Lo si può amare alla follia o detestarlo come facevano i pochi spettatori di fronte cui si presentava alla fine degli anni ‘70, ma non è difficile ammettere che nel nostro Paese non sia mai esistito un performer come Vasco Rossi. È una questione di onestà intellettuale. Badate bene, sono ben conscio della indiscutibilità dei gusti; il discorso infatti non fa riferimento al lato artistico, al Vasco autore o alla qualità della sua proposta musicale. Non ne faccio nemmeno una questione di biglietti venduti, record stracciati, numero di brani diventati generazionali o tecnicismi vari. Parafrasando Jimmy Page, “non sto parlando di tecnica, parlo di emozioni”.
In molti se lo sono scordato, ma gran parte del mito che ancora oggi gira intorno a un singolo concerto di Vasco nasce nel 1984 con l’uscita di uno degli album live più importanti della storia della musica italiana (qui sì, mi sbilancio senza paura): Va bene, va bene così. Non è semplice però capire oggi l’importanza di un disco come quello. Dopo trent’anni di Fronte del palco, gli Imola, i Modena Park e i neverending tour è arduo pensare che Vasco non sia sempre stato quella cosa lì. E per chiunque sia nato dal 1990 in poi, Vasco è quella roba lì. Per tutti gli altri, invece, l’unico modo per sentirlo in concerto è stata questa testimonianza live titolata come l’unico brano in studio presente nella raccolta. Andare a un suo concerto in fondo era difficile anche allora: oggi perché i biglietti finiscono tre minuti dopo la messa in vendita, ai tempi perché andare a vedere Vasco era pericoloso e i tuoi genitori non ti portavano a vederlo come fanno oggi con Anna Pepe. I posti erano piccoli, iniziava a presentarsi molta più gente rispetto alla capienza dei locali, e fuori la gente si bucava sui gradini. Si scopriva così che la generazione di sconvolti era molto più grande di quello che la società immaginava o voleva vedere. Si dice spesso che i Beatles abbiano inventato i giovani. La categoria esisteva già, è chiaro, ma i Fab Four mostrarono al mondo la forza dirompente della gioventù. Ecco, allo stesso modo possiamo dire che Vasco abbia inventato un pubblico diverso, non più legato agli scontri politici né alla semplice fruizione musicale tout court. Un pubblico senza più santi né eroi, per l’appunto.
Vasco divenne il portavoce di una parte di popolazione da cancellare dalla vista, aspettando solo che fosse l’eroina a farlo, anche in modo materiale. Tanto se l’erano cercata, no? E a differenza di uno come Kurt Cobain, a cui il ruolo di capopopolo era stato affibbiato controvoglia, Vasco quella gente se la prese davvero sulle spalle dandogli qualcosa a cui aggrapparsi. Chi andava a vederlo sapeva che quello che cantava era quello che viveva realmente, senza distinzione tra i due aspetti. Non era artefatto. Oggi lo stesso Vasco, che nel tempo ha perfezionato la propria capacità di usare giochi di parole, sui social potrebbe dire essere stato semmai “arte-fatto”.
Va bene, va bene così si apre con la canzone in studio che dà il titolo all’album. Una scelta a metà tra il geniale e la fregatura, perché alla fine i pezzi dal vivo erano pochi e la scelta di un disco singolo già limitava di molto lo spazio a disposizione. Poi però parte la linea di chitarra di Dodi Battaglia e tutto si riallinea: ecco la genialità di mettere un pezzo così, straziante, sincero fino al dolore fisico, prima di farti sentire l’animale. Per capire l’importanza di quest’opera per le generazioni successive, per comprendere quanti di noi sono cresciuti con Va bene, va bene così, basti pensare a un dettaglio: i testi delle canzoni talvolta differiscono dalle versioni da studio, come a volte può capitare. Quello che stupisce è che da lì in avanti tutti le avrebbero continuate a cantare così. Anche oggi, quando Vasco in Siamo solo noi canta “facciamo colazione con un toast, del resto”, il pubblico grida “spesso”, proprio come fa lui nel suo primo live ufficiale.
La verità è che, al di là dei tanti classici che avrebbe composto soprattutto nei vent’anni successivi e che chiaramente qui non potevano essere presenti, Vasco sarebbe diventato Vasco anche solo pubblicando Va bene, va bene così. E se allora, per motivi comprensibili, nel disco vennero inseriti solo i brani più rappresentativi di quell’epoca, la nuova edizione che ne celebra il 40imo anniversario aggiunge tutto il resto, a formare il prototipo del disco live perfetto: un doppio album con al suo interno un inedito di valore assoluto. Sarebbe infatti successo ancora con Fronte del palco e l’epica Guarda dove vai, o con I soliti, inserita anch’essa in un doppio live (Live Kom 011), a chiudere un cerchio ideale con Siamo solo noi a trent’anni di distanza. Al di là del libro allegato alla ristampa, che rende bene l’idea di quanto fosse fatto di carne un personaggio che oggi potrebbe sembrare irraggiungibile, a essere vincente è la scelta di non aver cambiato la tracklist dell’album, ma di aver aggiunto semplicemente un secondo disco con quello che era rimasto fuori all’epoca. Fanno così la loro comparsa brani più scomodi come Cosa ti fai, Mi piaci perché, Asilo republic o Valium, insieme a brani della prima ora come La nostra relazione e Silvia, che ci avrebbero sicuramente spinto a comprare con qualche anno di anticipo anche il suo debutto discografico Ma cosa vuoi che sia una canzone. Se è dunque vero che cambiare in qualche modo un album storico è sempre un’operazione rischiosa, soprattutto per chi era abituato a conoscerne ogni solco, la gioia di poterne ascoltare una parte in più non può che essere infinita. Oltre a dare l’occasione tanto a chi lo ama a prescindere, che a chi lo detesta, di rendersi conto dell’esistenza di un Vasco prima del Kom.
Ps.: Vasco parlò per la prima volta in televisione dell’uscita imminente Va bene, va bene così da Mike Bongiorno. In una clip diventata ormai leggendaria in rete, il buon Mike definisce, come solo lui sapeva fare, il disco un potpourri. Aggiungendo poi, in un lampo di preveggenza da idiot savant, che quelli come Vasco, che erano scesi dalle montagne e si erano fatti da soli, erano destinati a durare a lungo. Un motivo extra-musicale per amare ancora di più un album senza tempo.