e si presentano come due tracce al limite del musical disneyano, che lasciano perplessi per la loro sfacciataggine sonora e per i contenuti lirici. In ogni caso la prima traccia è la rivisitazione di un brano del repertorio gospel, la seconda invece esplora il topos della solitudine colmata da una presenza superiore. Un inizio zoppicante che si riprende parzialmente con Bless su bless, in cui i due fratelli sembrano rientrare nel loro territorio, in cui il flow melodico inconfondibile di thasup sembra più ispirato e in cui l’utilizzo intelligente di un organo hammond e la gestione del dialogo con il coro attenuano l’impressione iniziale che il riferimento al gospel si limitasse all’ingenua introduzione di sample della tradizione e all’utilizzo fine a sé stesso di un coro nel ruolo normalmente assegnato alle cosiddette sporche. Segue una specie di divertissement in chiave jazz/ragtime dal titolo Back to Back in cui, nonostante la tentazione di pensare agli Aristogatti che vogliono fare jazz, con la dovuta attenzione si può apprezzare la reinterpretazione di un genere armonicamente cristallizzato quasi un secolo fa attraverso l’utilizzo di timbri e sonorità attuali, e comunque per qualche strana alchimia spinge al re-play.

La prima metà del disco passa così, nel segno della perplessità e delle domande sul perché siano state scelte determinate reference per un lavoro così ambizioso. Il “lato B” invece ricorda il Liverpool di Istanbul del 2005: una rimonta inaspettata, quando tutto sembrava irrimediabilmente compromesso, che inizia con Come polvere, forse il brano più bello di tutto il lavoro, in cui le scelte di produzione sono particolarmente ispirate. O forse è semplicemente il brano più introspettivo e conforme alle aspettative iniziali, e quindi più appagante a primo impatto. Psicologia dell’ascolto a parte, il brano è costruito su un gioco di costante tensione ritmica e armonica, con delle linee di pianoforte intimistiche sul registro alto in contrasto con la frenesia delle percussioni, che non sfocia mai in un groove vero e proprio. So che ci sei è più semplice a livello di struttura e di armonia, e ha delle scelte strumentali forse eccessivamente epiche (il giro armonico è un classico del moderno pianismo “paesaggistico” alla Einaudi), ma è nel complesso è un buon brano in cui si assiste forse alla migliore performance di Mara Sattei all’interno del disco.

thasup, Mara Sattei - COME POLVERE

Con One King si raggiunge invece il punto massimo per quanto riguarda il groove e il flow: costruito su un giro di organo semplice ma molto efficace il brano fa muovere la testa e riesce a conciliare la tematica con una discreta aggressività urban che non sfigura nel contesto e prepara il terreno per l’ultimo brano in cui torna a salire in cattedra il pianoforte. Dopodiché il disco termina, e la perplessità rimane, ma dopo qualche ascolto di conferma l’impressione è che più che altro sia stata sbagliata la scaletta, e il disco nel complesso paghi l’azzardo di iniziare con i due brani più “oratoriali”, che hanno la colpa quindi di condizionare l’impressione complessiva che lascia il disco. Che sicuramente sarà divisivo: a livello tecnico è realizzato molto bene, l’idea di partenza è particolare e il fatto che sia così profondamente legato alle storie personali dei due fratelli e della loro famiglia sono tutti fattori di interesse; le reference gospel forse non sono sfruttate nel migliore dei modi e in alcuni punti sembrano forzate, tradendo una certa leggerezza nel rapporto con le fonti, compensata del resto dalla scioltezza che rende thasup un veterano della produzione a soli 23 anni. L’impressione sulla performance di Mara Sattei è che venga valorizzata dai pezzi con più flow, mentre in contesti più melodici associati a questo tipo di armonie e produzioni risulti eccessivamente “rassicurante”.

Attenzione però alla lunga distanza: probabilmente questo disco richiede un mood e una predisposizione all’ascolto molto distanti nello spazio e nel tempo rispetto a quello a cui siamo abituati e che sentiamo come più vicino alle nostre realtà. Se da un lato questo genera inevitabilmente delle perplessità, è allo stesso tempo un presupposto necessario intanto per far parlare di sé, e poi anche per candidarsi al ruolo, a lungo termine, di lavoro di culto per chi riuscirà a sviluppare un senso di appartenenza verso il disco. In ogni caso nel disco c’è tanto Dio, ma poca illuminazione: resta da decidere se da parte nostra o dei fratelli Mattei.

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