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RIP

Addio James Chance, addio pericolo

È morto il cantante e sassofonista dei Contortions, leggenda della no wave newyorchese. Aveva 71 anni. Se non ci fosse stato lui, il punk-funk e la disco-punk sarebbero stati diversi. Un protagonista alla volta, se ne va una stagione in cui il rock era perverso, sovversivo ed esplosivo

Foto: Roberta Bayley/Redferns

È morto a 71 anni James Chance, leggenda della no wave, il dito medio alzato dalla New York decadente degli anni ’70 al mondo intero e forse anche a sé stessa. La notizia è stata annunciata dal fratello David Siegfied. Non è ancora nota la causa del decesso avvenuta al Terence Cardinal Cooke Health Care Center di New York. Da anni James Chance aveva problemi di salute. Nel 2020 era stata lanciata una raccolta fondi a favore suo e della partner Judy Taylor, morta nell’ottobre di quello stesso anno.

«Si è spento pacificamente questa mattina dopo una lunga malattia», si legge sulla pagina della raccolta fondi organizzata dal fratello. «Siamo grati a chi è venuto a New York per stargli vicino nei suoi ultimi due giorni di vita, era sufficientemente cosciente da conversare con noi e condividere i ricordi della vita di musicista, dell’infanzia e della famiglia. Grazie a tutti per il sostegno dato negli ultimi quattro anni. Non è stato facile vedere James soffrire tanto a lungo. Ma ora per fortuna le sofferenze sono finite ed è in pace».

Cantante e sassofonista, col suo stile brutale ed estremo, sintesi sballata ed eccitante di punk, free jazz e funk, James Chance è stato uno dei protagonisti della no wave, termine col quale si indica la scena underground attiva nella New York di fine anni ’70 e ben più estrema della new wave. Il manifesto è la compilation del 1978 No New York prodotta da Brian Eno, con pezzi dei Contortions, dei D.N.A. di Arto Lindsay, dei Teenage Jesus and the Jerks di Lydia Lunch e dei Mars. «Ci muoveva l’impulso giovanile a provare fino a che punto potessimo spingerci», ha detto Lindsay a proposito di quegli anni e di quella scena.

Nato James Siegfried a Milwaukee, cresciuto un contesto middle class, ha scoperto prima il rock, le garage band e i gruppi bianchi influenzati dai neri, poi il jazz, passando dal pianoforte al sax. Alla fine del 1975 s’è trasferito a New York dove, un anno dopo, ha diviso una stanza con Lydia Lunch con la quale ha formato i Teenage Jesus and the Jerks. Voleva entrare a far parte della scena jazz cittadina, ma ai suoi occhi era troppo sedata e lui non era in grado di competere con sassofonisti ben più dotati tecnicamente. L’anno seguente ha messo in piedi di Contortions prendendo il nome, pare, da una critica ricevuta per un suo concerto: più che un musicista sembrava un contorsionista. Era una definizione perfetta per uno che sul palco metteva assieme l’artificiosità dei vecchi varietà soul e l’improvvisazione pericolosa dei concertini punk. Era elegantissimo come un Frank Sinatra, ma furiosamente deciso ad abbattere ogni barriera tra sé e il pubblico, anche a costo di prenderle e di darle. L’album chiave è Buy del 1979, con in copertina una foto scattata alla modella Terence Sellers dall’allora manager del gruppo e ragazza di Chance, la fashion designer Anya Phillips.

Una volta disse che prima di fondare il gruppo nessuno aveva mai suonato il proprio strumento perché chi non sa suonare ha sempre le idee migliori – in realtà aveva preso lezioni da giovane e sapeva leggere uno spartito, anche se la trovava un’attività tremendamente noiosa. La sua musica estrema era una combinazione dell’impatto violento degli Stooges, del culto del funk e della presenza scenica di James Brown, di cui amava in particolare Super Bad e i suoi assoli di sax, della libertà creativa di jazzisti come Ornette Coleman, Albert Ayler o Sun Ra. È uno stile che ha fatto guadagnare a Chance e ai Contortions l’ammirazione dei colleghi, certo non una vasta popolarità. Erano insomma più vicini alle urla di Yoko Ono che alle melodie orecchiabili dei loro amici Blondie. I loro pezzi parlavano spesso di dipendenze morbose e sesso. Il loro stile era adiacente alla scena artistica underground.

Nei concerti Chance riversava il gusto per la teatralità che non aveva trovato nella scena jazz. Si rifaceva agli intrattenitori di un tempo mettendoci della violenza intesa come forma espressiva. Per Simon Reynolds, che lo scrive in Post-punk, i suoi show tendevano alla performance art, ad happening in cui Chance si avventava sul pubblico e giù «spintoni, schiaffi, per non parlare della leggendaria serata in cui afferrò una ragazza per i capelli e morse un’altra “sulla tetta” (o almeno così affermava in un’intervista)». Una delle loro esibizioni più note è quella del maggio 1978 all’Artists Space di Tribeca. Ci fu una rissa in cui fu coinvolto Robert Christgau, riverito critico del Village Voice. Tra il pubblico c’era Brian Eno. In città per lavorare coi Talking Heads, finì per restarci per alcuni mesi e registrare le band di quel giro per No New York. «Si è limitato a portarci in studio e mettere in piedi il set-up», ha detto Chance smitizzando quelle session. «È stato registrato completamente dal vivo in studio, non ha fatto alcuna produzione. Avrebbe potuto titolarsi No Production… nessuno era entusiasta di com’era stato registrato».

Il secondo disco importante è Off White uscito come James White and the Blacks e inciso con l’idea poi deragliata di fare un album di disco music. Chance giocava, non senza sollevare controversie, con l’identità razziale: lui, bianco, suonava musica nera e la portava dentro la scena punk americana che era bianca, e come se non bastasse incideva pezzi titolati Almost Black e White Devil. Non ha smesso di far musica, anche se sono stati quei dischi e quella stagione a decretarne l’importanza. Col tempo ha allacciato collaborazioni con vari musicisti non solo newyorchesi, ha rimesso in piedi i Contortions negli anni 2000 e soprattutto ha spianato la strada a punk-funk e disco-punk. La sua ultima esibizione dal vivo, si legge nel post pubblicato sulla sua pagina ufficiale, potrebbe essere stata quella del marzo 2019 a Utrecht, in Olanda.

«Ribaltando l’orgoglio e la dignità di un James Brown in autoumiliazione e cinismo da alternativo bianco», scrive Reynolds, «la prospettiva di Chance spogliava la vita da ogni sentimentalismo, tenerezza e valore. In poche parole: la vita è uno schifo, l’amore è una menzogna, le droghe alleviano il dolore». Anche i fan fanno schifo, disse una volta. Secondo Roy Trakin del New York Rocker, si trattava almeno in parte di una maschera perché «sotto la superficie c’era anche dolore».

Per la tastierista del gruppo Adele Bertei, «James era come quadro di Jackson Pollock, una personalità esplosiva. Aveva una forte vena masochista. A volte si tuffava tra la folla e cominciava a baciare una ragazza. Il fidanzato la scaraventava via, e poi facevano a pugni. A quel punto il nostro bassista George Scott e io saltavamo giù dal palco e ci gettavano nella mischia. Poi tornavamo sul palco col volto coperto di sangue: James era sempre quello che ne usciva più malconcio». E oggi nessuno vuole uscire più malconcio da un proprio concerto.

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