Joni Mitchell, la recensione di Archives Volume 3 The Asylum Years | Rolling Stone Italia
Fuoriclasse

Joni Mitchell faceva quel che voleva, ascoltare ‘Archives Volume 3’ per credere

Il box set contenente provini, versioni alternative e performance live ci riporta alla prima metà degli anni ’70, quando Joni ha cambiato la canzone d’autore

Joni Mitchell faceva quel che voleva, ascoltare ‘Archives Volume 3’ per credere

Joni Mitchell

Foto: Michael Ochs Archives/Getty Images

Il terzo volume dei Joni Mitchell Archives inizia col botto. La prima parte contiene un concerto completo alla Carnegie Hall datato 1971, qualche mese dopo l’uscita del fondamentale Blue. Mitchell suona e canta al top, s’accompagna alla chitarra, al pianoforte e al dulcimer e snocciola, uno dopo l’altro, pezzi destinati a entrare nel nuovo canzoniere americano come Woodstock, Both Sides Now, All I Want, Big Yellow Taxi, A Case of You e Carey, quest’ultimo accompagnato da quella che potrebbe essere la prima spiegazione pubblica a proposito dell’uomo che l’ha ispirato. Uno ascolta il concerto e si domanda: sarà mai possibile fare di meglio? La risposta è nelle canzoni come You Turn Me On (I’m a Radio) che finiranno su For the Roses e che si sentono proprio lì alla Carnegie Hall.

Negli album coperti dal box set con registrazioni d’archivio e dal vivo, ovvero For the Roses del ’72, Court and Spark del ’74 e The Hissing of Summer Lawns del ’75, la musica si fa più cupa e riflessiva. Mitchell abbandona qua e là classica narrazione in prima persona per tratteggiare in modo più profondo i personaggi delle canzoni e ingaggia musicisti jazz e fusion per ampliare la tavolozza sonora. In pratica, smantella ogni aspettativa su di lei o su qualunque altro cantautore dell’epoca.

Joni Mitchell Archives – Volume 3: The Asylum Years (1972-1975) permette di capire come cambiavano le canzoni nel passaggio dallo stadio embrionale a quello definitivo, registrate con più musicisti di quanti Mitchell ne avesse mai utilizzati prima. L’evoluzione è evidente soprattutto nel making di Court and Spark, che è sia uno splendido esempio di pop maturo, al pari degli Steely Dan, sia una riflessione appassionata, intima e conflittuale sull’amore. Ovviamente, tutte le canzoni partivano da lei, da Joni. La si sente in una incisione formidabile mentre suona Down to You, Court and Spark e Car on a Hill al pianoforte una dopo l’altra, fino a creare una mini-suite sugli alti e bassi vertiginosi di una relazione. Ecco che le canzoni prendere lentamente forma nelle prime take col sassofonista Tom Scott, il batterista John Guerin, il bassista Max Bennett e altri musicisti, dalla versione alternativa di Trouble Child dal passo più pesante a un’interpretazione di People’s Parties con una sezione ritmica più pronunciata.

Raised on Robbery, il pezzo più spensierato dell’album, fa un giro tutto suo. La take solista di Mitchell è seguita da altri tentativi di dargli forma, tutti scartati. Ce n’è anche uno mal riuscito con Neil Young e la band di Tonight’s the Night (all’inizio del disco, Young e il suo gruppo precedente, gli Stray Gators, si uniscono a Mitchell per una versione di You Turn Me On che rallenta e accelera come un’auto imbottigliata nel traffico, ma senza mai ingranare la marcia giusta). Durante la lavorazione di For the Roses, la cantautrice si cimenta con Twisted di Annie Ross e Wardell Gray. Bonderia, un demo inedito per Court and Spark, è costituto da progressioni di accordi senza testo che ricordano il lavoro sulle accordature aperte di David Crosby, di quello stesso periodo.

Durante il tour di Court and Spark, Mitchell si fa accompagnare per la prima volta da una band. Gran parte di Miles of Aisles, l’album dal vivo che avrebbe pubblicato subito dopo, è stata registrata verso la fine di quella serie di show. Ma è qui, nei 16 pezzi registrati a Los Angeles all’epoca della pubblicazione di Court and Spark, che è immortalata nella forma più fresca e vitale la collaborazione di Mitchell con gli L.A. Express di Tom Scott. Come nel live succitato, alcuni arrangiamenti (vedi ad esempio Rainy Night House) sono più approssimativi degli originali, mentre le canzoni lasciate fuori da Miles for Aisles come Free Man in Paris e Just Like This Train ricalcano le versioni in studio.

Anche in questo terzo volume ci sono piccole curiosità. In studio con James Taylor, all’epoca suo fidanzato, Mitchell si lancia in una cover del divertentissimo rock’n’roll anni ’50 Bony Moronie e Taylor risponde con You Never Can Tell di Chuck Berry. Ci sono anche pezzi che danno modo di saggiare l’abilità di strumentista della cantautrice. In un demo di Just Like This Train, i lick che avremmo poi sentito suonare dagli strumenti a fiato sono già presenti, fatti però alla chitarra.

The Hissing of Summer Lawns è un disco impegnativo, lo è oggi e lo era anche allora. Le storie di gangster, personaggi hollywoodiani e riferimenti ai grandi magazzini di lusso Bloomingdale’s sembrano uscite da un romanzo di Joan Didion, mentre le melodie non hanno nulla dell’accessibilità dei lavori precedenti. Che si ascoltino le sue registrazioni da sola o i primi abbozzi insieme a molti dei musicisti di Court and Spark, la sensazione non cambia, ma le incisioni casalinghe affascinano per come delineano le versioni definitive, un po’ come i demo di Carole King dimostrano quanto studiasse gli arrangiamenti ancora prima che chiunque altro prendesse in mano uno strumento.

Archives – Volume 3 si chiude con un momento rivelatore: una take preliminare, inedita, di Dreamland, racconto vorticoso e surreale dell’imperialismo americano e della tratta degli schiavi, che ricorda la versione più movimentata pubblicata in seguito da Roger McGuinn. Quando Mitchell ha riprovato a farla, in Don Juan’s Reckless Daughter del 1977, ha rielaborato il testo e ha aggiunto percussioni sferraglianti. Il modo in cui ha messo mano radicalmente alla canzone, trasformandola in qualcosa di più esotico e cinematografico, dimostra che Mitchell faceva quel che voleva grazie al potere contrattuale acquisito dopo Court and Spark. Non è diventata pop e basta. Ha fatto in modo che il pop si adattasse a lei. Per questo, musicisti d’ogni genere hanno un debito nei suoi confronti.

Da Rolling Stone US.

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