Anthony D’Amato si sta preparando nel backstage della Sony Hall, a Manhattan. Non passa inosservato col suo metro e 80 di statura, gli occhiali con la montatura spessa e il nome “Amy” scritto a grandi lettere nere sul lato della testa. Non è un tatuaggio, è solo eyeliner ed è facile da togliere. Tra pochi minuti, il cantante del New Jersey e la sua band di 12 elementi saliranno sul palco, prenderanno posto sotto un’insegna luminosa col nome di Amy Winehouse e una riproduzione della sua tipica acconciatura e suoneranno l’album Back to Black da cima a fondo. E no, non è certo per la prima volta che lo fanno.
«Mai avrei immaginato che l’avrei rifatto 200 volte o giù di lì», dice D’Amato che si esibisce col nome d’arte di Remember Jones. «Tutti conoscevano Amy Winhouse, i miei amici queer, quelli di colore, pure mia madre».
Quand’è morta nel luglio 2011 nella sua abitazione di Camden a causa di un’intossicazione da alcol, Winehouse si è lasciata alle spalle due soli album (tra cui il classico Back to Black) e una vita tormentata fatta di dipendenze, matrimoni, divorzi, il tutto immortalato in un milione di foto scattate dai paparazzi. Negli anni seguenti, la sua importanza sia musicale che culturale è cresciuta. Lana Del Rey, Adele, Lady Gaga e Future l’hanno citata come un’influenza, Miley Cyrus e i Måneskin hanno rifatto le sue canzoni sul palco. Lo spettacolo di D’Amato è solo uno dei tanti che si svolgono in ogni parte del mondo, dagli Stati Uniti al Regno Unito, dalla Serbia alla Slovenia. In molti casi a cantare ci sono sosia di Winehouse che sfoggiano il suo caratteristico taglio di capelli, l’eyeliner, le décolleté, la minigonna.
C’è chi va pellegrinaggio a Camden per vedere una statua di bronzo a grandezza naturale di Winehouse eretta in suo onore nel 2014 (all’inizio di quest’anno, per protestare contro gli attacchi di Israele a Gaza, qualcuno ha coperto il ciondolo con la Stella di David che la statua porta al collo con un adesivo raffigurante la bandiera palestinese). Per 135 mila dollari, i fan irriducibili di Winehouse, che si fanno chiamare Winettes o Cherries (dalla canzone Cherry) possono entrare i possesso dei circa 230 libri posseduti dalla cantante. Qualche anno fa, il rivenditore di libri rari Type Punch Matrix di Washington ha infatti acquistato la collezione a un’asta di beneficenza organizzata dalla famiglia della popstar e l’ha poi messa in vendita. La collezione comprende libri sul suo eroe Frank Sinatra, romanzi di Jackie Collins, biografie di musicisti che hanno lottato contro la dipendenza (Anthony Kiedis, Jimi Hendrix), una copia di Howl di Allen Ginsberg con un testo incompiuto infilato all’interno e alcuni volumi decisamente usurati.
«Si capisce dal loro stato che li leggeva nella vasca da bagno o che accendeva candele che poi sgocciolavano sopra», dice Brian Cassidy di Type Punch Matrix. «La condizione dei volumi aiuta a raccontare una storia, parla della sua vita». Su un libro è impresso un bacio dato col rossetto. «Non posso provare che sia di Amy, ma ne sono abbastanza certo».
Nel frattempo, il business attorno a Winehouse si è ampliato. La sua eredità comprende ora più di una dozzina di ristampe, compilation, registrazioni dal vivo, documentari. Il suo debutto del 2003 Frank sarà commemorato quest’anno con una nuova edizione e il video di In My Bed.
E poi c’è Back to Black, il biopic diretto da Sam Taylor-Johnson (che ha diretto il film su John Lennon Nowhere Boy). Durante le riprese, la regista ha notato che Winehouse è ovunque. «Entri in un ristorante e la senti cantare. Giri l’angolo e c’è un murale. Entri in un negozio e c’è un poster. La gente indossa le sue t-shirt. Pare sia ovunque».
Si è molto parlato dell’età in cui è morta: 27 anni, come Kurt Cobain, Jim Morrison, Jimi Hendrix e altri del cosiddetto Club 27. All’epoca i paragoni con quelle leggende sembravano prematuri. A 13 anni dalla morte non sembrano esagerati. Una delle prime grandi pop star del millennio, Winehouse è ora l’equivalente di Cobain o Morrison per la generazione che è diventata maggiorenne col pop in questo secolo. «È della loro stessa specie non solo per la vita, ma anche per la musica». dice Cassidy. «C’è una parte di tragedia, ma anche tanta gioia e creatività. La sua esistenza ha qualcosa di archetipico».
Come dice il suo ex bassista Dale Davis, «una volta per ogni generazione arriva un artista e cambia tutto. Non mi sorprende che la gente provi ancora interesse per lei. Ha avuto una carriera breve, come Cobain del resto, ma l’impatto è stato enorme».
