Non sappiamo dove andare. È metà luglio e sono a Durham, North Carolina con MJ Lenderman, fa caldo e in giro non c’è un’anima. Vediamo un bar, ma è chiuso. Guardiamo su Google Maps. «C’è il Pour Taproom, ma sembra un po’ troppo luminoso», dice lui. «C’è anche un cocktail bar sofisticato e chic, che sembra ok… O magari un pub irlandese?». Dopo una pausa e un’alzata di spalle optiamo per il pub.
In realtà, non dovevo incontrare Lenderman a Durham. È nato e cresciuto a Asheville, che sta a 350 chilometri da qua. Ha vissuto con amici e musicisti in una specie di compound appena fuori città, un angolo di paradiso per creativi in una cittadina di montagna in pieno sviluppo. Lì ha scritto Boat Songs, l’album del 2022 che l’ha trasformato nel preferito di chi ama le chitarre e le canzoni che stanno sul confine tra commedia e tragedia. All’inizio di quest’anno però se ne sono andati tutti da quel posto, che è stato venduto.
Lenderman s’è trasferito a Greensboro per stare con quella che all’epoca era la sua ragazza, Karly Hartzman, che è anche la frontwoman del gruppo in cui MJ suona la chitarra, i Wednesday. Dopo che si sono mollati in primavera, lui sta un po’ qua e un po’ là, in attesa di trovare un posto dove stabilirsi. È a Durham, ma solo per alcuni giorni prima di partire per i concerti che hanno preceduto la pubblicazione il 6 settembre del nuovo album Manning Fireworks.
Impossibile non parlare del caldo e di certo non aiuta il fatto che Lenderman indossa pantaloni a coste e t-shirt nera. Ha capelli neri e ricci e tatuaggi sparsi sul braccio destro. È uno con cui è facile conversare, è riservato ma in modo ragionevole e sembra vagamente imbranato. «Devo comprarmi degli shorts», ammette, «ho giusto un costume da bagno». Giura che i suoi pantaloni sono comunque più traspiranti dei jeans. Quando sorride fa capolino un diastema.
Lenderman ha sempre voluto diventare un musicista. «Forse dai 7 anni». Oggi di anni ne ha 25 e il sogno è diventato realtà, anche se deve ancora capire che vuol dire davvero fare questo strano mestiere. «Vai in tour e quando non ci vai registri e poi devi trovare tempo per la famiglia. È strano. Non ho ancora avuto tempo di realizzare».
C’incamminiamo verso il pub irlandese parlando di Michael Jordan visto che Lenderman giocava a basket anche se ha smesso ai tempi del liceo per dedicarsi alla musica. Condividono le iniziali – MJ sta per Mark Jacob, anche se tutti lo chiamano Jake – e soprattutto c’è una canzone, quella che apre Boat Songs e che s’intitola Hangover Game, in cui il cantautore, ispirandosi al leggendario flu game del cestista, canta che “sì, mi piace bere”.
È stato leggendo Michael Jordan, la vita di Roland Lazenby che Lenderman ha provato un po’ d’ansia per quel che stava facendo: era in tour con le canzoni di Boat Songs, faceva concerti coi Wednesday che avevano pubblicato Rat Saw God, suonava la chitarra in studio su Tigers Blood di Waxahatchee e intanto cercava di mettere assieme Manning Fireworks. «È una storia piuttosto cupa e m’ha disturbato. Era arrivato a un tale livello di fama e potere che per un bel pezzo è rimasto solo».
È ovvio che la notorietà di Lenderman non è che una frazione di quella di Jordan, ma nell’economia dell’attenzione in cui viviamo tutti quanti anche una microcelebrità come lui può sentirsi macro. Di sicuro Lenderman è uno che attira l’attenzione. Manning Fireworks è più ricco e curato dei dischi precedenti e a differenza di essi non è stato realizzato per gli amici e con gli amici.
«Bisogna cercare un equilibrio e lui lo sa», dice il suo manager Rusty Sutton. «Quanto questa cosa mi accende e quanto invece è una distrazione?».
