Non c’è niente di cui stupirsi, niente di cui urlare alla contaminazione e all’abbattimento fra generi, davanti a Venere e Marte. È vero: nel pezzo – che esce oggi – si incontrano, sopra un ring elettro-pop allestito dagli immancabili Takagi & Ketra, Marco Mengoni e Frah Quintale. E sì: dieci anni fa sarebbe stato inimmaginabile che un artista tanto mainstream duettasse con un esponente dello street pop, ascrivibile – in generale – all’it-pop e comunque alla musica indipendente, pur con tutti gli sfoggi di originalità del caso. Ma oggi, insomma, non è che ciò rappresenti proprio una notizia.
Che è successo? È successo che il nuovo pop, quello di matrice dei vari Paradiso, Calcutta e Coez, ha cambiato i gusti e la sensibilità del pubblico al punto che gran parte dei “vecchi” – quelli una volta definiti commerciali, mainstream; con un pubblico ampio ma non così fidelizzato – si sono ritrovati spiazzati, coi palazzetti mezzi vuoti, a inseguire. Ma se non puoi batterli, unisciti a loro; tradotto: avanti a duetti e collaborazioni con le new entry. E così le canzoni di Elisa hanno iniziato a suonare come quelle di Evergreen, Gazzelle è diventato un prezioso jolly da giocare per le ospitate e qualcuno si è incontrato a metà strada, mentre i Thegiornalisti sono diventati i ghostwriter di gran parte dei brani che si sentono in radio, dal Carboni di Luca lo stesso in su. In cerca di freschezza, come pure di aggiornamenti del sistema.
La scoperta? Che indie e mainstream si sono molto più simili di quanto si credeva ai tempi della rivoluzione. Ma tant’è: mentre facciamo conoscenza Venere e Marte, ripercorriamo gli incontri più significativi di questo gioco delle somiglianze, in cui cambia tutto per non cambiare niente.
Max Pezzali & I Cani, “Due anime” (2016)
In principio fu Niccolò Contessa, uno dei primi a correre in aiuto di quel vecchio pop che la sua stessa musica stava mettendo alle porte. Cambiano i tempi, gli adolescenti non sentono più le canzoni degli 883: sentono quelle de I Cani. E così – un po’ per celebrare una frequentazione artistica già datata, molto per sperimentare nuove soluzioni – Max Pezzali ha scritto Due anime proprio con Contessa. Che ok, non ha fatto il botto e non si è adattata nemmeno troppo ai panni dell’artista pavese, ma almeno ha rappresentato una partita giocata senza scorciatoie, rimettendo tutto nelle mani di un elettro-pop cerebrale che sarebbe potuto entrare benissimo in Aurora. Un po’ troppo in là per gli standard Max? Ma no: viva le innocenti scappatelle.
J-Ax, Fedez, Stash, Levante, “Assenzio” (2017)
Prima che tutto si disintegrasse e che ogni pregiudizio e confine venisse meno, la coppia J-Ax e Fedez e i loro Comunisti col Rolex erano l’ultimo emblema di un pop sfacciato e commerciale, quindi da odiare. Loro, e Stash dei Kolors, col suo ciuffo disimpegnato rigorosamente made in Amici. Tradotto: sembrò quasi una bestemmia accostare Levante – cantautrice, it-pop, attenta ai testi, scelta dai due padroni di casa per «dare vita a uno storytelling più introspettivo» – a un ambiente del genere. E non che il finale abbia smentito le attese: la cantante siciliana si è limitata a una comparsata usa e getta, in un pezzo zeppo di luoghi comuni (musicali e nel testo), uscendone di fatto divorata, poco valorizzata. Al di là ei numeri incredibili che macinò la canzone.
