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Ma Julian, il disco dei Voidz è una roulette assurda

Una canzone è discreta e un’altra è tremenda, una è synth rock e un’altra è thrash da videogame. E poi l’AutoTune e i testi mediocri. Risultato: viene da cliccare “avanti” troppo spesso. La recensione di ‘Like All Before You’

Foto: Atiba Jefferson

L’unico modo per godersi il terzo album dei Voidz di Julian Casablancas è mettere su il vinile, immaginare che a girare sul piatto non sia un 33 giri, ma il disco dei numeri della roulette e che la puntina del giradischi sia la pallina. E a quel punto vedere quale numero esce. Sì, perché Like All Before You è il disco più imprevedibile che la band ha inciso da quand’ha iniziato a far musica una decina e passa d’anni fa.

A Casablancas piace il carattere volubile dei Voidz perché sono diversi dagli Strokes e dal loro garage rock sempre più o meno stabile. E così in Like All Before You la band si concede di tutto e di più mescolando emo, jazz, metal, new wave. Il mood cambia da un minuto all’altro, anzi, nel giro di pochi secondi. È capriccioso quanto il meteo del Midwest, solo che non c’è previsione che tenga: è impossibile dire da che parte tirerà il vento dei Voidz.

Tra due strumentali synth rock piazzati come overture e outro, s’ascoltano chitarre alla Cure abbinate a parti vocali con l’AutoTune (Square Wave, All the Same), thrash metal da videogame (Prophecy of the Dragon, When Will the Time of These Bastards End?), momenti alla Bryan Ferry in chiave new age (Spectral Analysis). Ora provate a immaginare tutta questa roba tagliuzzata e riarrangiata con la tecnica del cut up di William S. Burroughs: a volte suona bene e ha senso, a volte è solo un gran casino.

Spostando la puntina come la pallina della roulette ci s’imbatte in parti notevoli, vedi il riff di Prophecy, i passaggi new wave di Flexorcist (che include nel testo un riferimento a Der Kommissar) o tutta Perseverance-1C2S, la canzone più canzone, diciamo così, fra quelle del disco, con un’aria synth rock bella cupa e un assolo che parrebbe ispirato allo stile di Brian May dei Queen.

In altri momenti invece da questa roulette sonora escono i numeri sbagliati: la parti vocali di Casablancas con l’AutoTune sono irritanti e talmente ingombranti da mettere in ombra le canzoni o passaggi altrimenti interessanti come la chitarra alla Robert Smith di Square Wave. Per non dire di certi testi atroci che fanno alzare gli occhi al cielo tipo “I’m gonna blast her with my Stratocaster” oppure questa rima mezza recitata con voce alla Vincent Price: “This heathen walked uncleaven / touched land, sailed from Sweden / think his name was… Steven”. Al confronto, il riferimento a Papa Was a Rolling Stone contenuto in All the Same non è neanche male.

Skippare passando da una canzone all’altra può anche essere divertente, ma difficilmente si riesce ad ascoltare quest’album dall’inizio alla fine. Succede magari che senti una bella melodia come quella della linea vocale di Prophecy, vorresti che durasse, ma sai che nel pezzo dopo troverai tutt’altro, e niente d’altrettanto piacevole. Il mood cambia così velocemente che si fatica a pensare a qualcuno che voglia sentire l’album dalla prima all’ultima canzone, e che per di più gli piaccia. Se a Casablancas la prevedibilità della musica degli Strokes è venuta a noia, qualsiasi pezzo di Like All Before You dovrebbe saziarlo per i prossimi anni (o forse sarebbe meglio dire minuti).

Da Rolling Stone US.

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