È iniziato tutto un mese fa con un tweet enigmatico: «Buon compleanno, Mary Jo! Ci vediamo a Frankfort». Ora, dovete sapere che Bob Dylan non è uno che usa i social per comunicare chissà che. Il suo profilo di X è composto da una serie di post scritti in terza persona, evidentemente creati dal suo staff per lanciare le uscite discografiche. E sono pochi, pochissimi, nonostante i 444 mila e fischia follower, e zero following. Prima di quello su Mary Jo, nel corso del 2024 era uscito un solo asettico tweet a proposito del cofanetto The 1974 Live Recordings. L’unico altro segno di vita era stato un retweet dall’account ufficiale dei Beatles sul Concert for Bangladesh organizzato da George Harrison a cui His Bobness partecipò. Dei 12 tweet pubblicati da Dylan nel 2023 solo uno era vagamente personale ed era comunque scritto in terza persona, somigliava a un secco comunicato stampa: «Dichiarazione di Bob Dylan sulla morte di Robbie Robertson: “È una notizia scioccante. Robbie era amico da una vita. La sua scomparsa lascia un vuoto nel mondo”». Poi improvvisamente arriva il compleanno di Mary Jo.
Un’altra cosa che dovete sapere, anzi che già probabilmente sapete, è che Dylan comunica poco in assoluto, non solo sui social. Concede interviste raramente, in concerto dice poche parole, cosicché un semplice «grazie» nella lingua locale alla fine di una canzone diventa un grande gesto di empatia nei confronti del pubblico. Anche per questo girano un sacco di storie su di lui, la sua quotidianità, i suoi giri. Tipo: la volta in cui è stato fermato dalla polizia perché quello scruffy old man aveva tutto l’aspetto del vagabondo, quando ha cantato alla scuola materna del nipotino facendo cagare sotto i compagni di classe, quando tirava su autostoppisti per cercare di convertirli al cristianesimo con un cappellaccio calato sulla testa per non farsi riconoscere. Poi improvvisamente arriva il compleanno di Mary Jo.
Intanto, è proprio Dylan? Vulture ha ricevuto la conferma che a twittare è proprio lui. E poi, stiamo parlando di Frankfort che sta in Kentucky oppure di Frankfurt che sta in Germania? Dylan lo scrive con la o, ma essendo lui in tour in Europa ed essendosi esibito tre settimane dopo quel tweet proprio a Francoforte, potrebbe essere buona la seconda interpretazione, ma non si sa mai. E poi, chi è Mary Jo? A quanto pare nessuno lo sa. Le interpretazioni vanno da «è un’amica sua a cui voleva mandare gli auguri in privato» a «è un messaggio in codice» fino a quelli che googlano e deducono che è una che lavora come segretaria in una scuola locale di Frankfort, Kentucky. Altra ipotesi: non esiste alcuna Mary Jo così come sono inventate le storielle che Dylan racconta su X.
Fatto sta che il tweet è datato 26 settembre e quattro giorni dopo ne arriva un altro, scritto sempre in prima persona: «Ho scoperto l’altro giorno che è morto Bob Newhart. Riposa in pace, Bob. Ci hai dato tanta gioia». Al di là del fatto che Newhart ci ha lasciati a luglio e Dylan lo ha scoperto a fine settembre, due giorni prima di questo tweet era morto Kris Kristofferson, che uno associa più facilmente al musicista, sapete com’è, Nashville Skyline, Pat Garrett and Billy the Kid, They Killed Him. E invece, niente messaggi per la star di cui tutti parlavano in America, ma per un attore che forse Dylan ha visto in azione in tv negli anni ’70. In ogni caso il tweet significava una cosa: il messaggio su Mary Jo non era stato un errore, forse neanche un episodio isolato. L’account di Dylan stava diventando sempre più strambo e finalmente interessante.
