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Dio deve delle spiegazioni a Dandy Bestia

Non ha avuto il successo che meritava e ha provato ad allontanarsi dagli Skiantos, senza riuscirci. Era l’anima musicale della band, ma amava Brian May. Era considerato un punk, ma si è fatto le ossa col liscio. Un profilo del musicista che ci ha lasciati due giorni fa

Foto: Morena Brengola/Getty Images

Dandy Bestia degli Skiantos era figlio della Bologna folle, creativa e in fermento in un momento irripetibile della nostra storia popolare, la Bologna sviluppatasi dal seme piantato da Lucio Dalla, perennemente al confine tra cantautorato e goliardia. Quella che aveva davvero creduto che fantasia e potere potessero andare a braccetto. Aveva le carte in regola del buon bolognese dei tempi: iscrizione al Dams, università libera per antonomasia, e ossa fatte (e rotte) suonando il liscio, apparentemente cosa semplice, in realtà scuola di vita e di strumento. Come diceva lui, è col liscio che impari davvero a suonare.

E Fabio Testoni, o il Dandy come tutti lo chiamavano nella sua metropoli di provincia, a differenza di molti che si erano improvvisati musicisti sull’onda del punk, sapeva davvero suonare. Basta ascoltare MONO tono, il disco di debutto degli Skiantos che aveva creato col compagno di bevute (e di buchi) Freak Antoni, per rendersi conto delle infinite sfumature del suo chitarrismo. Il suo stile ha lasciato il segno su gente come Massimo Riva e Maurizio Solieri della Steve Rogers Band, ma anche su mostri dello strumento come Cesareo di Elio e le Storie Tese, che ne ha colto lo spirito e lo ha integrato al proprio modo di suonare usando una tecnica superiore. Già in quel disco, infatti, Testoni si erge a unico leader musicale della band, componendo praticamente per intero pezzi come Karabigniere Blues, il punk di Eptadone, Io sono uno skianto, che è così lento e pesante da sembrare quasi un pezzo dei Black Sabbath, e lo space rock Bau bau baby. «Io non sapevo scrivere, lui non sapeva suonare, abbiamo unito qualità e mancanze», ha detto a Rolling.

Dandy Bestia era il Keith Richards di Freak Antoni. Anzi, forse il Paul McCartney, vista l’infatuazione comune per i Fab Four. Una vera e propria folgorazione che l’aveva portato, appena tredicenne, a scappare di casa per andare a vedere i Beatles al Vigorelli di Milano. Anche per questo Dandy si è raramente definito punk, se non nell’accezione di movimento di rottura. Musicalmente, si è sempre sentito un rocker e ha mal sopportato il fatto di essere etichettato forzatamente dalla stampa di settore. Non a caso con gli Skiantos ha cercato subito di allontanarsi dall’immaginario punk. Già in MONO tono la band si prendeva gioco della faccenda con la splendida Panka rock (“Se tu bruci una banca / Il direttore poi si sbianca / Gli dai in testa anche una panca e vedrai che poi la pianta / Panka rock, punka rock”), un pezzo già praticamente new wave che di fatto dava origine al rock demenziale. Una dimostrazione di consapevolezza (e di intelligenza) incredibile: gli Skiantos prendevano per il culo tutti, non erano certo gli sprovveduti, come per anni hanno voluto farci credere.

Dopo quel debutto, in molti si sono accorti dell’eclettismo di Testoni, volendolo al loro fianco come turnista: prima Orietta Berti, poi Lucio Dalla e infine gli Stadio. Il ritorno nel gruppo avviene nel 1984. Dandy ormai è considerato uno dei chitarristi di riferimento per un numero imprecisato di musicisti italiani, con un tocco immediatamente riconoscibile quanto le folli poesie con rime baciate dell’amico Freak.

Il successo però non è mai arrivato. Negli ultimi anni, quelle che inizialmente sembravano solo battute sono diventate crudelmente realtà. Dandy si era divertito a prendere la vita per il culo, cercando di sopravvivere e pagare le bollette con quel sarcasmo cinico e le gag sul palco. A un certo punto, però, non è più riuscito a svincolarsene. Nell’ultimo album in studio degli Skiantos, Dio ci deve delle spiegazioni, Dandy è tornato alle origini con Senza vergogna, un valzer in cui ha inserito l’assolo di Brian May contenuto in Millionaire Waltz, omaggiando un altro dei suoi insospettabili eroi musicali.

Pur provandoci, Dandy non è riuscito a uscire da quella gabbia di continui insuccessi nemmeno dopo la morte di Freak, che ha continuato strenuamente a omaggiare fino a che la malattia glielo ha consentito. Eppure ci aveva provato già nel 2016 con un gustosissimo album solista, Giano. «La band è una vera democrazia perché in un gruppo bisogna essere tutti d’accordo, tutti convinti, basta uno che non lo sia per rifare tutto in un altro modo, ci si inventa un’altra storia, ci si relaziona sempre con gli altri e questo, sono convinto, aumenta la grandezza della musica», ha detto a La palestra del cantautore. Per poi aggiungere: «Da solo non si possono raggiungere, secondo me, gli stessi livelli sonori. Però puoi essere più decisionale e sperimentare molto. In Giano ho provato ad allontanarmi dagli Skiantos (e ovviamente non ci sono riuscito)». Una dichiarazione che avrebbe reso orgoglioso il vecchio Freak e il loro pubblico di merda. Bau bau, baby. La storia ti darà ragione.

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