Will Cullen Hart dava l’impressione di vivere fuori dal tempo. Il musicista e visual artist americano, morto a 53 anni d’età lo scorso 29 novembre, ha vissuto scrivendo e incidendo alcune fra le composizioni psichedeliche più profonde e meravigliosamente naïf di sempre. Fin dal principio, alla fine degli anni ’80 a Ruston, Louisiana, è stato il fulcro del collettivo di visionari chiamato Elephant 6 insieme a quattro compagni delle superiori. Dopo il trasferimento ad Athens, Georgia, le esplorazioni psicologiche condotte dal membro del gruppo Jeff Mangum coi Neutral Milk Hotel hanno raggiunto molta più gente e i dischi indie pop incisi da Robert Schneider con gli Apples in Stereo hanno goduto da subito di un appeal immediato. Gli Olivia Tremor Control, la band di Hart e Bill Doss, il quarto membro del nucleo iniziale degli Elephant 6, erano senza tempo e fluttuavano lassù, fra melodie canticchiabili all’infinito e musica concreta.
Neil anni ’90 gli Olivia hanno pubblicato due album, Music from the Unrealized Film Script: Dusk at Cubist Castle (1996) e Black Foliage: Animation Music Volume One (1999). Appartengono alla tipologia di dischi per i quali la definizione “classico di culto” non è abbastanza. Se t’imbattevi in uno due e avevi la giusta età, vedevi espandere i tuoi orizzonti musicali, t’innamoravi, giuravi e spergiuravi che questo gruppo band della Georgia valeva quanto i Beatles, i Beach Boys, i Velvet Underground. Uno era una fantasia psichedelico-pop in technicolor, l’altro un viaggio in un’interiorità oscura e tormentata. La loro forza derivava dai talenti complementari di Doss, maestro del sunshine pop, e di Hart, alchimista audace in sala d’incisione. La musica dei due cantanti e dei loro compagni di band, il bassista/violinista/clarinettista John Fernandes, il tastierista Pete Erchick e il batterista Eric Harris, ha continuato a risuonare per quasi 30 anni. Doss è morto nel 2012 e ora anche Hart se n’è andato. Dopo tanti anni, il sogno è finito.
Quando nel 2000 gli Olivia Tremor Control si sono sciolti, Hart, Fernandes, Erchick e alcuni altri membri degli E6 hanno fondato i Circulatory System. La loro musica è ancor meno nota di quella degli Olivia, ma attira fan altrettanto accaniti che hanno seguito Hart e i suoi nelle gallerie tortuose di Black Foliage, il debutto autoprodotto dei Circulatory System datato 2001. Da quando si è diffusa la notizia della morte di Hart, subito dopo il Giorno del ringraziamento, fan come me hanno iniziato a citare il testo di Forever: “Vivremo per sempre, e sai che è vero”. Ho pensato a Joy, uno dei tanti kōan brillanti presenti sull’album. “Se credi ancora nella gioia, anche se il mondo è pieno d’odio, possiamo esplodere dentro, in profondità, non c’è motivo di dubitarne”, cantava Hart. Credeva nella gioia anche quando era difficile farlo.
Qualche anno fa ho parlato con lui al telefono della ristampa su vinile per il 20° anniversario del primo album dei Circulatory System. Era gentile, riflessivo, un po’ sconclusionato. L’intervista non è stata pubblicata. L’ho riletta a distanza di tempo e l’ho trovata piena di saggezza gnomica. Hart mi ha spiegato che il tono introspettivo di Circulatory System lo si doveva al prossimo traguardo dei 30 anni di età. «Tutti i miei pensieri sono rivolti all’interiorità. E alla fine, “vivremo per sempre”. Per me quel disco è come Dark Side of the Moon, una sequenza con un inizio e una fine».
Mi ha raccontato di avere chiesto al vecchio amico Jeff Mangum di suonare la batteria in qualche pezzo del primo disco dei Circulatory System: «Non la suona nei suoi dischi, ma è un batterista incredibile». Ha spiegato che lui e Doss hanno sentito il bisogno di seguire strade diverse, alla fine degli anni ’90 («Ero pronto a fare cose mie, credo»), e in seguito si sono riavvicinati per un paio di tour di reunion degli Olivia Tremor Control, dopo la diagnosi di sclerosi multipla ricevuta da Hart a metà degli anni 2000.
A chi aveva scoperto la band dopo lo scioglimento, i concerti della reunion hanno avuto qualcosa di miracoloso. Ricordo uno show degli Olivia alla Bowery Ballroom di New York nel 2005 in cui Mangum, ben lontano dal ritorno alla vita pubblica, ha spiazzato tutti salendo sul palco per cantare la sua parte di I Have Been Floated, da Black Foliage. Anche il secondo tour di reunion degli Olivia, nel 2011, è stato speciale, ma in modo diverso: è stata l’occasione per celebrare questi musicisti che ci avevano già dato tanto e per ringraziarli di essere tornati. L’ultimo live è stato ad Atene, solo una settimana prima della morte improvvisa di Doss per un aneurisma.
Hart tornava spesso sull’idea di qualcosa che esiste al di fuori del tempo lineare e citava, nella nostra intervista, una parte del testo di Prehistoric dei Circulatory System: “Dalla preistoria al presente / È tutto dentro di noi”. «In questo momento, dove sono seduto io, è il 1862», ha detto. «Sta accadendo. Non posso entrarci, ma sento che sta succedendo». E poi: «Quando qualcuno muore, mi piace fingere di parlarci e di avere risposta. Non credo sia davvero così, ma mi piace immaginarlo».
Nel corso degli ultimi dieci anni e mezzo si è accennato periodicamente alla possibilità di nuova musica degli Olivia Tremor Control. Hart continuava a parlare di alcune canzoni registrate poco prima della scomparsa di Doss e ancora da terminare. «Potrò cantare con lui ancora una volta», diceva. Due di queste canzoni sono uscite di recente nella colonna sonora del documentario sul collettivo Elephant 6 del regista C.B. Stockfleth: Garden of Light è una gemma jangle pop firmata da Bill Doss, e The Same Place un brano più umorale in puro stile Will Cullen Hart (il film, prodotto fra l’altro anche da Rob Hatch-Miller e Lance Bangs, è disponibile in streaming).
L’ultima volta che abbiamo parlato, Hart continuava a chiedersi se avrebbe mai rivisto Doss. «Mi è successo in sogno. A volte ho la sensazione che sia vero. Ho fatto molti sogni che mi hanno fatto dire: mi sembra proprio di averlo visto, ieri sera». E quindi ora mettete su Garden of Light e The Same Place, sentite Dusk at Cubist Castle e Black Foliage. C’è qualcosa di magico nel modo in cui le loro visioni e le loro voci s’intrecciavano. Quella magia ha qualcosa d’agrodolce adesso, ma non è sparita e vivrà per sempre, e anche voi sapete che è vero.
Da Rolling Stone US.