Pensavate che fosse esaurita l’ondata di populismo che ha colpito Phoebe Bridgers quando ha spaccato la chitarra al Saturday Night Live e che è continuata tra le altre cose con le critiche a Mike McCready che lo fa spesso sul palco coi Pearl Jam? Vi sbagliavate di grosso.
I commenti indignati dei rockulisti (populisti rock moralisti e miopi) hanno colpito i Måneskin. Venerdì sera la band ha chiuso il tour nordamericano a Las Vegas (c’era anche Fedez) e per festeggiare il successo del Loud Kids Tour ha postato su Instagram una serie di brevi filmati del finalone con Thomas e Victoria che spaccano la chitarra e il basso e poi, assieme a Damiano, si scagliano contro la batteria di Ethan.
La distruzione sul palco delle chitarre è un’arte e uno sfogo. Può essere un incidente oppure un atto premeditato. A volte è parte della liturgia di un concerto, a volte è un modo per esprimere rabbia o vitalità, frustrazione o come nel caso dei Måneskin gioia ed energia. Com’è nato tutto ciò l’ha raccontato a Rolling Stone il maestro di quest’arte, Pete Townshend.
E insomma, è una cosa normale a un concerto rock, ma non negli anni ’20, il decennio in cui è stata perfezionata l’arte di rompere le palle a chi rompe le chitarre. Spaccare gli strumenti è diventato un atto problematico. Il palco non è più un luogo di libertà assoluta, le rock band devono essere modelli virtuosi di comportamento, bisogna pensare ai chitarristi poveri. La polizia morale è arrivata al rock: distruggere gli strumenti è diventato diseducativo.
Il post dei Måneskin ha finora 7000 commenti, molti dei quali indignati. Per intenderci, il post in cui la band ha pubblicato la tracklist del nuovo album Rush! ha 3300 commenti, quello dell’annuncio della clamorosa collaborazione con Tom Morello ne ha 1600.
«Sono uno dei miei gruppi preferiti», scrive un’utente sotto il post dei Måneskin, «ma questo è troppo. Molti ragazzi potrebbero seguirne l’esempio». «Assolutamente», risponde un’altra, «è una cosa stupida». «No grazie», aggiunge qualcuno. «Amo i Måneskin e sono andata a vederli a New York e li seguo dai tempi di X Factor. Al posto di distruggere quei bellissimi strumenti potrebbero darli a qualcuno oppure metterli all’asta per beneficenza».
E ancora: «In tutto questo non c’è nulla di divertente e niente a che fare con la bella musica». «Prima vi stimavo, ma il successo (purtroppo) vi ha dato alla testa». «Chi ci pensa a chi ha investito tempo e lavoro in quegli strumenti?». «È irrispettoso verso chi si fa debiti per acquistarne uno strumento».
Il fattore economico è evidentemente importante e nei commenti se la gioca col fatto che i Måneskin non dovrebbero copiare i cliché dei vecchi rocker: «Questa cosa la trovo penosa. Si vede che si sono dimenticati di quando suonavano per strada e non potevano permettersi strumenti di un certo livello. Bisognerebbe non dimenticarsi mai da dove si è partiti».
C’è anche una mamma rock: «Dear Maneskin, mio figlio a Babbo Natale ha chiesto una chitarra perché come voi vorrebbe “essere rock e far ballare la gente”. Vederla in frantumi è uno schiaffo ai sogni e alla miseria, non è rock, non è ribellione, è pure un deja vu vecchiotto e banalotto. Se vi avanzano, regalatele ai bambini. Costruite sogni, non rompeteli!».
Qualcuno ribatte: «Ma la conoscete la storia del rock? Non sono i primi a farlo». Le risposte vanno da «la conosciamo, ma non la giustifichiamo» a «i vecchi rocker si facevano anche 24/7, le nuove band dovrebbero seguirne l’esempio anche in questo?».
Vedere i Måneskin che spaccano gli strumenti provoca addirittura «un male fisico: sto lottando col desiderio di smettere di seguirli».