«Contenti di vederci, ma anche di separarci»: ecco com’è ‘Blur: To the End’ | Rolling Stone Italia
Dalla sala prove a Wembley

«Contenti di vederci, ma anche di separarci»: ecco com’è ‘Blur: To the End’

Se gli Oasis non hanno (per ora) spiegato granché della reunion, Damon Albarn e i suoi lo fanno nei 100 minuti del documentario che a febbraio verrà mostrato al Seeyousound di Torino e arriverà poi nelle sale italiane. Come dice Albarn, «ho 55 anni e il tempo non è infinito»

«Contenti di vederci, ma anche di separarci»: ecco com’è ‘Blur: To the End’

Damon Albarn in ‘Blur: To the End’

Foto: Altitude Film

«Ho 55 anni e il tempo non è infinito», dice Damon Albarn mentre guida verso il suo home studio nel Devon, dove fa base dalla fine degli anni ’90. Sono i primi mesi del 2023 e i Blur stanno per ritrovarsi. Ci sono da preparare due grandi concerti a Wembley, dove la band non ha mai suonato, e forse chissà un nuovo album (che diventerà The Ballad of Darren). Mentre riflette sul fatto che, a casa sua nel Devon, Graham Coxon non ci è mai stato, rischia un mezzo incidente. Per fortuna nessuno si fa male ma, dice, «non sappiamo mai cosa c’è dietro l’angolo». È tutto qui, in queste due frasi, il senso di Blur: To the End, documentario atteso per il 21 febbraio al festival Seeyousound di Torino e dal 24 al 26 febbraio nelle sale italiane.

Analogamente a No Distance Left to Run, che documentava la reunion del 2009 con il rientro in squadra di Coxon, questo film è un viaggio nella testa dei quattro Blur, una grande confessione a cuore aperto in cui spiegano perché sono tornati a suonare insieme. Questo tema centrale, sia detto di un’opera comunque riuscita e piacevole specie per i fan, rischia di essere un po’ stucchevole. Ciascuno dei quattro, a modo suo e con il proprio carattere diverso da quello degli altri tre, sembra avere l’irrinunciabile necessità di spiegare. Accadeva pure in New World Towers, il documentario sulla realizzazione di The Magic Whip (2015). Nessuno dice di essere in it for the money, per fortuna, ma francamente sarebbe stata meglio una non-spiegazione alla Oasis, sarebbe stato più interessante suggerire invece che spiegare.

Invece le telecamere del regista Toby L. (suo anche il recente Live at Wembley che documenta i concerti) registrano cose tipo «non ci parliamo da dieci anni, ma quando siamo tutti nella stessa stanza è come quando ne avevamo 19» (Alex James) e «faccio Wembley per gli elogi della mia famiglia e dei miei amici, e perché la band sia orgogliosa di me, non vedo altri motivi» (Graham Coxon). Frasi senz’altro sincere, ma che non spiegano del tutto (ammesso che ce ne sia bisogno) il motivo per cui i Blur sembrano non poter fare a meno di stare insieme, almeno una volta ogni tot anni. «Prima non abbiamo fatto Wembley perché non eravamo abbastanza grandi, ma ora meno facciamo e più grandi diventiamo» (Dave Rowntree), ma «dobbiamo fare del nostro meglio, altrimenti siamo solo quattro stronzi che cercano di far rivivere il loro passato» (Damon Albarn).

BLUR: TO THE END | Trailer | Dal 24 al 26 febbraio al cinema

Nel film c’è spazio per racconti dei primi incontri tra i Blur, che tornano nella loro scuola di Colchester che nel frattempo ha dedicato loro un’aula, la Albarn and Coxon Room, e al Colchester Art Center, dove hanno imparato la musica e dove tengono uno dei concerti «di riscaldamento» in attesa del tour vero e proprio, che li porta anche al Primavera di Barcellona, altro posto in cui vengono intervistati prima di Wembley. «Sono la musica e il lavoro che ci hanno fatti stare insieme», dice Dave Rowntree.

La parola amicizia viene nominata poco, senz’altro meno spesso dei riferimenti alla diversità caratteriale di quattro ultracinquantenni che mostrano di essere contenti di stare di nuovo insieme. E mostrano che anche le rockstar hanno i loro acciacchi, altroché. A partire dal ginocchio malandato del cantante, e dal batterista che fa anche peggio chinandosi a raccogliere una pallina da tennis. Dovrebbe essere operato ma non può farlo perché c’è il tour, e rischia di far andare a monte i concerti di Londra, o comunque di non poterci partecipare in prima persona.

C’è anche molta musica, in sala prove ma soprattutto pezzi di Wembley con tanto di canonico backstage e automobiline per raggiungere il palco. «Siamo contenti di vederci, ma anche di separarci», dice Alex James accanto a un paio di bottiglie vuote di Peroni. Però, aggiunge, «c’è qualcosa di terapeutico nel fare un bel rumore, e so che potrebbe essere l’ultima volta che facciamo questo rumore».

Si torna all’inizio, a quel tempo che non è infinito. Non sappiamo mai cosa c’è dietro l’angolo, ma prima che l’angolo arrivi, tra gli osanna dello stadio della nazionale e gli ottimi riscontri dell’ultimo album, i Blur hanno documentato un altro momento di splendore. It really could happen, come dice una delle loro canzoni più belle.

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