‘Disintegration’, i fiori del male dei Cure compiono trent’anni | Rolling Stone Italia
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‘Disintegration’, i fiori del male dei Cure compiono trent’anni

La recensione originale pubblicata da RS nel 1989, quando Robert Smith si trasformava nel profeta del rock malinconico, per salvare la band sull'orlo del baratro cantando l'oscurità come mai prima di allora

‘Disintegration’, i fiori del male dei Cure compiono trent’anni

Cure

Foto: Pete Still/Redferns

Gli album dei Cure dei primi anni ’80, Faith e Pornography, hanno cementato saldamente la reputazione del leader Robert Smith come primo profeta del rock triste: Pornography iniziava con la frase “Non importa se muoriamo tutti”. La prima frase di Disintegration – “I think it’s dark and it looks like rain” – non è così da brivido, ma è emblematica del fatto che mentre in Disintegration non apre nuove strade per la band, ma affina con successo ciò che i Cure sanno fare meglio. Anche se il suo lavoro non ha più il fattore shock di una volta, Smith ha finalmente avuto il modo di raccontare le cose in modo inequivocabile, assolutamente e completamente corretto.

Il precedente album dei Cure, l’innovativo Kiss Me, Kiss Me, Kiss Me, Kiss Me, Kiss Me, è stato un racconto sbarazzino e di genere sulla carriera del gruppo; questo seguito è una triste meditazione contenente pochi singoli facili. Ogni canzone è in chiave minore e le immagini fredde e scure pervadono tutti i testi.

Nel mondo di Smith, anche i buoni rapporti sono attraversati da sfumature morbose, e quelli falliti sono niente di meno che la fine del mondo; tratta entrambi con la stessa malinconia rassegnata. Non a caso, la canzone più ottimistica è anche la più breve, Lovesong, che comunque descrive l’amore come una tregua temporanea dalla tristezza – “Whenever I’m alone with you/You make me feel like I’m fun again,” mette in guardia Smith. Un po’ di umorismo nero passa per sollievo quasi comico. Il titolo ironico Lullaby è un’ingegnosa inversione di Boris the Spider degli Who.

Piacevoli e monumentali, queste canzoni scivolano come i transatlantici in mare aperto. In genere, ci vuole un po’ di tempo prima che la voce arrivi a sovrastare una marea di bassi e synth, sapientemente stratificati. I ritmi lenti conducono serenamente l’ascoltatore attraverso gli spazi vuoti della musica. L’autocommiserazione non è mai suonata così bene. Ad alto volume, visto che una nota di copertina dice all’ascoltatore: “Questa musica è stata mixata per essere suonata ad alto volume, quindi alza il volume”.

Molti brani sono lunghi più di sei minuti, lenti e docili, come se fossero brani pop disintegrati, fino al modo in cui la pioggia cade lentamente sui nove minuti di Same Deep Water As You, fino ai piatti che suonano come vetri che si rompono al rallentatore sul maestoso Plainsong. E Smith abbandona la sua caratteristica voce da cagnolino bastonato e offre il suo canto più ispirato di sempre nella title-track, dove parla del modo in cui l’infedeltà dissolve anche i rapporti più lunghi.

Nonostante il titolo, Disintegration si tiene magnificamente insieme, creando e sostenendo uno stato d’animo di completo auto-assorbimento dell’oscurità. Se, come ha accennato Smith, gli stessi Cure stanno per disintegrarsi, questa è una degna conclusione.

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