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‘Radical Optimism’ di Dua Lipa è troppo perfetto per essere interessante

La popstar è tornata con un nuovo album. La formula è quella di sempre: canzoni d’amore in chiave dance pop. Ogni cosa è al posto giusto, tutto suona da dio, fin troppo. Mancano l’errore, l’azzardo, un po’ di vita

Foto: Tyrone Lebron

La prima volta che la parola love appare in Radical Optimism, il terzo e nuovo album di Dua Lipa, è nello special del brano di apertura, End of an Era. Tornerà un’altra ventina di volte (declinato in varie forme: love, lover, loved), in 9 degli 11 brani dell’album; a salvarsi saranno solo il primo singolo Houdini e Whatcha Doing.

Rispetto a quanto si possa immaginare da questa scelta stilistica iper-pop, l’amore di Radical Optimism non è quasi mai gioioso e sano: è nostalgico (“ricordi quando facevamo di tutto per amore?” e “non sono interessata a un amore che si arrende facilmente” da Anything for Love, o “avrei dovuto amarti più di quanto abbia fatto” da Happy for You), tossico (“non voglio che tu mi insegni il modo giusto per amarmi” da Training Season o “più stiamo insieme più peggiora” da These Walls), naïf (“mi è capitato di mettere il mio amore su un piedistallo” da Illusion), spaventato (“sono spaventata che possa essere tu la persona che mi cambierà” da Whatcha Doing), diffidente (“ogni cosa che dici è davvero dolce, ma te le eri preparate, vero? Ho bisogno di qualcosa che mi faccia credere” da Houdini) e rassegnato (“lo chiamiamo amore, odiamo stare qui / lo pensavamo davvero, quando abbiamo detto per sempre?”).

Raramente ne troviamo una versione avvolgente e entusiasta (forse solo in End of an Era) come poteva essere stato in passato con New Rules o Levitating. Quella che ci viene mostrata è infatti una Dua Lupa al contempo matura, sicura di sé e del suo essere donna, ma intimidita dall’amore e dalle sue conseguenze (l’album è anche figlio di una relazione finita), in cui l’ottimismo radicale è più che altro un bisogno impellente di credere che alla fine tutto andrà bene.

Peccato, però, che questi dubbi esistenziali – umani, verrebbe da dire – vengano appiattiti dalla scelta di costruire un disco musicalmente bidimensionale, sempre e ineluttabilmente uptempo, quasi a negare ogni possibile momento di down che la vita inevitabilmente ci presenta. Dieci brani (e mezzo) su 11 vanno infatti dritti al dancefloor: si resta a ballare – e tantissimo – anche mentre la nave affonda. Queste sono le indicazioni.

Ma a Radical Optimism, sulla carta, non si può davvero dire nulla. Il disco suona maledettamente bene: ogni suono, spuntato a dovere, è al posto giusto, ogni strofa, pre-chorus, special, ritornello arriva nel momento preciso in cui dovrebbe accadere, con la forza e l’attitudine con cui dovrebbe arrivarci. E Dua Lipa è sempre a fuoco, con la sua voce calda e la sua attitudine in-the-face. Più che un disco, Radical Optimism è un’opera preparata con cura scientifica in cui Dua Lipa rimane saldamente fedele alla sua formula vincente che da Future Nostalgia in avanti le ha permesso di non sbagliare nemmeno un colpo. Una formula, o stilema, in cui ogni canzone è uguale alla canzone prima e alla canzone dopo, un continuum dance-pop a tema amoroso da cantare-ballare adatto a ogni situazione (e Radical Optimism sembra trovare la sua perfezione estetica in un aperitivo a bordo piscina al momento del tramonto). Tutto è impeccabile, dicevamo, fin troppo, tanto da diventare (a tratti) noioso, una uncanny valley del pop in cui i brani suonano tutti un po’ troppo simili; perfetti, ma vagamente identici.

In Radical Optimism non c’è il salto di maturità sonora avuta dall’ultima Ariana Grande, né tantomeno l’ambizione bigger-than-life di Beyoncé o l’iper-intimità proposta da Taylor Swift. C’è Dua Lipa, ma la solita Dua Lipa, nel bene e nel male. A ben poco serve la produzione di due genietti come Kevin Parker (Tame Impala) e Danny L Harle (affiliato PC Music), a cui sembra che lo spazio per esprimersi sia limitato alla coda di alcuni brani (come Houdini e French Exit) e ad alcune piccole libertà concesse (il basso acid house in Maria, quello terzinato di Falling Forever, il ritmo spezzato di Happy for You), se l’idea finale è mettere in musica il sorriso forzato di Barbieworld.

Più che pensato a tavolino, Radical Optimism sembra essere stato costruito in un laboratorio del pop, con i santini di Max Martin e Mark Ronson affissi sulle pareti. «Della psichedelia, del trip hop e del Brit pop», le tre reference anticipate da Dua Lipa che ci avevano parecchio incuriositi, non c’è nulla. E un momento di realtà, o almeno qualcosa che ci si avvicini, non capita praticamente mai.

Foto press

Un caso a sé è l’intro di Anything for You, il nono brano in scaletta, che si apre con una chiacchiericcio tra amici in cui si sente la nostra scherzare (“la suono ancora una volta ancora per farvi piangere”) prima che la band attacchi – per quello che dovrebbe essere un’esecuzione in un contesto familiare – con pianoforte e basso. Ma anche qui la prossimità del lo-fi viene abbandonata quasi immediatamente per l’ennesima produzione high-quality con la solita batteria che tiene il brano dritto e squadrato nel consueto 4/4, dando anche a quest’unico momento di relax, a quest’unica ballad, un ritmo sostenuto da dancefloor disco. E dell’intimità, ancora una volta, non resta poi molto.

Nonostante questa fredda eccellenza, o forse proprio per questa ragione, Radical Optimism sarà un disco di enorme successo perché perfetto per il momento storico a zero-pensiero che stiamo vivendo nell’industria musicale. Ogni brano – e questo basta e avanza – è potenzialmente una hit. Una hit di una Dua Lipa in full mode, spremuta fino al midollo nel tentativo di costruire il disco pop perfetto («Ho scritto 97 brani per questo album, molti orribili», ha raccontato). «È come se m’avessero gettata in pasto alla vita», aveva raccontato in questa nostra cover story, pochi mesi prima della pubblicazione di Radical Optimism. E in quest’album, che tecnicamente rimane inattaccabile, paradossalmente manca proprio questo: un po’ di vita.

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