Quello che Cremonini ha fatto dal suo esordio con i Lùnapop è per alcuni versi avvicinabile alla vicenda di un altro artista che lo ha preceduto e cioè Jovanotti. Se 50 Special è la Gimme Five della canzone d’autore pop italiana, eccoci qui, da ormai molto tempo a questa parte, a fare i conti con la maturità di quell’antica bomba esplosa nei nostri cd player esattamente vent’anni fa, una bomba che se ne stava in un album, Squérez?, che già rivelava doti d’autore particolarmente sorprendenti per un ragazzino (ma a dire il vero pure per un adulto), quelle doti che, disco dopo disco di Cesare Cremonini, sono arrivate fino a quest’ultimo brano, uscito a mezzanotte e intitolato Al telefono.
A tessere il pezzo c’è una doppia trama che sapientemente fa incontrare su un doppio binario sia il testo che la musica, in quello che può definirsi a tutti gli effetti un appuntamento tra passato e presente. Da un lato abbiamo dunque la classicità, un certo sguardo originario sul suono italiano, fatto qui di una eco importante di Lucio Battisti con fiati sontuosi e di un gioco delle parti tradizionale tra strofe, ritornelli, stop e riprese. Dall’altro abbiamo come delle imprevedibili pause nei passaggi centrali del pezzo e lo stop che precede la coda la stacca di qualche secondo, dunque il brano sembra finito, ma non lo è, esattamente come poco prima pareva prendere una direzione per poi deviare improvvisamente nella struttura. La classicità dei fiati e gli elementi melodici che collocano il brano nella tradizione, allo stesso modo, si accompagnano a un nuovo sound ipnotico che si affida al piano, certo, ma anche a un intreccio elettronico curatissimo che porta nel pezzo una ventata di contemporaneità molto interessante.
Allo stesso modo – e in questa corrispondenza risiede con ogni probabilità l’aspetto più interessante del brano almeno dal punto di vista teorico – il testo non solo mescola abilmente rime baciate e sonorità liriche imprevedibili, ma immediatamente si colloca in un limbo senza tempo in cui, da un lato, il telefono è il più classico e antico mezzo di comunicazione e dall’altro è l’oggetto più contemporaneo di tutti, il protagonista delle nostre vite che rende tutti gli altri semplici personaggi e che dunque rappresenta qui quella stessa tradizione tradotta nella sua realtà ultima, appunto, elettronica.
Basta tutto questo a fare di Al telefono un brano interessante? Indubbiamente. Basta anche a farne una canzone che resterà? Non è detto, perché quello che forse continua a mancare a questo bravissimo Cremonini, che ragazzino alle prime armi non è più da un pezzo, è la capacità di restituirci quella trama più classica e necessaria in modo un po’ solenne, epico, definitivo, con quella chiave che i piccoli brani di immenso successo delle origini dimostravano di avere in nuce e che vorremmo tanto vedere prima o poi girare per spalancare quella porta che potrà far dire davvero a tutti che, piaccia o meno, Cremonini, forse forse, è quello che gli altri cantautori su piazza se li mangia tutti.