Raramente s’è sentita una canzone tanto spinta e leggera, allo stesso tempo carnale e aggraziata. Accompagnata da un pianoforte e dagli archi arrangiati da Larry Gold, Rosalía intona una melodia d’altri tempi. Solo che non canta d’un amore struggente, ma della pistola rosso papavero di lui, di farglielo diventare duro, di cavalcarlo come una moto. Canta di sesso e putas, eppure sembra stia pregando. Il contrasto è affascinante. È sia sexy che struggente questa canzone sconcia e delicata, questa orazione bagnata in cui la voce sale in alto quando si tratta di evocare il piacere sessuale, con un testo che dice “al secondo posto scoparti, al primo posto Dio”.
S’intitola Hentai, dal nome d’un filone pornografico dei manga. È la canzone più controversa del nuovo album Motomami ed è una delle migliori. Quando tempo fa, seduta su una seggiovia sotto la neve, Rosalía ne ha anticipato il testo su TikTok qualcuno l’ha presa male. Mai la cantante spagnola famosa per la capacità di reinterpretare il flamenco in chiave contemporanea era stata tanto esplicita e soprattutto allineata al linguaggio del pop globalizzato, che da tempo ha scelto il sesso come scorciatoia per l’accesso all’immaginario collettivo. Un’impressione rafforzata dal carattere musicale dei primi singoli tratti dall’album, tra cui La fama con The Weeknd, e poi dal video di Hentai uscito due giorni fa che è tutto cosce e glutei, ammiccamenti fra lenzuola bianche, labbra socchiuse e pose su un toro meccanico.
Eppure non è una svolta, non è un tradimento. I tre album della cantante, ovvero Los Ángeles, il meno tradizionale El mal querer e ora Motomami disegnano una linea coerente che dal post flamenco porta a una sorta di pop un po’ spagnolo, un po’ statunitense (ora la cantante vive a Miami) e un po’ panamericano, giocoso e leggero. Motomami è il disco di un’artista che vuole entrare anima e corpo nell’élite del pop mondiale, e lo merita. È una storia che da locale diventa globale.
Il sesso c’era anche in El mal querer, ma era come sublimato in una musica che ancora affondava le radici nella tradizione. C’era qualcosa di moderno e assieme antico nelle interpretazioni vocali di Rosalía, qualcosa che colpiva anche chi, nel mondo, non conosceva il flamenco e ci vedeva riflesse altre tradizioni, altri struggimenti, altre passioni. Era un esempio virtuoso di folk globalizzato. Motomami è invece un giocosissimo puzzle ipercontemporaneo costruito distorcendo la materia sonora e trasformandola in note e ritmi pop, hip hop, dembow, bachata, reggaeton, flamenco. È animato da un mezzo esercito di autori, produttori e musicisti, tra cui Pharrell, Noah Goldstein, El Guincho, James Blake, il fidanzato Rauw Alejandro. Molto fa lei, alla faccia degli stereotipi sulle cantanti pop che nulla sanno di musica e di produzione. In Candy c’è il campionamento di Archangel di Burial e di One Wish di Ray J, che era a sua volta campionata in Archangel. Un campionamento dentro un campionamento: è il tipo di stratificazione su cui è basato Motomami.
La domanda è: Rosalía è andata oltre? S’è messa alle spalle ciò che la rendeva interessante per abbracciare una forma di pop più larga? La risposta è in parte affermativa, perché Motomami è un disco più appariscente e colorato dei precedenti, ma purtroppo meno intenso. Ed è in parte negativa, perché comunque c’è una caratterizzazione forte, c’è una cifra stilistica precisa, l’album è costruito in modo ingegnoso, ha canzoni notevoli (non tutte) e un bel suono assieme scarnificato e stratificato, vivido e non scontato.
Rosalía ci ha messo dentro di tutto: i pornocommenti e un messaggio vocale della nonna sull’importanza della famiglia, name (e brand) dropping e un Delirio de grandeza (Justo Betancourt) in chiave latin jazz, vocette e distorsioni degni d’un vecchio disco di M.I.A. e ballate lunari. Lei lo considera il suo lavoro più personale. Per una bachata ammiccante come La fama c’è una Bulerías in cui il flamenco è usato come dichiarazione d’indipendenza assieme feroce e giocosa. E tutto è perdonato, anche i momenti più deboli, quando Rosalía canta. E insomma, Motomami è accessibile e inclusivo, ma non omologato. “Fuck el estilo, fuck el stylist”, canta a un certo punto Rosalía. Piace pensarla come una dichiarazione d’indipendenza anche nel momento della sua possibile, probabile massificazione. Lei forse replicherebbe alle critiche dicendo che “no basé mi carrera en tener hits”, anzi lo canta proprio in una delle canzoni più strane, ironiche, quasi fanciullesche del disco. Rosalía sembra più giovane oggi di cinque anni fa, quando ha esordito.
Non è la prima volta che affronta una controversia. Dopo il successo s’è vista rivolgere l’accusa all’epoca di gran moda di appropriazione culturale. In fondo il flamenco è la musica della minoranza gitana in Andalusia, sulla carta non è roba sua. Lei ha risposto che nemmeno grandi interpreti di questo stile erano gitani. Ha studiato il flamenco, l’ha smontato e l’ha rimontato a suo piacimento prendendosi la libertà tipica degli artisti che mirano a costruire mondi e non recinti. Nella maggior parte delle tracce di Motomami del flamenco resta l’ombra, a vedere il bicchiere mezzo pieno diremmo un po’ del suo spirito, a vederlo mezzo vuoto diremmo lo spettro. Pare giusta la definizione che Rosalía dà di sé in un pezzo del disco: “Sono una cantaora”, vale a dire una cantante di flamenco, “in tuta di Versace”.
Siccome la promozione oggi ha bisogno d’una qualche forma di narrazione, un’idea che accenda la fantasia, un’aura che c’entra e non c’entra con le canzoni, Rosalía ha molto puntato sulla parola motomami, le ragazze che vanno in moto come lei, come sua madre, come sua nonna. È una parola che tiene assieme forza e saggezza matriarcale, e ha qualcosa di buffo, un riflesso dell’ironia e del senso dell’umorismo che forse per la prima volta emergono da un album della spagnola. Esprime anche il dualismo che sta alla base del disco, fra pezzi carnali e altri spirituali, fra storie di amanti e vicende famigliari. Come dice il testo di Saoko, “me contradigo, yo me transformo”.
«Motomami è un’energia», ha detto Rosalía a Jimmy Fallon restando sul vago. Nelle ultime settimane ha twittato massime che alludono ad altre definizioni possibili e semiserie della parola: a una motomami non spiace sporcarsi quando mette mano al motore; una motomami sa chi è e va dritta per la sua strada perché è coraggiosa; una motomami non ha bisogno degli altri, sono loro che hanno bisogno di lei; una motomami si prende cura delle altre motomami; una motomami sa che l’artista migliore è Dio. E poi quella forse definitiva sul disco e il suo spirito: una motomami distrugge felicemente le sue opere passate per far posto a quelle future.