Facendo il disco, dice Lenderman, «mi sono sentito meno sicuro dei miei mezzi. È che sapevo che molta più gente lo avrebbe sentito». Quando ci incontriamo a Durham è uscito il primo singolo She’s Leaving You e già s’è percepita l’eccitazione (con relativi meme ironici) di un certo pubblico rock maschile. Lenderman, che già cercava di stare lontano dai social, non ci ha badato granché. Era via, in vacanza in Italia con la famiglia. «Ho cercato di non pensarci».
Una volta arrivati al pub confessa qual è l’unico social che ancora frequenta. «Ho appena scaricato questa app, Beer Buddy». Sorride, si scatta una foto con la sua bella birra fresca e la condivide con gli amici. «Al momento, è questo il mio social».
C’è un passaggio in Joker Lips che attirerà presumibilmente più attenzione di altri testi di Manning Fireworks: “Kahlúa shooter / DUI scooter”. È tipico di Lenderman ritrarre persone e scene con riferimenti alla cultura pop che intrigano o fanno sorridere. E però quel che ti rimane impresso è una specie di dolore inespresso.
«Mi piacciono il suo eloquio diretto e la scrittura colloquiale», dice Patterson Hood dei Drive-By Truckers, una delle band preferite di Lenderman. «Mi piacciono pure le canzoni che raccontano una storia senza raccontarla. Lui ti dà quel tanto che basta per spingerti a riempire con la fantasia i vuoti, le cose che non dice. Per me, ha proprio tutto».
Dice il cantautore che i pezzi migliori gli vengono quando «non penso oppure guardo la tv» con in mano una chitarra. Il riff di Rudolph, ad esempio, gli è venuto guardando su YouTube un documentario sul comico Artie Lange. La canzone è in perfetto stile Lenderman: immagini di decorazioni natalizie distrutte, personaggi Pixar oscurati, desiderio e senso di colpa tipico dei cattolici.
MJ ha iniziato a registrare Manning Fireworks a dicembre 2022, quando non aveva ancora tutte le canzoni pronte. Anzi, negli ultimi anni aveva scritto poco. Se Boat Songs era il prodotto della pandemia, un periodo in cui non c’era granché da fare se non mettersi lì a scrivere e fare musica, una volta in tour il tempo per comporre è diminuito. Le session di Manning Fireworks al Drop of Sun Studio di Asheville sono andate avanti per tutto il 2023 a botte di tre, quattro, cinque giorni alla volta, quando il cantautore non aveva impegni nel suo fitto calendario. «Ti tocca prenotare lo studio con mesi di anticipo e quindi sperare di avere qualcosa per le mani per quelle date».
Chi lo conosce bene dice che Lenderman è un talento fuori dal comune. «Ha sempre saputo che cosa mettere in una canzone», dice Colin Miller, uno dei suoi più vecchi amici e collaboratori. «Lo capisce subito, ha una visione precisa di come sarà il pezzo». È affascinante stargli attorno e vedere come lavora, dice Alex Farrar, co-fondatore degli studi Drop of Sun, nonché co-produttore di Lenderman. «Capisce subito quando una cosa non gira, sa cosa vale la pena tentare e cosa no. Mica è scontato, soprattutto per un artista giovane». Sutton dice con affetto che «è uno di quelli che tendono a promettere poco per poi mantenere tanto. “Magari metteremo assieme due o tre canzoni”, dice. E alla fine me ne manda cinque».
E però lavorare a Manning Fireworks è stato un processo piuttosto sofferto. Lenderman ha dovuto imparare di nuovo a scrivere, in un certo senso. «È tutta una questione di fiducia in me stesso. E sapevo che più gente lo avrebbe ascoltato». Il disco ha cominciato a prendere forma più o meno a metà del lavoro quando MJ ha accantonato l’idea di fare musica dura e veloce e ha invece abbassato i toni, tirando fuori gli strumenti acustici. «È stato un momento importante», dice a proposito di pezzi come Manning Fireworks, Rip Torn e You Don’t Know the Shape I’m In. «Chi conosce Jake sa che è uno che non vede l’ora d’attaccare il jack all’ampli e sparare lunghi assoli», dice Farrar. «Ma ce lo vedevo a provare qualcosa di nuovo».
