Quando il feedback di chitarra dell’intro di Like Eating Glass inizia il suo percorso, un brivido mi corre lungo la schiena. Risento l’odore del negozio di dischi dove ho comprato l’album (il suo proprietario dopo averlo chiuso ha aperto una fortunata catena locale di bar gelaterie), sulla pelle ho la sensazione di disorientamento del primo ascolto con le cuffiette del mio lettore cd portatile (sigh!) in quello che nella mia memoria, forse ingannata dall’iconica copertina di una campagna inglese innevata, fu un freddo inverno emozionale. La sensazione si ripete, immancabilmente, ad ogni ascolto. Ogni-singola-volta torno ai miei diciassette anni, quando con i miei primissimi skinny jeans camminavo sulla riva al fiume di una piccola cittadina nella provincia torinese. Qualcosa in quel momento stava cambiando per sempre. Era il 2005.
Silent Alarm, il primo fantastico disco dei Bloc Party, esce per Wichita Recordings il giorno di San Valentino (che romanticoni!) di quindici anni fa. È subito un successo unanime di critica (4/5 su Rolling Stone US, 9/10 su NME, 8.9 su Pitchfork) e di vendite. È il disco che afferma il suono indie-rock (tendenzialmente british) che segnerà la seconda parte di quel decennio, nonché l’ultimo momento della storia della musica leggera prima che le band e gli strumenti vengano superati dalla laptop music della trap e del nuovo pop. È l’ultimo colpo di coda del rock, nonché il preludio che porterà l’indie ad emanciparsi verso il pop.
Silent Alarm è un disco speciale perché fuoriesce dalla cesta dei dischi indie-rock che in quegli anni tentavamo un revival di Joy Division e The Smiths. Da una parte c’è la scrittura brillante e disincantata di un quartetto di ragazzini che vuole conquistare Londra, dall’altra la fortuna di trovare sulla propria strada Paul Epworth che, nel decennio a seguire, diverrà una figura centrale del pop mondiale (sulla mensola di casa sua c’è un Oscar per aver scritto e prodotto Skyfall con Adele). Il suono è iconico, dominato da un uso massiccio e delirante delle batterie quanto dell’effettistica accentuata delle chitarre, il tutto riallineato nell’intimità della voce di Kele Okereke.
Quando Helicopter e, soprattutto, Banquet arrivano nelle orecchie dei giovani millennials è puro D-E-L-I-R-I-O e i Bloc Party diventano la big thing che lancia l’indie-rock su scala mondiale. Banquet diviene hit da rockoteca (luogo in cui sbarbatelli brufolosi si dimenavano con ciuffo e skinny jeans, demolendosi le Converse, a ritmo dei migliori successi dell’electro-indie-rock) e, sulla scia di questo successo, la Wichita ha la geniale idea di far uscire un disco remix di Silent Alarm in cui appaiono, oltre ad alcune bombe per la rockoteca appena citata, remix di Fout Tet, M83, Mogway, Erol Alkan, artisti che negli anni a seguire diverranno fondamentali. Silent Alarm è il manifesto dell’ecosistema indie, una sfera emotiva che raduna uno spettro di sensazioni tardo-adolescenziali che vanno dall’elettricità e la foga, alla ricerca di un posto nel mondo, disadattamento, soliloquio con le proprie emozioni e i propri stati emotivi. Per ogni momento in cui viene da correre e spaccare tutto, c’è un contraltare di tristezza e solitudine.
I Bloc Party si distinguono dalla scena musicale in cui nascono (la new british invasion di Franz Ferdinand, Maximo Park, The Futureheads, Kaiserchiefs) proprio per testi ambigui e immagini nebbiose, rimanendo in equilibrio tra narrazione e poetica. Nonostante questo retaggio ermetico, restano relatable grazie alla capacità di portare avanti un discorso ampio come quello del coming-of-age, ovvero la narrazione di un adolescente che affronta un percorso di passaggio per diventare adulto. I testi di Kele Okereke (poco più che ventenne ai tempi) insistono sulle tematiche e difficoltà di questo momento di transito della giovinezza: relazioni disfunzionali (Blue Light, This Modern Love), droghe (So Hear We Are), disillusione (The Pioneers), spleen (Compliments), sesso (Banquet), consumismo (Helicopter, Positive Tension, Price of Gas), solitudine (Like Eating Glass), depressione (Luno, Plans), paranoia (She’s Hearing Voices). Il tema ricorrente è sempre e soprattutto amore, ma in una prospettiva di disorientamento sessuale (con una gayness che verrà esplicitata solo negli album a seguire), di incapacità di relazionarsi con un mondo anaffettivo in cui l’amore è like drinking poison, like eating glass. Un modo di raccontare il sentimento che è andato a perdersi, diametralmente opposto al cinismo della trap e al buonismo dell’ultimo pop.
Silent Alarm, o meglio ancora, i Bloc Party, sono una storia d’amore poetica e ambigua come non se ne trovano più. Recuperarli nella situazione socio-politica del 2020 e sentirli cantare stop be so American, why can’t you be more European? è emozionante e struggente, sicuramente nostalgico e ancora potentissimo. Anche a distanza di quindici anni, Silent Alarm rimane un disco grandioso, una fotografia sull’indie che fu e che forse – chissà! – verrà recuperato da qualche futura generazione con la fotta di riprendere in mano strumenti come chitarra e batteria. Nell’attesa di questo revival, per noi rimane uno degli ultimi grandi dischi (indie)rock di cui è giusto avere memoria.