Il 2020 non è ancora finito ma rimarrà per sempre indelebilmente scolpito nella nostra memoria collettiva come uno degli anni più sfortunati di sempre: iniziato con gli incendi che hanno sconvolto l’ecosistema australiano, proseguito con l’allagamento a seguito di piogge violentissime di Giacarta e il risveglio, dopo 140 anni di placido sonno, del vulcano Krakatoa in Indonesia, culminato con la devastante pandemia mondiale tutt’ora in atto. Più che un’annata, il 2020 è una colonoscopia. Il mondo è impazzito, tutti brancolano nel buio, le certezze si sgretolano. Ma per un settore merceologico molto specifico quest’anno bisestile (che ha ben tre venerdì 17 nel suo calendario) rappresenta forse l’inizio di una nuova età dell’oro dopo oltre un decennio di tenebra. È strano dirlo a pochi giorni dalla prematura scomparsa di uno dei suoi ambasciatori più leggendari, Eddie Van Halen, ma non ci sono dubbi: il 2020 è l’anno della chitarra.
Fino a non molto tempo fa questo strumento, uno dei più amati e più diffusi era decisamente in cattive acque. Dopo il boom degli anni ’60, il consolidamento dei ’70, il funambolismo edonistico degli ’80 e il grunge degli anni ’90, le vendite di chitarre elettriche e acustiche nel mondo a partire dagli anni 2000 hanno subito un lento ma apparentemente inesorabile declino. Le ragioni sono in generale attribuite all’invecchiamento dei boomer e al cambiamento dei gusti dei millennial, sedotti dal pop spettacolare stile Beyoncé, dal rap, dall’elettronica: fare il producer era ormai più cool che essere il guitar hero di una rock band, anche perché puoi farlo davanti a un Mac in pantofole e caffè invece che su un furgone che puzza di urina e sudore carico di strumenti, ampli, effetti, cavi diretto verso un bar/piadineria sullo svincolo per Cavriago. Che fosse vero o no, le chitarre che prendevano polvere nelle vetrine dei pochi negozi di musica superstiti puzzavano ormai di cadavere in decomposizione.
A confermare il tutto nel 2017 arriva un funereo articolo del Washington Post che titola, senza possibili fraintendimenti “Why my guitar gently weeps. The slow, secret death of the six-string electric. And why you should care”. Nel pezzo si evidenzia come in un decennio le vendite mondiali di chitarre si siano rattrappite di un terzo, di come lo strumento simbolo del rock, del punk, della no wave e del grunge manchi ormai drammaticamente di appeal, orfano di guitar hero contemporanei degni di nota. Lo stesso anno, alla première di un documentario sulla sua vita, Eric Clapton, che nella sua lontana età dell’oro era considerato senza mezzi termini un dio, ha laconicamente dichiarato che «la chitarra, forse, è finita». E ancora: a suonare la campana a morto di milioni di spippolatori della sei corde è stato, nel 2018, l’annuncio della bancarotta di Gibson (una delle colonne portanti dell’industria dalla sua fondazione, nel 1902): un mondo senza Firebird, Flying V, Les Paul, SG e tanti altri modelli di chitarre iconici era semplicemente troppo brutto da immaginare.
Certo, mai così brutto come quello che ci ha lasciato la pandemia di Covid-19. Oltre un milione di decessi in tutto il mondo, città chiuse e deserte come in un film post apocalittico degli anni ’80, abbiamo sperimentato per mesi una forma di cattività domestica che ha alterato le nostre percezioni, ha portato a galla le nostre paure, le nostre ansietà, ci ha impedito di rifugiarci nel lavoro, negli altri, ci ha fatto rallentare, cambiare abitudini, ci ha fatto pensare. E, abbastanza incredibilmente, ci ha fatto prendere in mano una chitarra. Perché al netto dei panificatori improvvisati, dei binge-watchers seriali che si sono incollati a Netflix, di quelli che si sono dati al fitness, ai videogiochi, alle letture arretrate, ai litigi domestici che hanno generato un numero record di divorzi, questa quarantena è stata soprattutto appannaggio dei neo chitarristi. Gente che ha deciso, dopo mille procrastinazioni, che era giunto il momento di comprare uno starter pack chitarra elettrica + ampli, un’acustica o classica economica, o che ha pensato di sfruttare i due mesi e rotti a casa facendo un upgrade al suo parco strumenti.
Il New York Times un mese fa ha pubblicato un articolo (dal quale sono tratti molti dei virgolettati riportati qui di seguito) il cui titolo lascia pochi dubbi: “Guitars are back, baby!”. Anche le dichiarazioni di Andy Mooney, CEO di Fender, sembrano confermarlo: «Non avrei mai predetto che questo sarebbe stato l’anno dei record: abbiamo infranto così tanti record… questo sarà l’anno col maggior volume di vendite per Fender, con giorni con indici di crescita a due cifre… parlo di vendite in generale, ma anche di quelle tramite e-commerce, e di prodotti per principianti. Se me lo avessero chiesto a marzo, non avrei mai immaginato che ci saremmo trovati a questo punto».
