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‘Vultures 1’, e anche questa volta il nuovo capolavoro di Kanye West uscirà domani

L’album frutto anche del soggiorno del rapper in Italia (vedi i cori dei tifosi dell’Inter) non è memorabile e nemmeno tremendo. Recensione del joint album con Ty Dolla $ign, nell’attesa (messianica) del discone

Foto: Rachpoot/Bauer-Griffin/GC Images

Ringrazio Rolling Stone per aver scelto di escludere il punteggio nelle recensioni perché trovare un un numero per descrivere Vultures (oltre all’1 che appare nel titolo), il nuovo e pluri-rimandato album di Kanye West e Ty Dolla $ign, non è facile.

Come ogni album da quel College Dropout uscito proprio 20 anni fa, un lavoro di Kanye è un profondo archivio di informazioni da gestire. Negli anni infatti i suoi dischi hanno continuato a fornire un’incredibile gamma di informazioni musicali, a cui però si sono aggiunte – o forse è meglio dire accumulate – storie personali, contraddizioni umane, prime pagine dei giornali. Per questo spogliare Vultures da questo rumore, da questo white noise del gossip, è un’impresa che necessità una freddezza chirurgica, in pieno contrasto con la temperatura richiesta dalla narrazione che Kanye ha contribuito a costruito attorno alla sua figura: o mi amate o mi odiate, sempre e solo sentimenti estremi. E in questo periodo storico riuscire ad estraniarsi da questa narrazione è un atto di fede più grande di ogni Sunday Service.

Partiamo subito con la domanda che si staranno facendo gli hater: Vultures è un disco di merda? Qui la risposta è semplice: no, non lo è, la morta creativa di Ye non è ancora all’orizzonte. Molto vario nelle sue 16 tracce, Vultures abbandona il minimalismo di Jesus Is King e Donda per cercare un ambiente sonico più largo su cui muoversi e spesso il risultato è molto piacevole come in Burn (un sogno per coloro a cui manca il vecchio Kanye), Stars, Talking (con lo zampino di James Blake), Back to Me, Paperwork (per i nostalgici di Yeezus). Ye cura le produzioni con i soliti 88-Keys, Mike Dean, No I.D. e molto altri tra cui Timbaland, Jpegmafia e James Blake, trovando anche soluzioni molto intriganti come l’utilizzo – UDITE UDITE – della Curva Nord Milano, la CN69, una tifoseria dell’Inter che appare in due tracce, l’opening Stars e Carnival, e che ci ricorda che gran parte di questo disco è infatti nato nel lungo e chiacchierato soggiorno italiano di Ye della scorsa estate (da cui è nato anche il video di Talking diretto dai fratelli D’Innocenzo).

Anche sul lato produzione, però, le polemiche non sono mancate: Ozzy Osbourne ha fatto rimuovere un campione di Iron Man presente in Carnival a causa delle uscite antisemite di Ye (Iron Man era già stata campionata da West in Hell of a Life nel 2010), Max Martin non ha dato i permessi per l’utilizzo del sample di Backstreet’s Back dei Backstreet Boys che era stato suonato in un paio di listening party precedenti alla pubblicazione, Nicki Minaj non ha concesso l’uso di una sua strofa precedentemente registrata e infine, a pubblicazione avvenuta, gli eredi di Donna Summer si sono lamentati dell’escamotage trovato dal rapper che, di fronte al rifiuto per il sample di I Feel Love, ha fatto ricantare la parte, con parole differenti, a J.Rey Soul.

Lo sforzo maggiore per l’ascoltatore rimane però quello di inquadrare Vultures come un joint album (il primo di tre, ma ci crediamo che si arriverà fino in fondo a questa trilogia?), piuttosto che come un seguito di Donda, ma questo diventa molto difficile sia per quanto detto sopra, sia e soprattutto per la scelta di Kanye di cambiare l’artwork all’ultimo secondo per piazzarci sé stesso al fianco della compagna Bianca Censori. E Ty Dolla? Ridimensionato, o meglio, posizionato a lato della scena, gioca però il ruolo di partner ideale: copre vocalmente là dove Kanye faticherebbe, costruendosi un ruolo più melodico che ritmico.

Quello che accade al microfono – che nei vari brani viene condiviso con North West (l’esordio al mic per la figlia più grande di Ye), Travis Scott, Freddie Gibbs, YG, Quavo, Playboi Carti, Bump J, Lil Durk, Chris Brown – è forse però il momento di più difficile lettura. Qui il solito rollercoaster bipolare di Kanye è senza freni. Prendiamo ad esempio Stars: il campione di Good Luck di Dijon è perfetto come apertura di un album, il flow di Kanye è perfetto, Ty Dolla è perfetto, i tifosi alla fine che cantano l’ultima frase sono perfetti, poi però il nostro decide di usare il suo complicato umorismo per cercare di ripulirsi dall’antisemitismo (“Ho alcuni ebrei nello staff adesso”), e tutto si fa cringe.

Tra citazioni (come i Police di Roxanne ripresa in Paid, Jay and Silent Bob in Back to Me) e tentativi vari di sdrammatizzare la propria posizione sociale (l’antisemitismo, il contratto perso con Adidas, argomenti trattati ripetutamente nell’album), a deludere sono gran parte dei testi che proprio non riescono a fare quel passaggio in più in cui Kanye ci ha abituati nella sua carriera. C’è poca profondità, poca voglia di scendere dentro al dolore, e negli episodi dove accade – come in Keys to My Life (una dedica all’ex moglie Kim Kardashian) o Good (Don’t Die), il margine con i testi meno ispirati diventa abissale. Inoltre Dio qui sparisce quasi completamente dal vocabolario di Ye.

Negli ultimi anni ci ritroviamo a affrontare l’ascolto dei dischi di Kanye West sperando di ritrovarci la genialità che per oltre dieci anni ha rivoluzione il mondo del pop e del rap a livello globale. Una legacy così importante che, nonostante gli ultimi passi (mezzi) falsi, fa stringere attorno all’artista di Chicago ancora una enorme e affiatata fanbase. Anche nei suoi momenti musicali più scuri, infatti, il rapper è sempre riuscito a trovare la zampata, quella canzone che non sfigurerebbe al confronto dei suoi colpi più riusciti (pensiamo a Moon di Donda, Follow God in Jesus Is King, Ghost Town in Ye). Per Vultures ad aggiudicarsi quel ruolo potrebbero essere Carnival o Good (Don’t Die).

A dare forse la lettura più chiara, però, potrebbe essere un personaggio inaspettato come Mike Tyson, che nell’album appare con un discorso nell’outro di Hoodrat: “Le persone sono strane, sanno che Kanye è anche lui eccezionale, ma per il modo in cui si comporta odiano crederci, ma non possono farci niente, sanno che è grande. […] Senza dubbio ho qualche problema mentale, come la maggior parte dei leader. Un delirio di onnipotenza: ‘Sono un Dio’”. E noi continueremo ad odiarlo, ad amarlo, e ad aspettare quel disco incredibile che forse non arriverà mai più, sempre con fede.

 

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