La voce è un sussurro, si muove leggera come un alito di vento fresco su una spiaggia arroventata di L.A. In sottofondo, oppure lontano mille miglia, un pianoforte con poche note rarefatte a supportare il canto. Una visione, mentre dall’alto surreali scie chimiche si stagliano sopra un country club, luogo elegante ed esclusivo nel quale le persone paiono manichini senz’anima in un mondo che non esiste più.
Guardi da lontano: un film, una foto, un ricordo che non ti riguarda, o forse sì… Tutto è indistinto, si muove al rallentatore. Ti avvicini e l’immagine si colora in maniera quasi lisergica, appaiono i prati di un verde intenso, fa quasi male agli occhi, e il cielo di un azzurro impossibile. In questo momento Lana Del Rey canta un ricordo della sua gioventù, uno dei tanti abiti che ha indossato: quello di una cameriera che sogna il futuro ascoltando le band del momento e dentro di sé si scatena pur restando immobile. Osserva il luogo di lavoro ma non lo vede, ciò che in realtà le si para innanzi agli occhi è il sogno di un’America altra, la stessa che si prodigherà a dipingere nei suoi dischi in maniera allo stesso tempo nitida e sfocata. Non c’è un punto fermo nella sua musica, Lana non ti spara mai un pugno in faccia, nel nuovo album Chemtrails Over the Country Club è ancora di più un punto vago all’orizzonte. Ma è proprio questa vaghezza a renderla ciò che è. Lana non ha più bisogno di essere, le basta evocare.
La cameriera è diventata una delle più importanti cantautrici americane, una delle poche ad avere unito glamour e profondità artistica in maniera quasi alchemica. La vedi in questa copertina in mezzo a tante amiche e provi un senso di tenerezza, ti senti toccato da un’immagine che vuole trasmettere tutto e lo fa con smisurato amore. La vedi in un amalgama tra musica e calore umano, lei e le persone a cui tiene, lei che ascolta le loro storie e le trasferisce in musica, lei catalizzatrice ma non protagonista, è in mezzo a tutte, non spicca. Allo stesso tempo diventa il tramite affinché le vicende di persone appartenenti a un’America lontana dai lustrini e piena di umanità possano trovare vita.
In Chemtrails Over the Country Club Lana Del Rey si mischia ai suoi simili e trasforma in suono le gioie e i dolori di coloro che vivono, creano, sudano, si affannano, a volte fanno un sacco di cazzate. Lana Del Rey prende tutto questo e lo plasma come argilla in canzoni che non hanno mai bisogno di urlare, di dimenarsi, di scioccare, di catturare tramite ritmi frenetici. Più passa il tempo più si dimostra interessata a renderci partecipi della sua vita senza schermi protettivi. Lo si vede anche nei suoi social, la musa distante e intoccabile si sta trasformando in una delle tante donne che contornano la copertina dell’ultimo album. Si sente in Lana il desiderio impellente di fondersi con le persone, con i paesaggi, con le storie, con la musica.
Forse qualcuno dopo sette album ancora non si fida di Lana, dopo tutti questi anni pensa a lei come a un fenomeno passeggero, all’ennesima starlette senza costrutto. Ma bisogna essere sordi e ciechi per non capire. Lana è una delle più grandi perché non passa disco, non passa canzone senza che non ci lasci a bocca aperta con melodie e suoni che allo stesso tempo colpiscono tutti e mettono in mostra una spiccata sensibilità artistica e umana. Lana non è una bambola, o forse è una bambola accasciata su un divano in un film di David Lynch. Immobile e con occhi aperti osserva la realtà e poi, quando le luci si spengono, rielabora e trasforma, dà vita a canzoni che non sono canzoni, sono schegge di sogno.
Dove va Lana? Dove andrà? Qui addirittura rende omaggio a una delle sue tante ispirazioni, Joni Mitchell, della quale interpreta I’m Free. Chemtrails Over the Country Club a tratti pare ricordare un album come Blue della canadese. Anche quello sembra galleggiare sugli oggetti della stanza dove lo ascolti, a sfiorarti più che ad assalirti. Alle colleghe che mettono innanzi a tutto l’aggressività, il colpire a tutti i costi l’attenzione con canzoni che sono pura violenza verbale e musicale, lei risponde con un sussurro, con un pianoforte accarezzato, con una batteria minimale e ritmi che sono ancora più narcolettici che in passato. Poche cose, un linguaggio tremendamente intimo e sensuale che non ha bisogno di mostrare nulla di eccessivo, cela invece di mostrare.
E vince andando controcorrente, svelando undici canzoni, 45 minuti di musica, un tessuto più conciso che in passato ma non per questo meno impattante. Due anni fa c’è stato Norman Fucking Rockwell che era un pentolone di inventiva ai massimi livelli, che non ci credevi di quanta roba era in grado di mettere dentro a canzoni che diventavano piccoli viaggi sonori. Adesso c’è Chemtrails Over the Country Club che è un’altra cosa, non meglio non peggio, solo una passo ulteriore verso la maturità di Lana. Un’esplosione silenziosa, ma tremenda, una musica che penetra in profondità e non ti abbandona più.