Takagi & Ketra, Tommaso Paradiso, Elisa, “Da sola / In the Night” (2018)
E ok la produzione zeppa di paillettes ed echi anni ’80 firmata Takagi & Ketra, kitsch e comunque radiofonica, appiccicosa, persino autoironica come suggerisce il videoclip, era un azzardo per entrambi i partecipanti. Ma all’epoca a colpire fu soprattutto la presenza di Elisa, allora percepita come un’artista abbastanza seriosa, là dove invece Tommaso Paradiso – che già aveva scritto per Carboni e Morandi, e che qui è uno degli autori – invece sguazzava sempre più nel nazionalpopolare. Ma poco da dire: il brano è stato una hit, la collaborazione a due voci ha funzionato e da un lato è servita a rinnovare l’estetica della cantante friulana, mentre dall’altro ha sdoganato l’it-pop (e una delle sue facce più importanti) in radio più di quanto un qualsiasi pezzo dei Thegiornalisti avesse fatto prima.
Elisa & Calcutta, “Se piovesse il tuo nome” (2018)
E sempre nel 2018 il rebranding di Elisa, destinazione nuovo pop italiano, è proseguito con un album – Diari aperti – che è uno spartiacque della sua carriera: prima c’erano soprattutto testi in inglese e suggestioni internazionali; ora si fa tutto italiano, melodico, persino cantautorale. Il Virgilio della situazione è Calcutta, che in veste di autore presta la propria penna in Se piovesse il tuo nome: strofa malinconica e surreale come da menù della casa (“La città è piena di negozi / ma poi chiudono sempre / e rimango solo io / a dare il resto al mondo”), bridge epico, ritornello da stadio senza eccessive banalità. Dardust arrotonda le punte, ma resta un pezzo che sarebbe potuto finire dentro a Evergreen senza stonare. E dopo Da sola / In the Night, l’artista friulana completa quindi l’aggiornamento: abito radicalmente nuovo, forse solo un filo modaiolo.
Carl Brave & Max Gazzè, “Posso” (2018)
Chiaro, Max Gazzè non appartiene del tutto al classico pop mainstream: ha la formazione da cantautore, è un bass hero, ha sperimentato persino con la lirica. E però negli ultimi dieci anni circa successoni come Sotto casa e La vita com’è l’hanno portato proprio da quelle zone, in parte nei suoni e molto nella percezione comune. Posso, insomma, ha il merito di mandare a braccetto il nuovo it-pop caciarone e un po’ paraculo di Carl Brave con quello più consolidato, ma sempre caciarone e un po’ paraculo dell’artista di La favola di Adamo ed Eva. Ne viene fuori l’unico pezzo della lista davvero a metà fra i nomi che intervengono, mantenendo la poetica romantica e piaciona di Notti brave – con gli arrangiamenti morbidi e festaiola – pur aprendosi, al tempo stesso, all’ironia e all’atmosfera vagamente jazz di singoli tipo Ti sembra normale. Come si dice: una collaborazione.
Takagi & Ketra, Tommaso Paradiso, Calcutta, Jovanotti, “La Luna e la gatta” (2019)
Sempre Takagi & Ketra a stabilire i confini, stavolta con un funk con echi country (il pianoforte, i fischi) che deve molto al pop tradizionale piuttosto che all’it-pop. E poi i Barbooodos: Jovanotti, Calcutta e Tommaso Paradiso. Insomma, La Luna e la gatta è l’episodio crossover per eccellenza, in cui il primo ci mette la solita attitudine da mattatore, il secondo è il maudit della situazione e il terzo ricopre il piatto con una patina di romanticismo. Però, a parte l’arrangiamento da saloon, la resa è modesta: i tre non si amalgamano, anzi si appiattiscono in una hit sfacciatamente radiofonica e un po’ facilona, sembrando più il mostro creato da Frankenstein che un dream team del pop italiano, vecchio o nuovo che fosse.
Gianna Nannini & Coez, “Motivo” (2019)
E del resto come potrebbe mai starci male, Coez come ospite di Gianna Nannini in Motivo, se il brano in questione è sostanzialmente un pezzo di Coez? Anche qui: per attualizzare una proposta ormai decennale, la cantante senese ha fatto società con uno dei più grandi alfieri dell’it-pop, senza mediazioni di sorta ma seguendo per intero la scia di canzoni come Lontana da me, Ali sporche, Le luci della città – scia che, non fosse chiaro, ha condotto a una pentola d’oro. Siamo da quelle parti: indie pop leggero, elettrificato il minimo, dall’atmosfera sommessa e col testo strappalacrime e instagrammabile. Tradotto: l’ospite recita gli onori di casa, mentre Nannini – straniera nella sua nazione – lo segue con un po’ di mestiere. Ma senza che il risultato complessivo sia memorabile, s’intende.
