Noname, la recensione di 'Sundial' | Rolling Stone Italia
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Una rapper incazzata e istruita: il caso di Noname

Si definisce «un’autrice nera, una bibliotecaria, una contrarian». Ma è soprattutto una delle rapper più forti in circolazione. È sofisticata e politicizzata, e in ‘Sundial’ ne ha anche per Rihanna e Beyoncé

Una rapper incazzata e istruita: il caso di Noname

Noname

Foto: Mahaneela

Col mixtape Telefone e l’album Room 25 Noname ha dimostrato d’essere tosta e dotata di un’intelligenza acuta. E del resto “la mia pussy ha scritto una tesi del colonialismo” è una barra sua. Cinque anni dopo, Sundial è l’album che tutti aspettavamo dalla rapper e poetessa di Los Angeles-via-Chicago, vero nome Fatimah Nayeema Warner: è eloquente, incazzato, divertente, cerebrale, traboccante di rabbia e sete di vendetta. Noname ha una voce unica e un sacco di cose da dire.

La cosa più sorprendente di Sundial è che esista. I fan temevano di non ascoltare più un nuovo album della rapper che, disincantata dall’industria musicale, dopo la pubblicazione di Room 25 ha preferito dedicarsi alla politica e all’attivismo, ha lanciato il Noname Book Club, ha aperto la Radical Hood Library a Los Angeles. Rimanevano ben poche energie per fare arte. «Comincio a provare meno interesse per la musica», diceva a Rolling due anni fa.

E così, nel 2021 ha messo da parte il progetto del secondo album Factory Baby dopo aver pubblicato Rainforest, che pure era un bel pezzo. «Non so se farò più musica», diceva. «L’ultima volta che ho fatto canzoni con una certa continuità sarà stato quattro anni fa».

Eppure Sundial non è l’album di un’artista che ha perso la passione per la musica e le controversie, tutt’altro. Arriva a prendere di mira artisti come Beyoncé, Rihanna e Kendrick Lamar in Namesake: “Non m’immischio col Super Bowl o con Jay-Z / Quella è propaganda per i militari”, dice puntando il dito con chi ha collaborato con la NFL. E poi, “vai Beyoncé vai, guarda il jet militare che sfreccia alto in cielo, le macchine da guerra diventano glamour”.

Nel disco ci sono Billy Woods, Common, Jay Electronica, Ayoni e altri, ma ogni cosa attorno alla personalità di Noname. Un po’ come Room 25, musicalmente si oscilla tra groove jazzati e il neo soul modello Native Tongues/D’Angelo. Nei testi, ce n’è per i rapper che fanno schifo (“sei piscio di gatto sui popcorn”), per il razzismo, per il capitalismo, per l’imperialismo, per chiunque le si pari innanzi.

Black Mirror introduce il suo nuovo personaggio (“Yo, è un’ombra che cammina, una cacciatrice della Luna, un’autrice nera, una bibliotecaria, una contrarian”), mentre il tema centrale di Potentially the Interlude è l’autodeterminazione (“Sono la cattiva nel buco della serratura / posso aprire il lucchetto del diavolo”). In Oblivion, con Common e Ayoni, Noname descrive un mondo sull’orlo della catastrofe ambientale e nucleare. E però neanche l’orrore della fine la impressiona: “Il mondo andrà a pezzi, va bene / Motherfucker, me ne frego, lasciami dire le cose che voglio dire”.

Se Gospel? ha un che di spirituale e inizia con un piano appunto gospel (“Questa è un’ode ad Haiti, Mozambico, Martinica, Trinidad, Grenada, ovunque dormano i neri, pregate per loro, pregate per me”), non c’è traccia alcuna di ottimismo buonista. “Mettiamo su una bella lotta e andrà tutto bene” è un ritornello che più lo senti e meno sembra paradossale.

Afro Futurism è una meditazione poetica su una cultura in subbuglio che Noname chiude con la frase “il cielo dice che sono ancora viva”. E meno male che lo è. Per Noname, però, non è abbastanza. Sundial rappresenta un momento di grazia, ma la battaglia deve continuare. Se Noname è brillante è anche perché non lascia riprendere fiato a nessuno, men che mai a sé stessa.

Da Rolling Stone US.

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