Lady Gaga, la recensione di ‘Harlequin’ | Rolling Stone Italia
LG6,5

L’operetta di una ragazza interrotta: la recensione di ‘Harlequin’ di Lady Gaga

Non è una colonna sonora, non è il nuovo album ultrapop che uscirà a febbraio. È una raccolta di standard (con un paio di bei pezzi autografi) interpretati idealmente da Lee, il personaggio di ‘Joker: Folie à deux’. Al centro del suo caos anarchico e maniacale ci sono pace e gioia

L’operetta di una ragazza interrotta: la recensione di ‘Harlequin’ di Lady Gaga

Lady Gaga

Foto press

I Simpson l’avevano previsto. Nell’episodio intitolato Come eravamo Marge racconta il primo incontro con Homer ai tempi della scuola. Erano entrambi in punizione, lui per «essere me stesso», lei per aver bruciato il reggiseno durante una manifestazione. Non è il manicomio criminale di Gotham City dove s’incontrano Arthur Fleck e Harleen “Lee” Quinzel, ma non stiamo a cavillare. Fatto sta che nel momento in cui Marge entra nella detention room in cui c’è Homer parte in sottofondo Close to You. È un momento romantico e ridicolo allo stesso tempo.

Close to You è una delle canzoni contenute in Harlequin, l’album di Lady Gaga legato a Joker: Folie à deux, il film di Todd Phillips con la popstar e Joaquin Phoenix. È una ballata amabilissima composta da Burt Bacharach e Hal David. L’han poi ripresa i Carpenters introducendo una piccola variazione che l’ha resa più interessante della versione originale cantata da Richard Chamberlain, quello di Uccelli di rovo. È una canzone d’amore che ha qualcosa di candido, con un testo che oggi consideremmo ai limiti del kitsch, ma può anche suonare vagamente triste e non credo sia un caso. Presi in buona parte dal Great American Songbook novecentesco, i pezzi di Harlequin rappresentano il mondo interiore di Lady Gaga e del suo personaggio. È un caos anarchico e maniacale al cui centro c’è però un inatteso, strano, appagante senso di pace.

È un po’ questo il mood di Harlequin, che non è il nuovo album ultrapop di Lady Gaga, il famoso LG7 che dovrebbe uscire a febbraio, e nemmeno la colonna sonora di Joker: Folie à deux che verrà pubblicata fra una settimana. È quello che lei chiama ironicamente LG6,5, un album prodotto per lo più con Ben Rice chiaramente legato e ispirato al film e al personaggio interpretato dalla cantante, ma con una sua identità, suoi arrangiamenti, canzoni in comune e altre no. Non è un’opera memorabile, manca un po’ d’audacia, ma non è nemmeno uno di quei dischetti che s’ascoltano una sola volta. L’elenco dei pezzi inclusi potrebbe far pensare a un’operazione tipo quelle con Tony Bennett, Cheek to Cheek e Love for Sale. Ci sono effettivamente arrangiamenti orchestrali, un sacco di fiati e c’è qualcosa di rétro, il repertorio è per lo più vintage, ma è riletto in chiave pop-rock e spudoratamente teatrale. È un disco di quelli che si facevano un tempo. «È vintage pop», dice Gaga. Come Joanne e A Star Is Born, è stato inciso negli studi di Rick Rubin a Malibu dov’è passato un pezzo importante di storia del rock, il posto dove in giardino è parcheggiato un vecchio tour bus di Bob Dylan.

È un viaggio nell’identità di Lady Gaga/Harleen Quinzel/Harley Quinn/Harlequin/Arlecchina: sì, è un posto decisamente affollato. È plasmato per lo più da vecchie canzoni rifatte in vari stili e questo, dice Gaga, è un richiamo alla complessità del personaggio che interpreta. Il ritmo è quasi sempre alto, l’umore pure. Si parte con Good Morning, un pezzo anni ’30 reso famoso dall’interpretazione in Singin’ in the Rain a cui Gaga aggiunge una parte di testo firmata col fidanzato Michael Polansky, che è anche co-produttore esecutivo del progetto. Get Happy di Harold Arlen e Ted Koehler è un alleluia ai tutti i peccatori di questo mondo che parte come una specie di gospel e assume poi il brio di una festa un po’ matta. Non è da sottovalutare il lato gospel, che si ritrova qua e là come sottotesto del disco, un appello segreto alla salvezza che si ritrova nella carnalità del funk di Oh, When the Saints e nella spudoratezza di Gonna Build a Mountain.

