Da quando ha avuto inizio l’invasione russa dell’Ucraina, Roger Waters ha fatto parlare di sé per motivi non strettamente connessi alla musica. Le sue opinioni “non allineate” sul conflitto lo avrebbero trasformato, secondo alcuni critici, in un megafono (non si sa fino a che punto consapevole) della propaganda del Cremlino; avrebbe svestito i panni dell’artista per indossare la tunica del santone venendo eletto a vero e proprio opinion leader dal fronte dei “complessisti” della guerra in Ucraina di ogni ordine e grado, e il cerchio magico putiniano non perderebbe occasione per aggrapparsi alla sua popolarità per fare proselitismo.
Volendo estremizzare, ripercorrendo le dichiarazioni più recenti pronunciate dall’ex Pink Floyd, verrebbe quasi naturale ascriverlo a quelle correnti sotterranee composte da pensatori «contro la narrazione dominante» che hanno preso piede in tutto l’Occidente – per fare un esempio vicino ai nostri confini, non sfigurerebbe come volto della commissione Dubbio e Precauzione di Cacciari e Agamben, e neppure nei salotti di ByoBlu o in veste di super ospite di un evento come il “contro–Sanremo” made in Freccero e Di Battista.
A settembre, in occasione del suo 79esimo compleanno, Waters ha diffuso sui social una lettera aperta indirizzata alla moglie di Volodymyr Zelensky, Olena, come reazione alla richiesta della first lady che, qualche giorno prima, in un’intervista concessa alla BBC, aveva chiesto agli alleati aiuti militari più sostanziosi in supporto all’esercito ucraino. «Il mio cuore soffre per lei e per tutte le famiglie ucraine e russe devastate dalla terribile guerra in Ucraina», aveva scritto Waters. «Se per “aiuti all’Ucraina” intende forniture di armi dal parte dell’Occidente, temo che stia facendo un tragico errore. Gettare benzina, sotto forma di armamenti, sul fuoco, non è mai servito per accorciare un conflitto», ha proseguito, sottolineando che «chi rifornisce di armi l’Ucraina, principalmente gli Stati Uniti, «ha dichiarato apertamente di voler far durare la guerra il più a lungo possibile».
Lo scorso 7 febbraio, Waters è tornato a catalizzare l’attenzione mediatica per via delle sue opinioni sul conflitto: l’ambasciatore russo presso le Nazioni Unite, Vassily Nebenzia, ha invitato l’ex Pink Floyd a prendere parola in assemblea a proposito delle armi che i paesi occidentali stanno inviando a Kiev per aiutare l’esercito locale.
Waters ha accettato l’invito e, nel suo discorso, ha ricalcato quella retorica anti-bellicista che abbiamo imparato a conoscere bene anche nel contesto domestico. «Siamo qui per considerare la possibilità di pace nell’Ucraina dilaniata dalla guerra», ha spiegato, «specialmente alla luce dell’aumento della quantità di armi che arrivano in quell’infelice nazione. Ogni mattina, quando mi siedo davanti al mio computer, penso ai nostri fratelli e alle nostre sorelle in Ucraina e ovunque che, per colpe non loro, si trovano in circostanze terribili e spesso mortali».
Waters ha anche spiegato che «laggiù, in Ucraina, possono essere soldati che affrontano un’altra giornata mortale al fronte, o madri o padri che si pongono l’atroce domanda di come possono sfamare i figli, o civili che sanno che oggi la luce si spegnerà di sicuro, come accade sempre nelle zone di guerra, che non c’è acqua corrente, che non c’è carburante per la stufa, che non ci sono coperte, ma solo filo spinato e torri di guardia e muri e ostilità», rivolgendo un appello alle Nazioni Unite: «Quali sono i vostri obiettivi? Cosa c’è nella pentola d’oro alla fine dell’arcobaleno? Maggiori profitti per le industrie belliche? Più potere a livello globale? (…). E se oggi, in questo luogo di sicurezza, guardassimo in un’altra direzione, per esempio alla nostra capacità di empatia, di metterci nei panni degli altri, come, per esempio, in questo momento, nei panni di quel ragazzo dall’altra parte di questa stanza, o anche nei panni della maggioranza senza voce, ammesso che abbia dei panni con cui coprirsi?».