Quando si cerca d’individuare il momento preciso in cui ha preso il via il business postumo attorno alla figura di Winehouse, non si può non pensare ad Amy, il documentario del 2015 di Asif Kapadia. Ha vinto un Oscar e ha incassato 23 milioni di dollari in tutto il mondo, una cifra eccezionale per un documentario di qualunque tipo. «L’interesse è nato subito dopo», conferma Chris Jones, dirigente di Sony Music Publishing, che supervisiona le licenze delle sue canzoni.
Dopo il film, Davis è stato contattato per riunire la vecchia band di Winehouse in modo che andasse in tour con una cantante nell parte di Amy. Originariamente chiamata Forever Amy e poi ribattezzata Amy Winehouse Band, la tribute band inglese rifà la scaletta tipica di Winehouse. «Volendo trasmettere l’idea di com’era, è stato naturale cercare di ricalcare lo show originale».
Davis ammette di aver avuto dei dubbi sull’idea. Ha pure vissuto un momento inquietante durante uno dei primi show del gruppo nel 2016, quando nella parte di Winehouse c’era una cantante italiana. «Il mio basso non rimaneva accordato, ho pensato che fosse Amy che stava cercando di dirmi qualcosa». Vedere la gente commossa e aver saputo da un fan che la madre che stava morendo aveva voluto assistere al concerto per vivere l’esperienza della Winehouse prima di andarsene lo ha riconciliato con la decisione che aveva preso. Salvo il periodo della pandemia, la Amy Winehouse Band non ha mai smesso di suonare. Il padre della cantante Mitch Winehouse (che non ha voluto essere intervistato per questo articolo) ha visto lo show e ha dato la sua benedizione. «L’ha trovato emozionante», dice Davis.
Sia la Winehouse Band che gli show di D’Amato chiamati Back to Back to Black evitano volutamente cantanti col look di Amy. L’attuale cantante della band degli ex, Brontë Shande, non porta i cappelli, né il trucco in stile Winehouse. «Conta lo spirito», dice Davis. «Ho lavorato con la vera Amy, non voglio un’imitatrice». Anche D’Amato, nel cui spettacolo ci sono cantanti di sesso sia maschile che femminile, nutre sentimenti contrastanti circa le sosia. «Non le critico, ma alcune non sono proprio il massimo, per come cantano o per altri motivi. Nessuno può copiare Amy».
Non tutti i progetti legati a Winehouse sono andati in porto. Un tour che prevedeva che Davis e la vecchia band accompagnassero un ologramma di Winehouse è stato annunciato nel 2018, ma è andato a monte per ragioni poco chiare. Nel complesso, però, il business di Winehouse sembra andare a gonfie vele. A quanto pare, il suo catalogo editoriale è valutato quasi 20 volte gli incassi annuali. L’anno scorso la Openville Ltd., la società diretta dai genitori divorziati della cantante, Mitch e Janis, aveva un patrimonio netto di circa 2 milioni di dollari. Secondo Royalty Exchange, che consente agli investitori di acquistare quote di royalties di canzoni selezionate, il catalogo di Winehouse procura «guadagni costanti e in continua crescita» ed è «al di sopra del 75° percentile di tutti i cataloghi analizzati da Royalty Exchange». L’anno scorso, 17 anni dopo la realizzazione, il video di Back to Black ha superato il miliardo di visualizzazioni su YouTube.
La fortuna di Winehouse è destinata ad aumentare grazie all’arrivo negli Stati Uniti il 17 maggio di Back to Black, che vede protagonista l’attrice inglese Marisa Abela e ripercorre la vita della cantante dall’adolescenza alla morte. «L’interesse è stato costante negli ultimi cinque o sei anni», assicura Jones, «e il film darà ulteriore impulso». Rockabilia, lo shop online che vende articoli musicali ufficiali, prevede un’impennata nelle vendite delle magliette di Winehouse. «È successo con Bob Marley grazie al il film appena uscito», dice il co-proprietario Frankie Blydenburgh, «e penso succederà anche con lei».
Le foto di Abela nei panni di Winehouse hanno fatto il giro di Internet, con grande disappunto di alcuni fan. «È uno scherzo di cattivo gusto, Amy si incazzerebbe per questa roba», si legge in un tipico commento. Davis lo sa bene: «Anche nel mio feed di Instagram c’era chi voleva fare una petizione per fermare il film». Alla regista Taylor-Johnson vien a dire che «c’è gente che giudica un film da una singola fotografia. Quel che posso dire è che ho trattato Amy con riverenza e rispetto»
La fanbase di Winehouse può ricordare quella delle leggende del rock del passato, ma c’è un aspetto inedito. Il successo di Amy è coinciso con l’ascesa dei social. Il modo in cui la sua vita è stata esposta pubblicamente ha creato un legame con una generazione che a sua volta ha vissuto sui social. «E perciò di fronte alla sua vita e alle sue battaglie, i fan hanno scelto l’identificazione al posto del sensazionalismo», dice D’Amato. «Pensano: era un po’ come me».
Dopo i 90 minuti di concerto della sua band, D’Amato viene avvicinato da una fan con un tatuaggio di Winehouse sul braccio. «Penso sempre che dovrei scattare foto con chi mi mostra i suoi tatuaggi. Se ti incidi Amy sulla pelle, vuol dire che hai con lei una connessione profonda».
Da Rolling Stone US.