Hartzman ha percepito chiaramente la frustrazione dell’amico durante la produzione di Manning Fireworks. «È che l’ideale è immergersi totalmente nella realizzazione di un disco», mi dice al telefono. «Ma comunque lui è incapace di scrivere una brutta canzone, eh. Solo che la tabella di marcia e il modo in cui ha registrato gli hanno impedito di realizzare che quello che stava facendo era il suo disco migliore. Essere messo sotto pressione lo motiva e lo spinge a tirare fuori la sua cazzo di genialità».
Più volte durante la chiacchierata Lenderman e io ci abbandoniamo alla nostra nerditudine sui comici. Il suo film preferito quand’era bambino era Tommy Boy, è entrato nel mondo dello stand-up grazie a Frank Caliendo e Jim Gaffigan. Ora lo appassionano gli special di Conner O’Malley, Dan Licata e John Early, gli show come Comedy Bang! Bang! e Whitest Kids U’Know e la carriera di Adam Sandler. Durante la pandemia ha fatto il pieno di Don Rickles, Bob Einstein e Howard Stern.
«Ho un gran rispetto per i comici. Prima si parlava dei dubbi che uno ha. Ecco, pensa a loro che devono gestire la possibilità di fallire di fronte a tutta quella gente, e questo da soli su un palco, roba impensabile».
Tra i suoi preferiti ci sono Tim Heidecker e Gregg Turkington, sia per il lavoro fatto assieme in On Cinema, sia per le rispettive carriere musicali. Turkington ha interpretato per anni l’oltraggioso stand-up comedian/crooner Neil Hamburger, mentre Heidecker ha fatto musica separandola nettamente dalla comicità. What the Brokenhearted Do… del 2019, un divorce album fatto da un uomo felicemente sposato, è per Lenderman un lavoro fondamentale. «Sono canzoni con la C maiuscola con una buona battuta in ogni ritornello. È divertente nello stesso modo in cui è divertente Randy Newman… È molto egocentrico. È coerente coi personaggi che interpreta. Mi piace parecchio».
Le prime canzoni di Lenderman erano «talmente autobiografiche da farmi sentire a disagio». Col tempo ha imparato a sviluppare dei personaggi e così in Manning Fireworks canta di ubriaconi e sbruffoni, di cuori tristi e solitari, di divorziati in crisi di mezza età e di millantatori. Il ragazzo protagonista della title track è la tipica creatura di Lenderman: troppo zelante e caustico, arrapato e moralista, non sa d’essere caduto per sempre in disgrazia. “Un tempo un bambino perfetto / ora è un idiota”, canta Lenderman. “In piedi vicino alla pira, a manovrare i fuochi d’artificio”.
Quando si parla di canzoni, i suoi eroi sono Neil Young, Jason Molina, David Berman, per citarne alcuni, e un po’ ci somiglia, ma Lenderman è in verità più simile a un comico come Conner O’Malley per via dei personaggi di cui scrive, uomini con un ego gonfiato e fragile, consumati dalle peggiori tendenze dettate dalla loro mascolinità.
Quanto di sé stesso c’è in quei personaggi? La risposta è: dipende. «Non sto cercando di dire con le mie canzoni che sono una brutta persona. È più una cosa tipo: che faresti tu in quelle situazioni? Questo è il massimo che puoi fare… Ecco perché è divertente affrontare questi argomenti. E forse è per questo che la gente reagisce alle mie canzoni, perché dentro c’è una parte di loro». Fa una pausa e ride. «Non lo so, mica sono un esperto».
Uno dei passaggi più autobiografici di Manning Fireworks è uno degli ultimi versi di Bark at the Moon: “Non ho mai visto la Mona Lisa / Non sono mai uscito dalla mia stanza / Sono rimasto in piedi fino a tardi con Guitar Hero / Suonando Bark at the Moon”, canta Lenderman prima di lanciare un tenero “Aooooo”.
Non è solo un quadretto di solitudine, è anche un riferimento a come ha iniziato. «Non sono mai stato un gamer, però da bambino avevo una PS2 e Guitar Hero è l’unico gioco a cui ho giocato con gli amici. Ci ha spinti a prendere in mano degli strumenti veri».
