Rolling Stone Italia

‘Mahashmashana’: la vita, la morte e altri fatterelli secondo Father John Misty

Caffè, sigarettina, pioggia di violini e riflessioni sulla natura umana: ecco le ultime elucubrazioni rétro pop di Josh Tillman. Ascoltatelo prima che finisca a cantare a Las Vegas

Foto: Ward & Kweskin

Si muore tutti, è inevitabile, ma non prima che il tempo ci abbia fregati per bene. Nasci e da quel momento, anche se fai una vita piena e pazzesca, cominci a crepare. Nel nuovo album Mahashmashana Father John Misty non cerca di dare un senso a tutto ciò, ma mette in musica la sua fascinazione per quell’enigma enorme a cui c’è un’unica risposta.

Il titolo è una parola che in sanscrito significa “grande terreno di cremazione”. «Tutto finisce lì», dice Josh Tillman nelle note stampa del disco. Le canzoni parlano spesso della fine, eppure Mahashmashana non è cupo, né tetro. È invece pieno dell’arguzia criptica tipica di Tillman e delle sue riflessioni. “Il motore della civiltà / Caffè e sigaretta / Non ho ancora trovato un modo migliore per ribellarmi”, canta in Mental Health. La title track si apre coi versi “Il suo corpo è un Gelson’s / La sua anima, una stella caduta”, la catena di supermercati di lusso di Los Angeles dà lo spunto per una riflessione sulla natura umana.

Se il precedente Chloë and the Next 20th Century era una rilettura trippy della vecchia Hollywood e del Great American Songbook, Mahashmashana segna il ritorno al pop-rock orchestrale d’ampio respiro che fa molto anni ’70 e che da sempre caratterizza Father John Misty. Le canzoni superano quasi tutte i cinque minuti, cosa che permette a Tillman e al co-produttore e arrangiatore Drew Erickson di utilizzare un’ampia tavolozza di tonalità e sfumature. She Cleans Up è un mezzo garage rock solido e chiassoso, in I Guess Time Just Makes Fools of Us All si muove in un vasto paesaggio in cui c’è della disco music, Josh Tillman and the Accidental Dose ammalia con un groove soul delicato, per poi piazzare stoccate di archi.

La deviazione dalla norma, a livello di sound, è Screamland, dove un silenzio suggestivo si trasforma in un crescendo con tanto di esplosione di synth, quasi alla Coldplay. E il lirismo tipico di Tillman (“Pugnalare il posacenere come se potesse svelare la verità / Come se potesse finalmente confessare a chi altro sei quasi fedele”) sfocia in uno dei suoi ritornelli più diretti: “Resta giovane / Spegni il cervello / Continua a sognare / Screamland”. Funziona? Non funziona? Forse è semplicemente una questione di gusti o magari dipende dall’umore del giorno. Di sicuro Tillman ha la tendenza a lanciarsi in grandi progetti.

Nel penultimo pezzo I Guess Time Just Makes Fools of Us All Tillman racconta la storia più intrigante e complessa sul modo in cui tutti quanti viviamo le nostre vite, ma anche su come lui ha vissuto la sua, da uomo di spettacolo. Scherza sulla volta in cui ha rifiutato di finire sulla copertina di Rolling Stone (sì, è successo), riceve consigli per la carriera da un serpente a sonagli (“Ehi, posso farti vendere un milione di dischi / Però capisci che la tua immagine potrebbe avere bisogno di una bella sistemata”) e sogna un futuro in cui finirà a Las Vegas a snocciolare le sue hit.

Tutto questo, sembra dire Tillman, fa solo parte della messa in scena di un unico gigantesco scherzo cosmico. La risposta sta nel pezzo con cui l’album si chiude, Summer’s Gone. È una meditazione sull’invecchiare mentre il mondo cambia e sull’inutilità di far finta di nulla. Tillman preferisce seguire un percorso semplice, pieno di piacere e di dolore, che conduce verso una sorta di trascendenza: “Mangi una pesca / O ti sbucci un ginocchio / E il tempo non mi sfiora”.

Da Rolling Stone US.

Iscriviti