Chi è stato Richard Perry, l’uomo che ha contribuito a definire il suono del cantautorato pop anni ’70 | Rolling Stone Italia
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Chi è stato Richard Perry, l’uomo che ha contribuito a definire il suono del cantautorato pop anni ’70

Non era famoso quanto altri grandi produttori americani, ma c’è la sua mano dietro ai dischi di Barbra Streisand, Carly Simon, Harry Nilsson che hanno accorciato la distanza tra musica d’autore e da classifica

Chi è stato Richard Perry, l’uomo che ha contribuito a definire il suono del cantautorato pop anni ’70

Richard Perry, il primo a destra, con Diane Warren Rod Stewart e Clive Davis

Foto: Kevin Winter/Getty Images

L’abbiamo visto con visionari come Phil Spector o Sam Phillips: i produttori pop che col loro lavoro definiscono un’epoca poi raramente riescono a stare al passo coi tempi, l’evoluzione degli stili, i cambiamenti tecnologici. Richard Perry, morto il 24 dicembre a 82 anni d’età, non era una star della produzione artistica del calibro di Phil Spector o George Martin, ma ha lasciato dietro di sé un’eredità duratura, specialmente col lavoro svolto nell’arco di tempo che va dagli anni ’60 agli ’80. La musica che ha prodotto compone nel suo insieme una sorta di piccola storia del pop di quei decenni. E sono dischi, si badi, che non sono stati fatti con spirito opportunistico o commerciale in modo sfacciato, che è un bel risultato di per sé.

Orgoglioso appartenente alla generazione dei baby boomer, Perry è cresciuto ascoltando rock’n’roll e cantando con un gruppo vocale chiamato Escorts ben radicato nella tradizione doo-wop di New York. Nella prima parte della carriera ha prodotto come si sa (o forse la cosa è poco nota) dischi di Tiny Tim e Captain Beefheart. La svolta però è arrivata con Stoney End di Barbra Streisand nel 1971. La storia ci ha insegnato che i cantanti legati agli standard del Grande canzoniere americano difficilmente riescono ad adattarsi al repertorio dei cantautori emersi nel periodo della controcultura (presente la Mrs. Robinson di Frank Sinatra?). E invece interpretando pezzi di Laura Nyro, Joni Mitchell, Randy Newman e altri Streisand e Perry ce l’hanno fatta. La title track, cover di un pezzo di Nyro, è una delle canzoni più disinibite e gioiose mai interpretate da Streisand e l’album non suona mai forzato (peccato Barbra non abbia mai inciso un intero LP di cover di Nyro prodotto da Perry).

Il modo in cui Perry ha contribuito a portare Streisand nell’era dei cantautori è significativo del ruolo che copriva in quel periodo. Oltre ad avere collaborato con Carly Simon ed Harry Nilsson, era infallibile nel trovare per i cantautori produzioni che normalmente non sarebbero state adatte a loro, senza per questo sacrificarne il tono intimo. Basti pensare alla versione definitiva di Without You di Nilsson o ai morbidi arrangiamenti di The Right Thing to Do e Haven’t Got Time for the Pain di Carly Simon, o ancora al suo capolavoro inciso con quest’ultima, You’re So Vain. Perry sapeva che anche i cantautori avevano bisogno di ganci melodici (un plauso va anche al suo lavoro sul miglior album di Ringo Starr, Ringo, in particolare alla “spectoriana” Photograph).

Alla fine degli anni ’70 Perry e i suoi coetanei avevano superato i 30 anni d’età e se la dovevano vedere con la vita adulta fatta di pressioni, divorzi, casini vari. Nel frattempo, anche la cosiddetta canzone d’autore diventava adulta e adottava un suono più pulito. Perry era lì per tradurre questa transizione in un suono. Ha preso uno strano autore inglese chiamato Leo Sayer e lo ha trasformato ora in un balladeer confidenziale (When I Need You), ora in un cantante da pista da ballo (You Make Me Feel Like Dancing). Ha contribuito a ridefinire l’identità di Art Garfunkel, diventato interprete confidenziale in Breakaway. La canzone che ha fatto per la saga di James Bond nel 1977 con Carly Simon, Nobody Does It Better, e la hit post Guess Who di Burton Cummings Stand Tall l’hanno ribadito: i baby boomer erano adulti e la loro musica non era più roba da ragazzini.

Perry non ha smesso di interpretare i trend del pop. Per molti artisti affermatisi nel decennio precedente, gli anni ’80 hanno rappresentato un ostacolo quasi insormontabile. Presente i dischi synth-pop di Peter Frampton e di Graham Nash? Ancora una volta, Richard Perry è riuscito a far suonare il passaggio naturale, per niente forzato, come nel caso delle Pointer Sisters, che aveva già salvato quando, nel 1978, aveva affidato loro Fire, un pezzo all’epoca inedito di Bruce Springsteen.

Dando loro He’s So Shy, le ha traghettate nell’epoca dei synth, delle drum machine e dei ganci clamorosi – si vedano anche i singoli Slow Hand, I’m So Excited, Automatic, Jump (For My Love), Neutron Dance – le ha portate insomma nell’era di MTV. È il mix di ritmo e melodia decisamente anni ’80 che si sente anche nella produzione di Perry per Rhythm of the Night dei DeBarge, canzone dotata dello spirito tipico delle collaborazioni tra Michael Jackson e Quincy Jones, canzone che anzi superava parte del lavoro svolto dal duo su Bad. Allo stesso tempo, Perry ha continuato a guidare la sua generazione verso vari gradi di maturità. La strana coppia formata da Willie Nelson e Julio Iglesias per To All the Girls I’ve Loved Before presagiva il modo in cui il country sarebbe diventato pop mainstream.

L’avvento di rock alternativo, hip hop, elettronica e vari altri stili negli anni ’90 ha reso marginale il lavoro di Perry. Ci sta: era un produttore specializzato nella melodia più che nel ritmo. Ha sparato le ultime cartucce, dal punto di vista commerciale, collaborando con Clive Davis e Phil Ramone ai dischi di Rod Stewart dedicati al Grande canzoniere americano.

Stewart non è stato il primo a farlo. Carly Simon e Linda Ronstadt, per fare due esempi, hanno inciso album di standard prima di lui. E Perry aveva rifiutato di lavorare con Nilsson su A Little Touch of Schmilsson in the Night, uno dei primi progetti di questo tipo. Ma il tempismo degli album di Stewart, che sono usciti a inizio anni 2000, è stato perfetto. Sentendosi alienata da buona parte del pop del XXI secolo, la generazione di Perry sentiva il bisogno di un’àncora di salvezza, qualcosa che la facesse sentire legata al passato. Ed è quello che han fatto gli album di Rod Stewart, nonostante la formula forse tutt’altro che nuova.

In un certo senso, però, gli ultimi dischi su cui ha messo le mani il produttore ad essere finiti in classifica erano una aberrazione. Richard Perry ha mai fatto musica nostalgica. Anzi, il messaggio che ha lanciato alla sua generazione più e più volte è stato questo qua: non temere il futuro perché la musica cambia e anche tu cambi.