Per spiegare cosa sia la luce la Treccani scrive: «Ente fisico cui è dovuta l’eccitazione nell’occhio delle sensazioni visive, cioè la possibilità, da parte dell’occhio, di vedere gli oggetti». Da un punto di vista scientifico, trattasi di radiazione elettromagnetica: in buona sostanza, è ciò che ci permette di vedere il mondo in cui viviamo. La luce del sole è la base della vita sulla Terra, è qualificazione dello spazio per un architetto, viaggia per modellare lo scatto perfetto in una macchina fotografica, evidenzia figure, colore, volumi, chiaroscuri sulla tela di un pittore. Di sicuro è una fonte di energia e può avere persino applicazioni terapeutiche in medicina.
Rappresentare la luce è una delle sfide più grandi che un artista possa affrontare. Per riuscirci, Madonna è andata incontro a una particolare tipologia di luce, esplorativa, spirituale, introspettiva. Quella che può dischiudere solamente una nascita: di un un’idea, di un progetto, di un figlio. La nascita della primogenita Lourdes di fatto coincide con la venuta al mondo di Ray of Light, settimo album in studio e spartiacque assoluto nella sua discografia.
Un disco gestazionale, nel senso più materno del termine, perché con Ray of Light Madonna porta alla luce non solo la sua condizione di madre ma anche le sue qualità artistiche, fino a quel momento mai così fulgenti. Padre elettivo della creatura in studio è William Orbit, già collaudato qualche anno prima con il remix Justify My Love 12”, che qui mette a segno una direzione musicale al contempo ambient, trip-hop, acid-house, psichedelica e pop.
Siamo in quella fase degli anni Novanta in cui la techno inizia a surclassare il rock, e band come i Prodigy dettano nuove strade. Attraverso le acrobazie liquide e atmosferiche di Orbit il tappeto musicale della produzione sposa perfettamente la vocalità di Madonna, all’apice della sua espressività grazie alle lezioni di canto prese negli anni precedenti per affrontare il kolossal Evita.
L’eleganza compositiva e vocale è nitidissima già in apertura, “I traded fame for love”, canta Madonna in Drowned World/Substitute for Love, un brano elegiaco che prende forma tra echi, melodie subacquee e una pioggia di effetti sonori. Canzone dopo canzone, l’elemento luce entra in relazione con la materia scivolando sulle superfici sonore, rendendole ora lucide e levigate ora adombrate o ruvide.
Le forme si strutturano e diventano geometriche, articolando volumi. Sulle stesse coordinate viaggia la copertina, che vede Madonna fasciata da un abito azzurro cielo di Dolce & Gabbana, il tessuto in pvc mette infatti in risalto i bagliori cangianti generati dai drappeggi.
Un dettaglio funzionale al racconto che ci consente di comprendere come la luce propagata dal disco non sia calda, bensì fredda, emessa cioè per luminescenza, così detta per la sua natura non termica. Incandescente sì, ma non come quella del sole, semmai più simile al chiarore di un fulmine che con la sua energia elettrica squarcia il cielo da parte a parte, creando una linea di demarcazione tra il prima e il dopo Ray of Light.
Non solo nel pop, che ancora oggi paga tributo di riconoscenza, ma anche nella vita della stessa cantante. Dopo le molte critiche (e una scomunica dal Vaticano) ricevute con la pubblicazione di Erotica e del libro Sex, neppure il bellissimo Bedtime Stories era bastato a ristabilire ordine e gerarchie nell’industria musicale. Serviva un raggio luminoso consacrato dalle vendite, dalla critica e dai riconoscimenti per consentire all’immorale “Dita” di reinventarsi neomamma e imperatrice del buio e della luce. Ogni brano di Ray of Light opera in questa direzione e, sebbene rappresenti un corpo luminoso indipendente, unito a tutti gli altri va a delineare un universo sonoro coeso e sintonico. Dalla title track, frenetica, convulsa, febbrile, al primo singolo estratto Frozen, ancestrale ballata a tinte dark che cresce lentamente.
Lucy O’Brien, biografa di Madonna, ha detto che Ray of Light è il The Dark Side of the Moon degli anni ’90. Entrambi ruotano attorno agli elementi naturali visti come allegorie di vita e di morte. C’è spazio anche per l’oscuro, infatti, dentro questo disco estatico. A darne riprova è il brano conclusivo Mer Girl, in cui Madonna si confronta con il cadavere della madre di cui riesce ancora a percepire l’odore.
In occasione dei quarant’anni di carriera, Miss Ciccone è già da mesi alle prese con la più rilevante delle sue operazioni chirurgiche: la riscoperta dell’intero catalogo in partnership con la Warner Music attraverso ristampe e release inedite. Dalla mezzanotte di oggi (data americana della pubblicazione del disco nel 1998), a 25 anni esatti dalla pubblicazione di Ray of Light, possiamo così goderci su tutte le piattaforme streaming l’EP Ray of Light (Single Remixes) contenente sette remix e la bonus track Has To Be, una rarità che ai tempi uscì solo sull’edizione giapponese.
E, di nuovo, luce fu. Se determinarne la velocità di propagazione richiederebbe le misurazioni accurate di un fisico, non c’è unità di misura in grado di soppesarne la potenza, convogliata in un intervallo di tempo che va dal 1998 all’infinito.