Non è la prima volta che Waters catalizza l’attenzione mediatica per via delle sue prese di posizione: lo sa bene Polly Samson, scrittrice e moglie di David Gilmour, che in un tweet al veleno di inizio febbraio ha attaccato l’ex Pink Floyd senza mezze misure. «Purtroppo, Roger Waters, sei antisemita fino al midollo. Difendi Putin e sei un bugiardo, un ladro, un ipocrita, uno che elude le tasse e canta in playback, un misogino, un invidioso patologico, un megalomane. Ne abbiamo abbastanza delle tue cazzate», ha scritto.
Sadly @rogerwaters you are antisemitic to your rotten core. Also a Putin apologist and a lying, thieving, hypocritical, tax-avoiding, lip-synching,misogynistic, sick-with-envy, megalomaniac. Enough of your nonsense.
— pollysamson (@PollySamson) February 6, 2023
Non sappiamo se Waters sia definibile come un antisemita tout court: di sicuro, in passato, le sue invettive contro lo Stato di Israele hanno fatto discutere, e non ha perso occasione per rilasciare delle dichiarazioni quantomeno “opache”.
Nel luglio del 2020, intervistato dall’agenzia di stampa Shehab News Agency legata ad Hamas (il movimento politico di ispirazione religiosa che controlla di fatto – anche se non completamente – la Striscia di Gaza), ha insinuato che il miliardario ebreo americano Sheldon Adelson sarebbe «il marionettista che tira i fili di Donald Trump, Mike Pompeo e… come si chiama… l’ambasciatore, Greenberg», riferendosi con un tipico cognome ebraico a David Friedman, ambasciatore americano in Israele. Nella stessa intervista, Waters ha suggerito che le forze di polizia americane avrebbero appreso la tecnica che ha ucciso l’afroamericano George Floyd dalle forze di difesa israeliane, che secondo a sua detta la utilizzerebbero a loro volta per uccidere i palestinesi.
Lasciando da parte il giudizio sull’antisemitismo, di sicuro possiamo considerare Waters un antisionista convinto e vicinissimo alla causa palestinese: da tempi non sospetti, il musicista ha aderito alla campagna globale di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni contro Israele (BDS, Boycott, Divestment, Sanctions), avviata il 9 luglio del 2005 da 171 organizzazioni non governative allo scopo di porre fine all’occupazione israeliana dei territori palestinesi.
Negli anni, il musicista è diventato uno dei volti di punta del movimento BDS: ad esempio, nel 2015, Waters invitò Jesse Hughes a boicottare Israele annullando un concerto degli Eagles of Death Metal in programma a Tel Aviv. Per tutta risposta, Hughes pronunciò dal palco del Barby Club Hughes un monologo diretto contro Waters, urlando a una folla di fan entusiasti: «Non boicotterò mai un posto come questo. Non preoccupatevi di ciò che pensa uno stronzo. Non sprecate nemmeno un attimo della vostra vita a dargli retta».
L’altra sua presa di posizione celeberrima è quella in favore di Maduro e contro l’autoproclamatosi presidente del Venezuela, Juan Guaidó, che ha a più riprese definito come un golpista finanziato dall’Occidente per fare tabula rasa dell’utopia socialista di Hugo Chávez e preparare il terreno per un cambio di regime.
In definitiva: inquadrare con precisione il pensiero politico di Waters non è un’impresa facile. Di sicuro, l’ex bassista dei Pink Floyd è animato da un’autentica fascinazione per il socialismo ed è un sostenitore della liberazione dei territori occupati in Israele. Le sue ambiguità sull’Ucraina riflettono un messaggio pacifista che, però, finisce per fare il giro e divenire funzionale alla propaganda del Cremlino.