“Che fortunata, non vedi che sono innamorata?”, canta Gaga in World on a String di Harold Arlen. È come se queste canzoni fossero cantate sia da Gaga, sia da Lee, il personaggio che interpreta in Folie à deux. È la “million dollar chick” di If My Friends Could See Me Now che grida di guardarla. È l’intrattenitrice consumata che sa che “tutto quel che accade nella vita può accadere in uno spettacolo, puoi farli ridere, puoi farli piangere”. È tante cose. Canta Smile di Charlie Chaplin, scelta non felicissima visto quant’è abusata la canzone, e si riscatta lanciandosi in una versione spettacolarizzata di The Joker di Anthony Newley, dal musical The Roar of the Greasepaint – The Smell of the Crowd (non è la The Joker di Steve Miller che Homer canta in quell’episodio dei Simpson). È stata portata al successo anche da Sammy Davis Jr, ma cantata da Gaga ha la potenza d’un tema per James Bond e ricorda la versione che ne fece Shirley Bassey, con in più il carico delle chitarre di Tim Stewart. “C’è sempre un joker nel gruppo, c’è sempre un clown solitario, il povero sciocco che cade e tutti ridono quando finisce per terra”, dice la canzone interpretata in modo meavigliosamente esagerato. In That’s Entertainment c’è un clown con le braghe calate. Torna tutto.

Prima della traccia finale, che è la cover di That’s Life di cui potreste aver sentito la versione di Frank Sinatra presente nel finale del primo Joker, arriva il secondo dei due pezzi autografi. Il primo è Folie à deux, una fantasia orchestrale a tempo di valzer con un meraviglioso coro dell’altro mondo. Il secondo è Happy Mistake. Scritto e prodotto con BloodPop, è quasi il riassunto di una carriera, il ritratto di tutte le ragazze interrotte interpretate da Gaga in vita sua, strung-out girls con qualcosa di rotto dentro, una celebrazione del disagio che tanta fortuna le ha portato, una commedia recitata usando il registro della tragedia. Gaga lo sa che il mondo è un palco e che sul palco si porta il mondo.

E quindi Harlequin è il disco in cui Lady Gaga s’immerge nuovamente nel grande canzoniere americano, ma non con lo charme adulto dei grandi interpreti. Lo fa col candore e il senso di scoperta d’una ragazzina un po’ stralunata e spesso euforica, con una presenza vocale spesso magnifica e uno spiccato senso del ritmo. E quindi niente lunghi vestiti da sera o cocktail in mano, niente serenate languidamente appoggiata al pianoforte, niente charme d’antan. Sono canzoni da urlare a notte fonda col trucco sbavato e l’espressione sfatta di un’adorabile matta che in copertina fa la doccia indossando un giubbotto di salvataggio.

Pure questi classici, debitamente rinvigoriti, a volte cambiati ma mai sfigurati, sono piccoli dispositivi salvavita, un centro di pace e gioia in mezzo alla follia. Considerate spesso oggetti sonori d’antiquariato di cui non si può parlar male però decisamente sorpassati, di poco uso nel nostro presente, le canzoni del Great American Songbook sono invece utili con la loro intelligenza musicale e le loro sfumature nei testi per rappresentare un mondo in cui viviamo che è assieme tragico e comico. C’è tutto nel canzoniere scelto da Lady Gaga, la gioia senza freni e la malinconia, il sesso e la preghiera, l’amore e la violenza, il romantico e il ridicolo. E del resto, come dice quella canzone, that’s life.

Altre notizie su:  Lady Gaga