Ritrovarsi il sabato notte nel corridoio che unisce le due grandi sale del Lingotto a C2C Festival era diventata una specie di nostra bizzarra tradizione. Ci si incontrava lì, poco prima dell’ultimo set, a condividerci i pensieri a caldo sull’edizione che stava svolgendo al termine. Lui mi chiedeva le mie impressioni, sempre chiamandomi con il nome intero, Mattia, e intenso ascoltava la mia condivisione. Poi mi illustrava qual era stata la sua di idea. A volte ci trovavamo, altre meno, come era giusto che fosse. Sergio Ricciardone era così, amava questo genere di confronto intellettuale, anche alle 4 del mattino sotto le casse rombanti nelle sale del Lingotto. Ci ho pensato a Sergio mentre A. G. Cook chiudeva l’ultima edizione del C2C Festival, anche perché qualche mese prima l’avevo personalmente ringraziato per essere riuscito a chiudere questo grande cerchio iniziato con Sophie qualche anno prima. Quando quest’anno la nostra minuscola tradizione si è rotta, mai avrei pensato significasse però per sempre. Ci ha lasciato troppo presto, proprio come Sophie. Due visionari loro.
L’ultimo scambio di messaggi tra me e Sergio risale a qualche giorno prima dell’ultimo C2C Festival, in un momento a cui mi diceva di tenerci particolarmente, il C2C Kids. Lui che era padre (del piccolo Marcello, a cui ora vanno tutti gli abbracci che una comunità può rivolgere a un figlio derubato di un genitore) era fiero di quel momento di caotico contatto tra genitori e bimbi e dj. «Ci sei mancato ieri. Ti mando un abbraccio e spero tu possa migliorare in fretta», scrivevo. «Grazie Mattia davvero!», rispondeva. Un punto esclamativo rarissimo nella scrittura pacata ed essenziale di Sergio. Un segno grafico a cui avrei forse dovuto porre più attenzione, ma che in questi giorni molto tristi – per una famiglia, una città, e la cultura italiana – mi riporta con grazia a quel sorriso sincero e un po’ beffardo, vero marchio di fabbrica di casa Ricciardone.
Chi è cresciuto in Piemonte come il sottoscritto ancora oggi racconta, o sente raccontare, degli incredibili giorni del primo C2C Festival, quando la sigla Club to Club stava a raccontare di un festival diffuso per Torino, uno zigzagare tra venue e dj set, una follia se si pensa alle restrizioni sulla nightlife odierne. Certo, Sergio non è mai stato l’unico uomo del festival, né ieri né oggi, anzi attorno a lui il team era cresciuto specializzandosi edizione dopo edizione (a loro, e in particolare a Guido Savini, l’abbraccio e la forza di continuare quello che è a tutti gli effetti un miracolo italiano), ma ne è stato il volto istituzionale, la presenza spesso silenziosa, a volte parlante; sempre rassicurante. In fondo era palese, nonostante il riserbo, la fierezza per la sua creatura, diventata oramai fiore all’occhiello del mondo festivaliero mondiale. Amava il minimalismo, odiava le sedute, e certamente lottava ogni volta per mantenere le aspettative di un pubblico oramai viziato da line up sempre più importanti, da Franco Battiato a Aphex Twin, dagli Autechre a Sophie. L’avant pop, come piaceva a lui definirlo, è stata una rivoluzione compiuta, e completa. Appena in tempo.
Sergio aveva un grande rispetto per il giornalismo, e per questa testata. Ne parlavamo agli eventi o quando mi invitava a scoprire qualche pastificio nascosto a Torino per farmi conoscere la «Torino di noi di C2C», come amava ripetere con un pizzico di orgoglio locale. Ad avvinarci, a pensarci ora, era stato l’aver entrambi intercettato un movimento, quello della PC Music e dell’hyperpop (meglio dire avant pop però), che mentre io raccontavo su queste pagine lui proponeva nei cartelloni del festival e negli altri eventi tra Milano e Torino. Ci ringraziavamo molto a vicenda per questo, anche in modo un po’ ingenuo, spinti dall’amore per qualcosa di contemporaneo che ci stava facendo vibrare. Era motivo di orgoglio per entrambi, e ringrazio ancora le produzioni di Sophie per avermi permesso di avvicinarmi a quell’uomo per cui, mentre crescevo al ritmo di Club to Club, provavo una certa riverenza intellettuale. Non riesco in questo momento a esprimere a parole l’emozione di quando mi invitò prima come giornalista, poi come musicista, a collaborare al festival; il sogno di ogni ragazzino elettronico piemontese.
Ci siamo incontrati spesso io e Sergio negli ultimi anni, anche in festival internazionali come il Primavera Sound a Barcellona, dove nel 2023 riuscì a portare la visione C2C con un palco dedicato, o al Flow Festival a Helsinki, a dimostrazione di come anche a 50 anni sentisse il bisogno di guardare nel dettaglio il funzionamento delle grandi produzioni, il campo da gioco su cui oramai la sua creatura si muove da quasi un decennio. E anche lì, era attento a chiedere pareri, ascoltare le idee altrui. Sergio era un raccoglitore di informazioni, che filtrava e elaborava presto in nuove visioni per il festival. E a pensarci C2C incarna appieno la sua persona: imponente (sia fisicamente che per caratura) e a suo modo vicino-ma-distante (da buon piemontese di seconda generazione, proprio come me).
Nel giorno della sua morte è stato ricordato un po’ ovunque, dai giornali di settore (italiani e esteri, lui che era fiero di aver messo Torino sulla mappa dell’Europa prima, del mondo poi) fino alla Camera, dove è stato celebrato con l’ascolto di A New Error dei Moderat. Riprendendo quanto ben scritto da un amico comune su Rockit (Carlo Pastore), chissà cosa avrebbe pensato di quell’applauso, lui che ha speso la sua troppo breve vita a lottare contro la cecità di una classe politica che nei decenni ha reso il suo lavoro sempre più difficile, complicato, dispendioso come ripeteva Sergio ogni qual volta che ne aveva l’occasione, vicino e lontani dai giornali. Sergio non accettava la miopia di una classe politica che non riusciva e riesce (e probabilmente riuscirà) a considerare la musica elettronica e i festival come cultura. La sua era una lotta contro l’ignoranza, la lotta di una luce che voleva guidarci nel buio di quest’epoca.
Con la sua morte, vorrei dire in modo brusco, non perdiamo altro (comunque qualcosa di enorme) che la sua persona. Tutto il resto non lo perderemo perché la legacy di Sergio rimane e rimarrà, nei semi di conoscenza e visione che ci ha lasciato in questi oltre vent’anni di lavoro al servizio della cultura e della città. La speranza è che chiunque lo abbia conosciuto, in maniera più o meno densa, più o meno intima, e chiunque abbia conosciuto anche solo la sua realtà lavorativa, possa continuare a far crescere in sé e attorno a sé, se possibile, questi germogli di cultura. Ci vorrà pazienza, un grande raccordo collettivo e una capacità immensa di prenderci ciò che è ora diventato un passato per costruirci su un futuro ancora migliore. Sergio ci ha insegnato che accendere una luce, anche nel buio pesto dell’ignoranza, è sempre possibile. Ricordiamolo, e ricordiamocelo.
Ciao Sergio, grazie di tutto.
Dai un abbraccio a Sophie.