Bob Marley, padre nostro: intervista a Ziggy, Stephen, Julian, Ky-Mani, Damian | Rolling Stone Italia
Vibrazioni positive

Bob Marley, padre nostro

Intervista ai cinque figli del profeta del reggae Ziggy, Stephen, Julian, Ky-Mani e Damian Marley che ne tengono vivo il ricordo con un tour assieme. «Non sono canzoni, sono sacre scritture»

Bob Marley, padre nostro

I fratelli Marley: da sinistra, Damian, Stephen, Ziggy, Julian , Ky-Mani

Foto: Zach Weinberg/Tuff Gong Worldwide

Le vibrazioni positive si sentivano a un paio di di chilometri di distanza. Era settembre e al Forest Hills Stadium, una struttura da 13 mila posti nel Queens che di solito ospita incontri di tennis, cinque figli di Bob Marley (Ziggy, Stephen, Julian, Ky-Mani e Damian) stavano rievocando lo spirito del padre. Si chiama Legacy il tour che vede i cinque fratelli sul palco insieme per la prima volta da 20 e passa anni. Sembra quasi un rito religioso. Gente d’ogni età in abiti mimetici e colori rasta è elettrizzata mentre i cinque figli del profeta del reggae ne suonano la musica e ne diffondono il messaggio senza tempo.

«Sono cresciuto guardando i miei fratelli maggiori Stephen e Ziggy», mi dice al telefono Ky-Mani, 48 anni. «Mai avrei pensato che la musica sarebbe entrata nella mia vita. Condividere il palco con loro, fare dischi assieme, ottenere dei riconoscimenti è qualcosa di indescrivibile».

Questo 2024 è stato un anno importante per la famiglia. A febbraio è uscito il film One Love, con Kingsley Ben-Adir nella parte di Bob. Nello stesso mese Julian Marley ha vinto il suo primo Grammy per il miglior album reggae con Colors of Royal, un disco nato dall’incontro casuale con il produttore Antaeus, che gestiva uno studio nel retro di un ristorante dove stava cenando. «Sono successe tante cose tutte assieme», dice Julian, 49 anni. «Prima è arrivato il Grammy, poi il film. E in ogni cosa c’è lo spirito di papà. È il suo momento, abbiamo il dovere di fare quel che va fatto».

Ziggy, che di anni ne ha 55, concorda. «Dietro non c’è alcuna strategia di marketing, né un obiettivo di lungo termine», dice al telefono, quando ormai il tour volge alla fine. «Non abbiamo alcun controllo su ciò che l’universo sta cercando di dirci. Il tempismo è stato perfetto».

The Marley Brothers: The Legacy Tour (Sept 5 - Oct 5)

Il pubblico del Queens è in estasi. Lo è anche lo staff e pure quelli della security dietro le transenne cantano a squarciagola il ritornello Get Up, Stand Up, che i fratelli intonano a turno. Sul palco sventola la bandiera rastafariana, mentre i Marley ripropongono il repertorio di successi del padre con grande naturalezza.

È Stephen (52 anni) a gestire il grosso della produzione del tour e delle altre esibizioni dei fratelli. Il punto è che la musica del padre, dice, torna quando la gente ne ha più bisogno. «In un modo o nell’altro, la musica di papà è sempre stata rilevante nel corso del tempo e degli eventi. Soprattutto adesso, con tutte queste guerre nel mondo, è musica che parla di amore universale, di unità, di avere un solo scopo e un solo destino e quindi è importante in questo momento, ce n’è un gran bisogno».

Julian la mette giù in termini spirituali: «La musica di nostro padre somiglia alle sacre scritture. Per secoli e secoli la gente ha letto di Pietro, Paolo, Luca o Giovanni. Anche la musica di nostro padre è così. È una sacra scrittura che è lì e non può cambiare, perché non è fatta di parole sue. Quelle parole avevano un’origine più elevata».

Proprio per questo, spiega Stephen, la definizione della scaletta del tour è stata semplice. «Per noi questa musica è come la Bibbia. Ci è molto cara. Dopo tanti anni, sappiamo quel che a ciascuno di noi piace cantare e quali canzoni è bello fare insieme. Niente di nuovo o complesso. Abbiamo messo insieme la tournée lavorando in squadra».

Secondo Ky-Mani, il Legacy Tour ha fatto emergere un legame più profondo con la musica del padre. «È qualcosa di intimo. Non è come essere una cover band che fa pezzi altrui. In ballo ci sono sentimenti veri». Per Julian, alcune di queste canzoni sono talmente speciali «che non si possono imparare in una sera, occorre che ti entrino in circolo per settimane, magari un paio di mesi».

Tutti i fratelli concordano sul fatto che gli show hanno rappresentato un momento speciale per la famiglia. Per Stephen (il cui figlio maggiore, Jo Mersa Marley, è mancato nel 2022 ad appena 31 anni), i concerti hanno avuto un effetto curativo. «È stata la musica a farmi andare avanti e ad aiutarmi ad affrontare la cosa, giorno dopo giorno. È una benedizione avere attorno persone a cui voglio bene e fare ciò che mi piace. Mi aiuta a guarire».

Da Rolling Stone US.