Tu chiamali, se vuoi, concerti illuminati. Sei in un palazzetto o allo stadio a vedere Springsteen, i Coldplay o Madonna e all’improvviso il buio s’illumina grazie a decine, poi centinaia, infine migliaia di torce dei cellulari. Difficile dire quando sia nato di preciso questo rito. L’ultimo box set di Bob Dylan offre una soluzione possibile a questo enigma.
Si tratta di The 1974 Live Recordings (qui la recensione), che contiene due dozzine e passa di concerti di cinquant’anni fa. Era il primo tour di Dylan in otto anni, una sorta di reunion con la Band che lo aveva accompagnato nella controversa svolta elettrica. Ebbe un successo fenomenale: i biglietti dovevano essere richiesti dal pubblico via posta e secondo David Geffen, all’epoca a capo dell’etichetta di Dylan, arrivarono dai due ai tre milioni di lettere. Quel tour (e l’album che lo testimonia) potrebbe essere ricordato anche per essere il momento preciso in cui il rito del saluto al musicista attraverso una luminescenza reale o artificiale è venuto, è proprio il caso di dirlo, alla luce.
Impossibile, però, dire precisamente dove, quando e come si è arrivati all’abitudine di accendere ai concerti un fiammifero, un accendino, una torcia del telefono. Potrebbe essere un’usanza che risale a Melanie, ovvero Melanie Safka. Quando nel 1969 salì sul palco di Woodstock aveva cominciato a piovere. «Ravi Shankar aveva appena finito d’esibirsi», ha ricordato la cantante scomparsa a gennaio, «e l’annunciatore disse al pubblico che accendere delle candele avrebbe aiutato a tenere lontana la pioggia. Alla fine del mio concerto, la collina era piena di lucette tremolanti».
È una scena che la cantante ha poi immortalato nel pop-gospel del 1970 Lay Down (Candles in the Rain). «Quand’è uscita la canzone, è diventata un’abitudine portare una candela, un accendino o dei fiammiferi ai miei concerti».
È una tradizione che è andata avanti per alcuni anni. Nel 1973, quando Melanie si è esibita alla Carnegie Hall, i fan hanno acceso delle candele che avevano portato dentro di nascosto. Melanie però non è stata inclusa nel film su Woodstock e quindi l’idea che le lucette ai concerti siano nate ai suoi concerti non è mai entrata nella cultura popolare. E del resto il pubblico ha usato degli accendini anche al Toronto Rock & Roll Revival nel 1969, ma ci sono voluti anni prima di vedere quelle riprese.
E qui si torna a Dylan. Scrivendo della prima data del tour a Chicago, nel gennaio 1974, un giornalista del New York Times annotava che «alla fine del concerto il pubblico s’è alzato in piedi per applaudire Dylan alzando migliaia di fiammiferi accesi a mo’ di tributo». Anche Ben Fong-Torres ha notato la stessa cosa, scrivendo del tour per Rolling Stone. E lo stesso Dylan s’è ricordato di quel concerto a Chicago nel 2016 su Vanity Fair: «Qualcuno ha acceso all’improvviso un fiammifero. Qualcun altro lo ha seguito. In breve tempo, intere sezioni del palazzetto erano piene di fiammiferi accesi». Memori della reazione ostile che lui e la Band avevano suscitato anni prima passando dal set acustico a quello elettrico, Dylan e i suoi credevano che la scena avesse qualcosa di «apocalittico» e quindi «abbiamo cominciato a cercare la vita d’uscita più vicina» dal palco, temendo che prendesse tutto fuoco. Per poi accorgersi che in realtà il pubblico stava esprimendo apprezzamento, non rabbia.
Leggendo le recensioni dell’epoca, erano vari i momenti dello show in cui s’accendevano fiammelle, ad esempio prima del bis o quando durante It’s Alright, Ma (I’m Only Bleeding) Dylan cantava del Presidente degli Stati Uniti che a volte deve mettersi a nudo. Si era nel periodo del Watergate e gli appelli affinché Nixon si dimettesse si moltiplicavano (che coincidenza: uno degli oggetti di scena era un estintore).
Nel suo report, Fong-Torres scherza dicendo che la gente aveva fiammiferi e accendini «per fumare la roba». Oggi non saprebbe dire quand’è iniziata la tradizione. «Non sono sicuro che sia stata la prima volta in cui succedeva», dice a proposito del tour di Dylan. «Anche gruppi come gli Stones si esibivano nei palazzetti, ma non succedeva. È il tipo di cosa che rende Dylan unico».
È andata avanti fino all’ultimo concerto del tour. Qualche mese dopo Dylan ha pubblicato il live Before the Flood tratto da quei concerti. In copertina c’era una foto di Barry Feinstein con il pubblico (non si sa di preciso di quale città) con i fiammiferi in mano. Anche grazie a quell’immagine associata a un disco che negli Stati Uniti arrivò al terzo posto in classifica, il rito è diventato nazionale, se non globale, cancellando il ricordo delle luci a Toronto e a Woodstock. «Ma è tutto iniziato con me», diceva Melanie, «anche se la gente non lo sa».
Per il promoter di lunga data Jimmy Koplik, che ha lavorato tra i tanti con Grateful Dead e Crosby Stills Nash & Young, la copertina di Before the Flood è un classico. Non ricorda il rito degli accendini prima del tour di Dylan. Rammenta, però, le fiamme accese ai concerti che sono venuti in seguito specialmente in quelli hard & heavy, tipo i Judas Priest. «Il capo dei pompieri s’arrabbiava di brutto con noi. “Ma che possiamo fare?”, replicavamo. “Mica possiamo sparare gli idranti sul pubblico”».
Qualunque sia la origin story di questo rito, i promoter sono un po’ più tranquilli ora che le fiamme in mano alla gente non sono reali. «Grazie al cielo ci sono i telefonini», dice Koplik. «Non li puoi usare per dar fuoco ai palazzetti».
Da Rolling Stone US.