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Christina Moser era oltre

La cantante, musicista, co-autrice dei Krisma era una pin-up del futuro, un dea del punk, una pifferaia magica che usava la fantasia contro il potere. Un ritratto della nostra migliore avanguardista pop

Foto: Michael Putland/Getty Images

È sempre difficile parlare di un’artista che hai amato nel momento della sua scomparsa. Da una parte perché si resta increduli e si ha voglia di tacere, dall’altra perché si rischia di cadere nella vanità e parlare dell’artista per parlare di sé, della serie «per me è stata…». Ecco, nel caso di Christina Moser la situazione è invertita: noi, i suoi fan, siamo stati: doppiati dalle sue intuizioni, spiazzati dal suo essere sempre qualcosa di nuovo, stuzzicati dalle sue esternazioni e dalla sua grinta. Lei rappresenta un oltre.

Seguirla nelle sue follie coi Krisma significava sentirsi dei topolini dietro alla pifferaia. La band italiana più importante di sempre nel panorama dell’avanguardia pop di fine ’70/’80 invece di scimmiottare ciò che succedeva all’estero, all’estero ci viveva e soprattutto anticipava mode, modi e sonorità con un’originalità ancora adesso difficilmente eguagliabile. Con il marito Maurizio Arcieri, Christina è stata una delle artefici dell’emancipazione esistenziale non solo del genere femminile, ma di tutti quelli che si rifiutavano di accettare le regole del senso comune, in una fluidità di cui era assoluta pioniera. Moser era la paladina non della fantasia al potere, ma della fantasia contro il potere.

In questo triste giorno dobbiamo mettere, appunto, i classici puntini sulle i riguardo alla sua importanza cruciale nella storia della musica e del costume italiani. Se abbiamo avuto il post punk e l’elettronica in Italia, se finalmente la nostra musica parlava una lingua moderna e accelerata, se i loro esperimenti di laboratorio anticipavano trend come ad esempio la micromusic, questo lo dobbiamo proprio a Christina, Musa con la M maiuscola.

Nel momento in cui la sua vita terrena (e ultraterrena a questo punto) incontra quella di Maurizio, quest’ultimo finalmente abbandona gli strascichi beat della sua ex band, i New Dada, e quelli prog della sua carriera solista, trova una nuova giovinezza musicale e non, osa nuove formule con l’imperativo di divertirsi, perché nonostante le tematiche dei dischi siano poco rassicuranti si sente una potenza vitale che può nascere solo da una fortissima intesa che vira verso la luce. E Christina era sempre solare: sia nel suo look cyberpunk, nelle sue provocazioni più estreme in cui la sensualità la faceva da padrone ma non per cercare consensi facili. Anzi, era una dirompente pin-up del futuro dalla voce vellutata ma assolutamente sperimentale, senza alcuna riverenza verso il classico bel canto, con una tendenza a cantare appoggiandosi in ritardo sulle strofe, creando così un effetto di dilatazione e straniamento nella melodia della canzone.

In ogni situazione, anche la più hardcore come le prime esibizioni Rai in cui i due sembrano terroristi, il suo sorriso divertito fa capolino e la sua prosperosità quasi felliniana diventa un’arma di annichilimento di massa più che di masturbazione. È proprio in episodi come Black Silk Stocking che le capacità di lead vocalist della Moser saltano alle orecchie quanto quelle di performer agli occhi: senza la sua voce la resa apocalittica quanto esotica di brani come Miami non sarebbe stata possibile.

Ma nei dischi dei Krisma la nostra Christina non si limita a quello: spesso è accaduto che Maurizio venisse messo maggiormente sotto i riflettori in quanto compositore  ma nel modo chiaramente “machista” di chi si è sempre chiesto che cosa ci facesse lì quella sua ex groupie, che non si accontentava di essere sua moglie: ma chi è, una nuova Romina Power? Insomma c’era e c’è chi ancora nel giro della critica musicale scrive “sempre al fianco di Arcieri” quando è molto più plausibile il contrario. Perché Christina era l’autrice della maggior parte dei testi della band: testi visionari, acidissimi, come Water in cui la frase “can you wash the water?” è una delle cose più inquietanti – e profetiche, visto che alla fine per ovviare all’inquinamento si sono dovuti inventare anche una cosa del genere – mai scritte in Europa. Tutto il devastante album Clandestine Anticipation contiene i suoi testi (in inglese, ricordiamolo) e da solo basterebbe a metterla nel gotha della grandi autrici. Ovviamente dall’alto contenuto lisergico, come in Nothing to Do with the Dog, dove i pappagalli imparano ad abbaiare, o i testi di Amore, il primo brano ancora in fase sexy sound, che sono un manifesto di libertà sessuale in un’Italia ancora ferma al sesso solo dopo il matrimonio.

Anche quando ai testi veniva affiancata a gente come Arto Lindsay o Juliet Scott, non passava riga che non fosse da lei supervisionata, così come anche per l’immagine della band (nell’82 anticipò la riesplosione della moda della minigonna trovando immediatamente giovani proseliti), per l’idea dei video, per la direzione musicale e degli arrangiamenti. Ricordiamo ai più che nei dischi dei Krisma lei suona anche la chitarra elettrica, a dimostrazione che il ruolo di cantante era solo uno dei tanti aspetti di una personalità sfaccettata e attenta. Non ultimo, proprio per le svolte tecnologiche da dare alla band. Pare che sia stata lei a far appassionare Arcieri all’elettronica trasformandolo in un videogame addicted in quanto lei era particolarmente ferrata in materia. È proprio lei nel 1986, nel periodo dell’album Iceberg, a dichiarare al giornalista Giampiero Cara che «l’elettronica è per noi un medium indispensabile, perché non siamo dei musicisti nel senso classico del termine e poi ci permette di fare tutto da soli o quasi. Non ci piace far partecipare ai nostri progetti altra gente che non vi si trovi coinvolta emozionalmente come noi lo siamo. D’altra parte, le nostre idee sono sempre cosi estremistiche, direi quasi eccessive».

E Christina era sì eccessiva ma anche estremamente dolce e disponibile: nelle varie volte in cui sono andato a vederla dal vivo coi Krisma si fermava a parlare con noi fan con una naturalezza disarmante. Molto più tardi ho avuto la fortuna di intervistarla per Italian Folgorati dimostrandosi sempre aperta a rivelare aneddoti incredibili, e siamo rimasti in contatto chiacchierando di cose meravigliose in cui il suo parere era sempre illuminante. L’ultima volta che ci siamo scritti su Messenger è stato prima dell’estate, per invitarla a fare un talk a Roma, ma non mi rispondeva se non con pollicioni alzati. Perché non si è mai arresa, da vera indefessa dea del punk, il suo era un nichilismo attivo, positivo, che ci mancherà molto. Voglio ricordarla con le parole della nostra ultima chattata privata, parole che sono per tutti. E che ce la fanno sperare nell’eterno della musica, della follia, del tempo.

«Per la musica non si perde la testa: ma si entra in un’altra dimensione. Saperlo serve ad orientarsi, entri nell’eterno presente e non è esoterismo… Se ci pensi quando suoni non hai il senso del tempo come si diceva prima, hai il senso del tempo creato per quello che stai facendo, suonare quel brano ma non l’altro “non tempo”. Ogni persona è diversa dall’altra. Noi Krisma ci tuffavamo dentro, e, per rendere l’idea, surfeggiavamo sul tappeto della follia».

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