In ogni epoca ci sono artisti che paiono avere più haters che estimatori. A volte una band sembra più importante per chi la odia che per chi ne è infatuato, perché prenderne le distanze significa definire il proprio gusto, ma soprattutto rifiutare con forza un mondo intero. Niente paura, non vogliamo accusare di snobismo chi non tollera Il Volo. Ma chiederci cosa ne faccia un bersaglio così apprezzato. Quale sia, in pratica, il mondo che rifiutiamo quando tiriamo i nostri pomodori virtuali a Piero Barone, Ignazio Boschetto e Gianluca Ginoble, che festeggiano il decennale della loro attività con la raccolta 10 Years.
Prima, cerchiamo di capire se e come Il Volo ha successo. Al n. 1 in Italia ci sono stati una volta e per una sola settimana con l’album Sanremo grande amore, del 2015 (quando la classifica dipendeva dai CD). È il loro disco più venduto, l’unico che ha ottenuto 3 dischi di platino. Per capirci, Alessandra Amoroso di tripli platini ne ha 4. Di quadrupli, ne ha 2. E i Modà guardano dall’alto entrambi, con 2 quadriplatini, un pentaplatino e un diamante. Quest’anno, dopo Sanremo, l’album Musica è entrato in classifica al n. 2. Un mese dopo era gentilmente uscito dai primi 30. Non risulta che abbia ottenuto un disco d’oro.
Ci viene detto che all’estero hanno venduto 2 milioni di dischi. Ci fidiamo: del resto, appena finito il tour in America del Sud, torneranno in quella del Nord dove li attendono il Radio City Music Hall di New York e molte città californiane, dove gli italoamericani non sono tanti. Da noi? Si difendono: nel 2016 con due date a Torino hanno fatto 19 mila spettatori, e nel 2020 si celebreranno, come tanti, nell’Arena di Verona.
Però c’è un ambito in cui Il Volo fa la voce grossa (pardon): la tv. Rai 1 e Canale 5 se li strappano a morsi perché, Auditel alla mano, quando appaiono in un Sanremo o in un Wind Summer Festival, gli ascolti lievitano. Non è un’affinità col pubblico “anziano” (che poi, 50 anni fa i 70enni di oggi preferivano Celentano e Patty Pravo a Claudio Villa) anche perché su Canale 5, che si rivolge a un pubblico di famiglie più giovani, il “tenorino” Alberto Urso ha trionfato ad Amici e due anni fa su SkyUno, che con X-Factor smania per risultare cool e supergiovane, ha vinto l’altrettanto tradizionalista Lorenzo Licitra.
Non cadiamo allora nella categoria degli haters, che odiano qualcuno, ma soprattutto odiano chi lo ama. Il pubblico de Il Volo è identificato come anziano, poco coraggioso, senza gusto, tradizionalista. Sono buoni motivi per detestarlo? No, sono affari suoi. E in fin dei conti, è un apprezzamento discreto: i brani de Il Volo non ci arrivano da tutte le parti come Despacito. Anzi, già che ci siamo: non si può tacciare Il Volo di essere trash, di assecondare un certo cattivo gusto nazionalpopolare: la loro arma segreta è una sobrietà molto educata e sorridente, sono carini e coccolosi come i pinguini di Madagascar, a volte ribaldi ma con misura – una boy band ultraitaliana per adulti, con quello carino, quello scasciato, quello furbo (ma anche: quello con la voce morbida, quello con la voce potente, quello con la voce “latina”). Ma per quanto si possa essere insofferenti alla loro proposta musicale, è difficile che vadano sopra le righe per farsi notare – al contrario di Bruno Vespa quando se ne appropria. E poi, diciamola tutta: danno al fatidico POPOLO musica nobile sottraendola al monopolio delle élite. Quindi, che problema abbiamo con loro?
Ebbene, durante la conferenza stampa di presentazione di 10 Years, i tre cantanti 25enni hanno detto cose che meritano qualche riflessione, anche al di là della musica. La più esplosiva, una tesi non da poco (non solo in campo artistico) è: «Non sempre l’evoluzione è la cosa giusta, o la cosa più figa» (Boschetto). Come dire: il dibattito è aperto (non qui). Poi, per quanto riguarda la propria vocazione: «Non siamo tenori, lo abbiamo detto tante volte. Ma vorremmo rappresentare, nella scia di Luciano Pavarotti e Andrea Bocelli, il bel canto all’italiana. Che è la musica italiana che funziona all’estero» (Ginoble). «Credo che ogni tanto si debba provare a far passare un messaggio un po’ più educato» (Barone). «Non siamo così attaccati al passato. Io apprezzo di tutto, da Salmo ai Talk Talk, dai Police a Lucio Battisti, e penso che tutti i ragazzi dovrebbero conoscerli. Ma anche se abbiamo provato a fare degli esperimenti col pop, la chiave del nostro successo è il pop lirico» (Ginoble). «Noi facciamo classici, cioè pezzi che non moriranno mai. Ma non li modernizziamo. Li rendiamo moderni in senso visivo, siamo ragazzi in sneakers che cantano Nessun dorma e ‘O sole mio» (Barone).
E forse fra le cose inaccettabili de Il Volo c’è tutto questo. Sì, è vero, tramandano grandi canzoni. Ed è ovvio che i Modà o Il Pagante, Elettra Lamborghini o Fabrizio Moro fanno pezzi – senza offesa – più scarsi di Caruso o Libiamo ne’ lieti calici. Però un pregio (solo uno) ce l’hanno: perlomeno ci provano. Quella de Il Volo, che ammette la difficoltà nel trovare materiale nuovo da interpretare e infatti non pubblica un album di inediti dal 2015, è un’opportunistica rinuncia, è arrendersi al passato negando presente e futuro. «La nostra cultura non è quella di Sfera Ebbasta, è una cosa diversa». Il punto è che non è nemmeno quella di due innovatori come Dalla o Modugno, che loro cantano. Sì, all’estero funziona, in parte anche per il razzismo musicale degli angloamericani. Ma Il Volo simboleggia il premio a chi smette di provarci.
Per cui, alla fine, sì, c’è parecchia gente che fa più schifo de Il Volo, che anzi fa bene quello che fa. Il problema è quello che fa. Pure, uno dei suoi pregi forse è proprio la sua sfida involontaria. Tentare di scrivere pezzi che se la giochino con quelli che loro hanno fatto propri. Partendo dal fatto che chi ha scritto i pezzi che loro oggi cantano, non pensava solo a “quello che funziona”.