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‘Bis!’ è una cosa divertente che forse Colapesce e Dimartino non avrebbero dovuto rifare

Dopo 'Big!' del 2021, è arrivato 'Bis!', il podcast della coppia dedicato a Sanremo 2023. Registrazioni sul campo, conversazioni dietro le quinte, cronache audio in presa diretta. Eppure manca qualcosa

Foto: Daniele Venturelli/Getty Images

Parafrasando David Foster Wallace: un podcast divertente che non si sarebbe dovuto fare più. Ma anche evitando di citare lo scrittore americano che purtroppo non c’è più, anche perché ormai è una citazione quasi abusata, sarebbe bastato affidarsi alla fonte: perché il podcast Bis! Colapesce e Dimartino a Sanremo è prima di tutto il sequel di Big! Colapesce e Dimartino a Sanremo, uscito due anni fa ovviamente in occasione della prima partecipazione a Sanremo dei due con Musica leggerissima; e il sottotitolo di quest’ultimo parlava chiaro, Storia leggerissima di qualcosa che non rifaremo.

Invece, l’hanno rifatto. L’hanno rifatto di partecipare a Sanremo; e hanno rifatto un podcast a far da contorno all’operazione, podcast costruito catturando registrazioni in tempo reale, conversazioni interne, cronache audio in presa diretta. Il primo tentativo era stato baciato dal successo di critica e anche di ascolto (per quanto possa contare questo successo, visto che attorno ai podcast continua ad esserci una bolla mediatica e di investimenti che li rende apparentemente più importanti e più utilizzati di quello che sono in realtà). Perché allora non rifare il seguito, si sono detti, sempre con la stessa squadra (Marco Rip e Giacomo De Poli per LifeGate Radio e Dopcast). Tanto il “qualcosa che non rifaremo” era già andato a farsi benedire, come principio. No?

I motivi per non attenersi ad esso almeno per quanto riguarda il partecipare al Festivalone Nostro in fondo c’erano assolutamente, e ne avevamo parlato anche in una intervista proprio da queste parti: il fatto di essere molto convinti del brano da presentare e il fatto che sarebbe stato un ottimo volano promozionale per la cosa che forse gli interessava di più – e che effettivamente era una sfida artistica nuova – ovvero quella del lungometraggio da mandare nei cinema a pochi giorni dalla fine del festival (La primavera della mia vita poi nel suo piccolo ha funzionato pure piuttosto bene, andando oltre le previsioni e raggranellando un incasso non disprezzabile, attorno ai 300 mila euro in un paio di weekend; tra l’altro l’idea originaria era di tenerlo su solo tre giorni, un weekend solo, quindi sì, tutto meglio del previsto).

Ma i motivi per rifare un podcast? Sì, ok: come già dicevamo, quello originario aveva raccolto favori e premi. E ci stava l’avesse fatto, lui, perché era un esperimento piuttosto atipico e interessante e, al tempo stesso, molto coerente col piglio stralunato-ma-affilato che caratterizza i due sia come artisti che come persone. Stralunato, perché la registrazione degli audio in presa diretta creava, con discorsi interni e scene a frammenti, un immaginario quasi in stile Blob (con sconfinamenti nella riserva Ciprì e Maresco, per intenderci; affilato, perché dietro l’apparente svagatezza e cazzonaggine i due hanno un visione molto affilata, molto intelligente, molto precisa e molto cazzuta sia del mondo in generale che dell’industria discografica in particolare). Insomma, tornava tutto. Il podcast aveva un suo perché. Il primo. Incuriosiva per l’atipicità, dava un ritratto più vivido della Weltanschauung dei due senza indulgere in un ufficialissimi spiegoni e pipponi, intratteneva.

Si poteva però forse restare lì. Bis! due anni dopo segue una formula simile. È giusto un attimo più polifonico e più ricco nelle fonti. Ok. Ma il sapore che lascia in bocca – e questo non crediamo proprio fosse intenzione né di Colapesce, né di Dimartino, né di tutto quello che gli gira intorno più strettamente – è purtroppo quello dell’autoindulgenza. Estenuata, insistita autoindulgenza. Per certi versi ci è capitato di ripensare le stesse cose che ci hanno attraversato la mente guardando il videodocumentario su Elodie prodotto da Groenlandia e visibile su Prime, e chissà se è un buon segno (probabilmente no): anche lì si ruotava molto attorno a Sanremo (venduto come una pittoresca figata a cui è difficile rinunciare e che comunque serve molto a livello promozionale), anche lì veniva posta molta attenzione sul lato umano dell’artista ma con sempre una attenta regia e presenza degli elementi di contorno iper-professionali (il management, i discografici…), anche lì l’eterno principio de “anche i ricchi piangono” veniva declinato in un più aulico e indie de “anche i musicisti soffrono e faticano”, poveri.

Non siamo ingenui. Sappiamo che da sempre i meccanismi del pop utilizzano a mani basse queste dinamiche per massimizzare la rendita dei propri prodotti: è dagli anni ’50 che si cerca di mostrare il volto umano del musicista famoso (o wannabe famoso) per fargli catturare ancora più pubblico e/o fidelizzare ulteriormente quello già conquistato, sottolineando comunque come viva in un mondo tutto suo fatto di fascino, sensibilità, intuizioni, esclusività, stile. Una tantum si può fare. Anche nel caso di gente che non ha ansie da pop star, come Colapesce e Dimartino: può essere un gioco ironico. Il problema dei giochi ironici è però che spesso ti prendano la mano, smettendo di essere tali. Se non ti sai fermare.

Ed è qui che rischia di cadere Bis!, come operazione. Gli audio rubati nelle conversazioni con Ornella Vanoni o con Zoro nella puntata numero quattro sono curiosità da regalare ai fan, o ostentazione del filo diretto con personaggi noti? Probabilmente, entrambe le cose. O ancora, altro esempio: il parlare di styling e di taglie di giacche nella puntata due è un utile insight sulle mille cose che deve curare un musicista pop oggi sotto esposizione ed in ascesa o è un trascurabile infighettimento? Ai posteri – e ai poster – l’ardua sentenza.

Potremmo fare altre esempi così, su questa falsariga, a partire dalla presenza della flautatissima voce di Carla Bruni che esterna il suo entusiasmo nel collaborare coi due, con tra le righe un compiacimento agiografico che farebbe sollevare un sopracciglio perfino forse a Vincenzo Mollica. Sia chiaro: i momenti divertenti non mancano, le curiosità dietro le quinte ogni tanto catturano (ma catturano perché interessanti o perché ti danno l’illusione di un posto in prima fila in un contesto interessante e famoso?), alla fine il podcast si fa ascoltare per tutte e sette le sue puntate, massì. Però se la sua prima declinazione due anni fa aveva una sua precisa e originale ragion d’essere, questa sua replica due anni più tardi ha qualche traccia in più di autocompiacimento pesante e, in fondo, assai evitabile.

Ma forse siamo noi che non capiamo le regole del pop? Quelle cioè che dicono che devi battere il ferro, e devi farlo in tutti i modi, finché è caldo. Occhio però che le regole del pop sono anche crudeli: finché funzioni va bene tutto, se smetti di funzionare finisci nell’umido. O nel cassonetto differenziato, per il cantautore pop già sfruttato.

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