Da allora, non ha mai smesso di far musica con gli amici. Prima in gruppi messi assieme dalla scuola e dalla chiesa e poi al liceo e con le sue band. Una era un trio tra stoner e psichedelia, un’altra una rock band classica che mi chiede di non citare nell’articolo «perché era pessima» (quando gli faccio notare che è ancora su Bandcamp mi dice che cancellerà la pagina, per poi ammettere candidamente di non ricordare la password). Ha pure registrato un disco solista durante l’ultimo anno di liceo, ma di questo è riuscito a cancellare ogni traccia da Internet.
Dopo un anno di musica all’UNC Asheville ha mollato gli studi. «Siccome suonavo in qualche band dalle superiori, un po’ di prospettiva ce l’avevo e una volta arrivato al college mi son reso conto che nessuno lì aveva esperienza, né aveva davvero l’ambizione di essere un musicista».
Era il maggio 2018. Dopo aver lasciato il college, s’è trasferito a Haw Creek, non lontano da Downtown Asheville. Cresciuto lì, Colin Miller c’è rimasto dopo che i genitori si sono trasferiti altrove e quindi ha trasformato la casa in un posto dove ospitare a rotazione amici e compagni di band del giro Lenderman/Wednesday. In quella proprietà c’erano più case, tra cui quella grande – quella con due camere da letto che appare sulla copertina del debutto ufficiale autoprodotto di Lenderman del 2019 – e una più piccola ricavata da un garage. Lenderman e la sua band provano lì e con loro anche Wednesday e Indigo De Souza, la cantautrice per cui Lenderman ha suonato la batteria alla fine degli anni ’10. Il padrone di casa, un uomo anziano eccezionalmente gentile di nome Gary, viveva nelle vicinanze, ma non si curava del casino che facevano quei ragazzi. Anzi, li frequentava, guardava con loro le gare di Nascar e Discovery Channel, e non ha mai aumentato l’affitto anche se la città era in pieno boom.
«Era un bel posto, con ettari di boschi e torrenti», ricorda Hartzman, che condivideva una stanza con Lenderman. «Io scrivo sempre di Gary e pure Jake probabilmente sta rielaborando quelle cose nelle sue canzoni sui divorziati. Gary sta dietro tante cose di cui ci piace scrivere».
Lenderman e Hartzman hanno lavorato assieme a un breve EP intitolato How Do You Let Love into the Heart That Isn’t Split Wide Open. L’hanno registrato nella camera da letto di Lenderman prima di cominciare a uscire assieme. È grezzo e lo-fi, ci sono dell’alternative country e dello shoegaze e le due voci si mescolano benissimo ad esempio in House Pool.
La fine della loro relazione non ha avuto alcun effetto sul rapporto artistico. «È sempre stata una relazione creativa», dice Lenderman. Hartzman è sulla stessa lunghezza d’onda: «Aprirsi a un’altra persona, soprattutto se creativa, significa sempre aprirsi a una collaborazione ed è quel che è successo a noi due».
I Wednesday hanno già inciso il loro prossimo disco e Lenderman intende portare a termine i suoi impegni prima di decidere che fare in futuro. Se mai lascerà la band, non sarà certo a causa della fine della loro storia sentimentale, assicura Hartzman. Sarà perché «è oberato di lavoro», così come lo sono i due musicisti in tour col cantautore, ovvero Xandy Chelmis (lap steel) ed Ethan Baechtold (basso). «Ci saranno un sacco di cambiamenti», annuncia Hartzman. «Vedremo, ma nella mia versione preferita della band lui ci sarà sempre».
Allison Crutchfield è l’A&R dell’etichetta Anti-, la persona che ha messo sotto contratto Lenderman. Ha vissuto un’esperienza simile. Suonava in una band chiamata Swearin’, mentre la sorella Katie aveva il suo progetto Waxahatchee. Vivevano con altri musicisti tra Philadelphia e Brooklyn. C’erano rapporti sentimentali, si facevano dischi, si passava ogni momento a casa o in tour sempre insieme. «È da pazzi», dice della vita in una band. «È come stare in una strana comune in cui affronti tutte queste dinamiche interpersonali… Ci sono passata nelle band in cui suonato, ma loro riescono a elevarsi sopra tutto ciò e si comportano da adulti. Cercano di preservare il loro lavoro».