Pensare che per il colosso fondato da Clarence Leonidas “Leo” Fender nel 1946, per un’azienda che ha conosciuto il boom del beat negli anni ’50/60 e che ha avuto ambasciatori come Hendrix, Clapton, Jeff Beck, Keith Richards nei ’60/70, sia proprio il 2020 l’anno delle palate di cash sembra francamente incredibile. Gibson, dopo anni di gravi difficoltà, nei mesi del lockdown ha venduto tutti gli strumenti che aveva in magazzino e ha ricevuto ordini per molti altri. Anche per la rinomata compagnia di acustiche Taylor sempre ricominciata una nuova età dell’oro, come conferma il co-fondatore del marchio Bob Taylor: «A marzo abbiamo iniziato a ricevere ordini. Ad aprile gli ordini avevano superato il numero di chitarre disponibili. A giugno, ancora di più. E poi è arrivato luglio, con cifre semplicemente incredibili. In due mesi avevamo ricevuto ordini per volumi tre, quattro volte maggiori di quelli che riceviamo in semestre».
Secondo Mooney, il fenomeno è stato una sorta di «sollievo dalla dipendenza da Netflix. Le persone hanno scelto di investire su di loro». Dello stesso parere è Jen Trani, insegnante di chitarra di Los Angeles con all’attivo migliaia di video didattici su YouTube che nel corso degli anni hanno generato circa 75 milioni di visualizzazioni. «C’è stato un momento nel quale ho visto che per i miei studenti, annullarsi davanti a Netflix, Instagram e Facebook non funzionava più. La gente a un certo punto non è riuscita a tornare alle sue classiche abitudini e si è detta: come posso fare a investire il mio tempo?».
Parallelamente all’aumento di vendite di strumenti sono aumentate le visualizzazioni delle lezioni di chitarra online, anche di quelle di Trani. Ma, con una certa sorpresa, ha notato che la maggior parte dei suoi nuovi studenti non erano boomer desiderosi di imparare Zombie dei Cranberries, ma donne tra i 20 e i 30 anni. Fender da qualche anno punta molto sulla propria app per imparare a dominare le sei corde, Fender Play. A fine marzo il numero degli iscritti si aggirava intorno ai 150 mila: tre mesi dopo erano 930 mila. Circa il 20% dei nuovi arrivati erano under 24 e il 70 per cento sotto i 45. Si è altresì registrato un aumento delle donne neoiscritte rispetto agli uomini. JC Curleigh, CEO di Gibson, ha le idee chiare sul perché di questi numeri: «in un mondo di costante accelerazione digitale, il tempo è sempre il nemico. E di colpo [durante il lockdown] il tempo è stato nostro amico». E il lockdown è stata l’occasione per molti di ricavare un’oasi di tranquillità in un mondo che va alla velocità della luce.
Ma perché proprio la chitarra e non i bonsai, il decupage, gli origami? Alcune recenti ricerche effettuate dall’Università di Harvard hanno evidenziato che chi impara a suonare una chitarra rileva miglioramenti dell’umore, delle relazioni sociali e maggiore capacità di concentrazione. In particolare, sembra esserci un miglioramento nell’apprendimento delle lingue e nella comprensione della matematica (chi scrive ha qualche dubbio su quest’ultima asserzione dato che suona la chitarra, seppur da autodidatta, da 30 anni e ancora non riesce a fare le divisioni a mano). Il neuroscenziato Daniel Levitin, autore del bestseller Fatti di musica, lo dice in maniera semplice: il processo di apprendimento di uno strumento musicale (chitarra, piano, oboe, bassotuba, ecc…) è «neuroprotettivo… nel senso che richiede la creazione di nuovi sentieri e collegamenti fra neuroni – una cosa possibile ad ogni età. Usare il proprio cervello per fare qualcosa che è impegnativo ma non impossibile tende ad essere gratificante e quindi di conforto».
Ora, a fronte delle vendite esaltanti di chitarre elettriche e acustiche di questo periodo c’è da chiedersi: quanto durerà? Nessuno, ovviamente, sa dare una risposta precisa. È vero che quella per la musica è una passione evergreen, ma è anche vero che comprare una chitarra, magari decente, non è come acquistare un paio di scarpe: richiede un investimento spesso maggiore se parliamo di danaro, sicuramente elevatissimo in termini di tempo da dedicare allo strumento. Nel dubbio, a fine maggio ho comprato una chitarra elettrica online: una Fernandes giapponese del 2000, speditami da un irlandese che evidentemente non ci si trovava bene. È la mia diciassettesima chitarra, e non suono nemmeno in una band. Ho forse intenzione di smettere? Non credo proprio.