Ray Davies, che ha compiuto 70 anni la scorsa estate, è un vero pantofolaio: «Non mi piace andare agli eventi», dice dal suo ufficio vicino a casa nella zona nord di Londra. E si concede un paio d’ore per parlare con Rolling Stone delle pietre miliari della sua carriera.
“You Really Got Me” (1964)
Prima di questo pezzo avevamo fatto due singoli che erano andati malissimo, la nostra etichetta non voleva farci registrare più niente, poi alla fine ci ha lasciato un’ultima possibilità, l’ultimo lancio del dado. Volevamo un suono distorto e potente, ma non troppo alto, e lo abbiamo creato infilando dei ferri da calza negli amplificatori.
“Tired of Waiting for You” (1965)
Proprio mentre stavamo registrando i primi due album sono rimasto a corto di idee. Sul primo album abbiamo fatto il 50% di cover, poi mi è venuta in mente questa, che avevo scritto durante il college. Abbiamo buttato giù la musica in un giorno, ma non mi ricordavo le parole. E avevo anche l’influenza.
“Till the End of the Day” (1965)
Ero oppresso dalla famiglia, non uscivo mai, il mio manager pensava che avessi perso l’ispirazione ed ero depresso e ansioso. Ho pensato: «Devo fare credere a tutti che sono a posto», e ho scritto la prima strofa: «Baby, I feel good».
“Where Have All the Good Times Gone” (1965)
Mi ricordo che ero in macchina con mio padre e lui mi ha detto: «Stai scrivendo una canzone per un vecchio, lo so». Allora ci ho provato. È una canzone molto potente ancora oggi, ha quel lato duro dei Kinks, ma allo stesso tempo ha un testo riflessivo e toccante.
“Sunny Afternoon” (1966)
Mi sono arreso in questa canzone, ho creato un alter ego. La parte vocale ha una sorta di purezza innocente, un uomo che farfuglia delle parole nel microfono per trovare il suo posto nel mondo.
“Waterloo Sunset” (1967)
Mick e Dave non capivano quello di cui scrivevo. Non gli facevo mai vedere i testi prima di arrivare davanti al microfono. Questa è una canzone romantica e poetica che ho scritto sulla generazione di mia sorella maggiore.
“This Time Tomorrow” (1970)
L’ultima data che abbiamo fatto in America prima del bando è stata all’Hollywood Bowl e quando siamo riusciti a tornare ci siamo ritrovati in club da duecento posti a sedere. Ho scritto This Time Tomorrow in aereo mentre tornavamo in Inghilterra.
“Lola” (1970)
Lola è la hit con cui abbiamo ritrovato il successo in America un grande risultato. È una canzone d’amore per un travestito. Non è colpa di nessuno dei due, ma entrambi sanno che non può durare. È basata sulla storia del mio manager.
“20th Century Man” (1971)
La canto sottotono, con una voce profonda e non penetrante, con l’idea di fare una semplice dichiarazione di intenti. La suono ancora, e mi dà la stessa energia. Oggi siamo in un altro secolo, ma questa canzone è ancora valida e attuale.
“Celluloid Heroes” (1972)
Mi ricordo di averla cantata per la prima volta a mia figlia che aveva 3 o 4 anni e gattonava sul pavimento. Mi ha guardato e ha detto: «Bella, Papà». Quando canto il ritornello ancora oggi mi vengono i brividi se ci penso.
“A Rock’n’Roll Fantasy” (1978)
Il testo parla di qualcuno che lascia la band perché ha rinunciato alla causa e di due fratelli che si ritrovano nei guai per uscire dalla situazione. Mentre la scrivevo è arrivata la notizia della morte di Elvis.
“(Wish I Could Fly) Like Superman” (1979)
È una canzone politica, parla di lavoratori in sciopero, ma era anche la nostra versione del nuovo genere disco, solo con un po’ più di gorge e di rock & roll. L’abbiamo suonata in molte discoteche per vedere se era il groove giusto, e i ragazzi la amavano.
“Give the People What They Want” (1981)
Per me questo pezzo ha rappresentato l’apice del nostro successo con la Arista Records. Suona come se la ascoltassi dai posti in fondo del Madison Square Garden. Abbiamo ricoperto le pareti del nostro studio, il Konk, con lamine di acciaio ondulato per ottenere quel suono enorme della batteria.
“Come Dancing” (1983)
Una canzone che parla della fine dell’era delle big band e di mia sorella, che è morta in una sala da ballo il giorno del mio tredicesimo compleanno. Aveva 31 anni, ed è morta di infarto mentre ballava.
“Working Man’s Cafè” (2007)
Sono andato a trovare mio fratello Dave a Exeter. «Dove sei?», gli ho chiesto. E lui: «Nel bar dietro l’angolo». E io: «Ok, ti chiamo quando sono lì», è diventato un dialogo nella canzone. C’è anche un altro pezzo molto eloquente «Credevo di conoscerti allora, ma ti conoscerò adesso?».