Sanno cosa c’è in ballo. «Se non lo facessimo, metteremmo in pericolo la nostra amicizia e la cosa che più ci piace al mondo e cioè la musica», dice Hartzman. «Non sono disposta a sacrificare queste cose per delle stronzate. La nostra situazione sentimentale non è una ragione sufficiente per sacrificare la cosa che più amiamo».
Lenderman aggiunge che «ne abbiamo passate assieme, sia dal punto di vista fisico che mentale. E questa cosa ci unisce, ci rende una famiglia. Ma devi capire come crescere nel modo giusto e al tempo stesso fare in modo di tenerti stretti gli amici che hai».
L’han capito tutti che dopo la morte di Gary nel 2022 bisognava lasciare Haw Creek. «Non c’eran più motivi di stare in quelle case, se non per la storia e la comunità», dice Miller. Ai primi di agosto ha inviato una e-mail spiegando che il comune aveva approvato un piano di sviluppo della zona che prevedeva l’abbattimento degli edifici e la costruzione di 90 nuove abitazioni. È stato un addio dolceamaro, ma Lenderman era pronto ad andarsene. «Non avevo mai vissuto altrove, ma a volte un cambiamento fa bene».
A Durham, prima di trovare il pub, cerchiamo un bar. Lenderman ha bisogno di caffeina per riprendersi dal jet lag dopo il viaggio in Italia. «La mia situazione abitativa è un gran casino», dice. «Non ho tempo per cercare una nuova casa». Vorrebbe stabilirsi a Durham, ma si occuperà della questione non appena avrà un po’ di tempo libero. E cioè quando? «Chi lo sa. È pazzesco, mai stato in una situazione simile in vita mia».
Da quando ha lasciato Haw Creek, Lenderman ha fatto musica collaborando molto meno con gli altri, non convivendo più con altri tre creativi. Ma in ogni caso ha sempre voluto esercitare il controllo dei suoi dischi solisti. Suona quasi tutti gli strumenti su Manning Fireworks, un po’ come aveva fatto su Boat Songs («Piuttosto egoista come cosa», ammette). Le parti acustiche sono venute fuori in parte dopo che il suo amico Landon George è venuto per suonare il contrabbasso e Shane McCord il clarinetto. Alle voci, lap steel, piano e slide bebo (il nome che il cantautore ha dato al banjo di Miller suonato con l’e-bow) ci sono i soliti sospetti: Miller, Chelmis, Baechtold, Hartzman.
Con in mano il suo caffè freddo, Lenderman mi parla dell’arte e della scrittura come imprese solitarie e delle collaborazioni che le rendono più facili e le migliorano. «All’improvviso l’idea non esattamente brillante che hai avuto non è più un problema, perché anche gli altri hanno delle idee. O magari si scopre che non era nemmeno una brutta idea».
Ogni volta che si mette a scrivere un pezzo, prova uno spavento. «O forse non è proprio uno spavento, è che ogni volta mi sembra di dover iniziare daccapo». A volte gli vengono fuori le canzoni in cinque minuti, ma avviene di rado. Di solito ci vogliono più tempo, più bozze, più tentativi. «Devi essere nello stato mentale giusto e non so mai come arrivarci. Ecco perché finire una canzone è sempre una sensazione grandiosa. È quel che mi spinge a rifarlo anche se è una lotta e mi mette di fronte alle mie stronzate. Guarda, mi sento in imbarazzo quando sono da solo a confrontarmi con le robe che mi vengono in mente».
Gli dico che tutti lodano il suo talento, la sua sicurezza, la sua visione, la sua conoscenza di quel che rende grande una canzone. Ma allo stesso tempo la canzone è un’arte e quindi prevede che in ballo ci siano sempre dei dubbi. «È così, al 100%. L’ho sentita molto questa cosa facendo il disco. Non so come rapportamici. Sento che è diventato il mio lavoro cercare di capire come fare a non sentirmi così troppo spesso».
Da Rolling Stone US.