Zero Assoluto & Gazzelle, “Fuori noi” (2020)
Più che un duetto, un’epifania: Fuori noi, con gli Zero Assoluto che ospitano Gazzelle per celebrare l’uscita da un silenzio pressoché decennale, è la chiusura di un cerchio. O meglio, un albero genealogico in cui sono chiare le parentele interne al pop italiano: la coppia romana come padri di quella malinconia languida, compiaciuta e adolescenziale, fatta di piccole cose e di una narrazione che si trova di fianco al cantautorato vero e proprio; e Pardini e i suoi numerissimi come figli, giusto appena cresciuti in strada, di quella stessa estetica. Non servono acrobazie: in una ballata ergonomica, ciascun protagonista resta nella comfort zone e, al tempo stesso, proprio per questo si compenetra alla perfezione con l’altro. Neanche ci si guardasse allo specchio.
Emma & Calcutta, “Latina” (2020)
Dicevamo dell’allineamento: a Emma prima di X Factor non è andata benissimo (ma onore a lei che non ne ha fatto mistero), in particolare ha risentito di un calo attenzione che ha svuotato i palasport suoi e di altri colleghi “classici” per riempire quelli degli artisti it-pop. C’è stato bisogno di reinventarsi, ma senza sembrare ridicoli: e Latina, scritta da Calcutta con Dardust e Davide Petrella (altro autentico demiurgo del pop contemporaneo italiano), unendo America Latina e provincia italiana, tropicalismi e nostalgia, ha fatto centro. Perché se è vero che a tratti sembra di sentire davvero la voce di Edoardo, per quanto è aderente al suo repertorio, è comunque più accattivante dei brani pre-confezionati che avevano segnato il repertorio di Emma prima di quest’anno. E lei, del resto, non ci si può che tuffare dentro senza troppi rimpianti.
Takagi & Ketra, Marco Mengoni, Frah Quintale, “Venere e Marte” (2021)
Venere e Marte è, almeno in parte, un’occasione persa. E dire che Takagi & Ketra hanno confezionato una delle loro migliori basi, fra atmosfere notturne e rullantini presi in prestito dalla trap, e che pure avevano a disposizioni due fra le voci più originali dei rispettivi mondi. Invece niente: Marco Mengoni canta in maniera fin troppo tradizionale, non uscendo neanche per sbaglio dal tracciato del bel canto (come invece aveva fatto, per dire, in Guerriero); Frah Quintale invece si lascia dietro l’r’n’b e incastra rime abbastanza innocue, come compilasse un modulo alla posta. Non bastasse, le due voci viaggiano su due binari paralleli, non si incontrano mai; c’è il momento di uno, e poi quello dell’altro. Peccato.
Bonus track: Arisa & Dente, “Sinceramente” (2014)
La mettiamo come bonus perché precede di poco l’esplosione dell’it-pop e della sua relazione con la tradizione, ma se Dente è uno dei padri del genere allora quello che ha fatto con Arisa nel 2014 è antesignano anche dello svecchiamento che sarebbe arrivato di lì a poco. Qui siamo nel periodo di Controvento, un disco che fra gli autori aveva anche Dimartino e Cristina Donà; e Sinceramente mantiene l’impianto tradizionale della canzone italiana (il cantautore di Fidenza guardava a Mina), ma si riempie anche di una struttura circolare affascinante, dei giochi di parole, insomma di tutte quelle cose che caratterizzavano Dente all’epoca. E in più, però, Arisa ci mette una voce mastodontica, a dire che sì, quello è il pezzo giusto per lei anche se viene da tutt’altro mondo. Ah, i tempi in cui si diceva che la musica indipendente avrebbe salvato il pop. Quanto è trascorso, un millennio?