L’1 ottobre arriva un tweet che uno non s’aspetta dal più studiato, riverito, temuto cantautore di sempre. O forse è esattamente una cosa che potrebbe scrivere uno che se ne frega d’essere il più studiato, riverito, temuto cantautore di sempre: «L’ultima volta a New Orleans abbiamo mangiato da Dooky Chase’s all’angolo tra North Miro St e Orleans Ave. Se siete da quelle parti, ve lo consiglio caldamente». Ora, detto con rispetto, sconfinata ammirazione e persino un pizzico d’affetto, Dylan è uno che per soldi farebbe tante cose e tante ne ha fatte, da prestarsi a pubblicizzare Victoria’s Secret (non si smutandava lui, ma Adriana Lima) fino a vendere whisky brandizzato fatto nel Kentucky (un caro saluto a Mary Jo). Ma non credo che abbia consigliato per soldi un ristorante del Tremé col gumbo a 13 e 95.
Il 15 ottobre avviene il miracolo, tipo Gesù che risuscita e appare a Maria Maddalena: Dylan risponde a un utente. Ovviamente è tutto meravigliosamente a caso. Lo spunto lo dà un tweet del cantautore a proposito di una squadra di hockey: «Ho incontrato uno dei Buffalo Sabres nell’ascensore dell’hotel a Praga. Erano in città per giocare contro i New Jersey Devils. Mi ha invitato alla partita, ma la sera dovevo fare il concerto». È una scena ordinaria e allo stesso tempo straordinaria, perché a raccontarla è Dylan e con un po’ di fantasia uno lo immagina che dice: accidenti, amico, mi tocca suonare stasera. Il giorno dopo, e siamo al 10 ottobre, un account dedicato ai Bitcoin chiamato Vlad hosts the best podcast in Bitcoin (giuro) e gestito apparentemente da un rumeno chiamato Vlad Costea, che di solito twitta robe tipo «samourai wallet whirlpool code», qualunque cosa significhi, risponde alla storia sui Buffalo Sabres: «Vai all’Indian Jewel, è un ottimo ristorante lì a Praga!». Poteva finire lì, poteva essere il miliardesimo tentativo andato a vuoto di integragire con un grande musicista, e invece cinque giorni dopo Dylan risponde e lo fa seriamente: «Sorry Vlad, era troppo tardi quando ho ricevuto il messaggio. Il promoter ci ha portati a mangiare nel suo ristorante preferito. La prossima volta che saremo a Praga, però, andremo di sicuro all’Indian Jewel». Ci sta, in fondo stiamo parlando uno che tra i ringraziamenti del suo ultimo libro ha piazzato il personale di Dunkin’ Donuts.
È tutto così informale che si comincia a voler bene a questo Dylan twittarolo che se ne frega delle regole della comunicazione, che non usa il social per prendere posizione sull’argomento del momento o per pubblicizzare di nascosto un brand, ma per raccontare la banalità del genio (o per rifilarci un sacco di fegnacce, come dicono i più cinici). Comunque, il 23 ottobre Dylan riapre la app – o forse detta i tweet a qualcuno, chi lo sa – per un nuovo post, questa volta su Frankfurt, non Frankfort. È un altro quadretto di vita ordinaria: «In hotel a Francoforte c’era una fiera editoriale, tutte le stanze erano occupate, ci sono stati party per tutta la notte. Non sapevo ci fossero così tanti editori al mondo (amico mio, dovresti vedere quanti ce ne sono in Italia, nda). Stavo cercando la Crystal Lake Publishing per congratularmi con loro per aver pubblicato Il grande dio Pan, uno dei miei libri preferiti (si tratta di una ristampa del libro di Arthur Machen di fine Ottocento, nda). Ho pensato che potessero loro interessare alcuni miei racconti. Sfortunatamente il posto era troppo affollato e non sono riuscito a trovarli».
La scena è impagabile. Il premio Nobel che ha pubblicato l’autobiografia e un libro sulla filosofia della canzone moderna per Simon & Schuster non chiede al suo manager o agente di contattare l’editore per proporre «alcuni miei racconti» (che di per sé è una notizia, prendiamone nota). No, cerca di persona lo stand della Crystal Lake, non lo trova, rinuncia e twitta. «Sono quasi caduto dalla sedia!», si legge nell’account X della casa editrice, che poi lascia a Dylan un indirizzo Gmail a cui contattarli. Siamo quasi caduti della sedia anche noi, ma viva questo Dylan twittarrolo che ammazza il mito 280 caratteri alla volta.