La recensione che state per leggere è stata pubblicata su Rolling Stone il 26 ottobre 1968.
Un anno fa, mentre il movimento rock psichedelico iniziava timidamente a svilupparsi in Inghilterra, i Pink Floyd erano in prima linea. Merito di un paio di singoli promettenti (Arnold Layne e See Emily Play) e di un album di debutto impressionante: The Piper at the Gates of Dawn. Syd Barrett (voce, chitarra solista) aveva un certo talento nella scrittura e nella preparazione di effetti speciali e produzione. Se gran parte del suono dei Pink Floyd si basava su espedienti, perlomeno Barrett aveva un discreto orecchio e sapeva trasformarli in piacevole “musica psichedelica da camera”.
Sfortunatamente, il secondo album A Saucerful of Secrets non è interessante quanto il primo, anzi è piuttosto mediocre. Per prima cosa, Barrett sembra aver lasciato il gruppo o smesso di partecipare attivamente alla scrittura: in scaletta c’è solo una sua canzone (Jugband Blues), e non fa nemmeno onore alle sua capacità di compositore.
Senza Barrett, restano i pezzi del bassista Roger Waters e dell’organista Rick Wright. Waters (che aveva scritto un paio di canzoni per il primo album) è un autore, cantante e bassista poco interessante. Let There Be More Light e Set the Controls for the Heart of the Sun sono melodicamente, armonicamente e liricamente noiose. La produzione non è luccicante come nel primo album e la performance strumentale è scadente. Entrambe le canzoni durano qualcosa come cinque minuti, e sono due esempi di come il rock può dilungarsi inutilmente.
Corporal Clegg, sempre scritta da Waters, ha almeno il pregio della sintesi, e anche quello di non suonare come se fosse stata scritta in uno stato di stupore drogato, ma la melodia ricorda troppo i Beatles per questi giorni post Sgt. Pepper.
Rick Wright, che quando suona l’organo è tanto abile quanto creativo, ha contribuito al disco con un paio di canzoni. Remember A Day è un brano inoffensivo, ha delle parti di chitarra bottleneck davvero infelici, un pianoforte di seconda scelta e chitarre acustiche inconsistenti. La seconda, See Saw, è una ballata con una voce che ricorda Ronnie and the Daytonas.
La title track è una musichetta psichedelica di undici minuti, non è elettronica, né tantomeno rock creativo. C’è tantissimo rumore inutile, e viene da pensare che il pezzo sia poco più che un esperimento.
Ma quando il caos si trasforma e arriva al finale banale e rassicurante per organo e coro religioso, è chiaro che i Pink Floyd sono fermamente ancorati alla musica diatonica, e tutte le variazioni da quella forma dipendo dagli effetti e non da una scelta musicale. Sfortunatamente, questa musica fatta di effetti è un pessimo modo per far crescere la reputazione di un gruppo rock. Eppure è quello che hanno fatto i Pink Floyd.